A chi non piace l’idea di sovranità popolare?

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A chi non piace l’idea di sovranità popolare?

A chi non piace l’idea di sovranità popolare?

28 Novembre 2017

Come si passa da “smrt fašizmu, sloboda narodu!” a “morte al populismo, libertà alle élite!”. “Un altro populista è Salvini. Bossi non lo era”. Eugenio Scalfari nella sua predica domenicale sulla Repubblica del 12 novembre, è scatenato. Il taglio che ha scelto per la sua predica è quello dei quadri cominternisti più determinati che decidevano “questo è fascista, questo un po’ meno” secondo le convenienze politiche del momento e del movimento. Per esempio Berlusconi ridiventa populista “con Fedele Confalonieri intrattenevano da giovani il pubblico delle sale da ballo e perfino quello dei transatlantici”. Diamine! Proprio populisti di lungo corso! Anche se poi il sito del Corriere della Sera del 21 novembre riporta queste parole rivolte a Giovanni Floris che lo interroga: “’Lei, se dovesse scegliere tra Di Maio e Berlusconi, su a chi affidare il Paese tra uno dei due, quale sceglierebbe?’. Scalfari risponde: ‘Sceglierei… Berlusconi’” (però poi criticato da Michele Serra, Scalfari ririprecisa sulla Repubblica del 24 novembre che tra Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi:” il populismo del secondo ha almeno una sostanza”). Ma che cosa è il populismo scalfarianamente parlando? “Costruisce la sua influenza sul popolo (cosiddetto) sovrano” spiega il Fondatore della Repubblica continuando la sua polemica con Gustavo Zagrebeski. Quest’ultimo infatti sostiene che l’articolo 1 della Costituzione quando recita “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” con i termini “nelle forme e nei limiti” non vuol dire, come ritiene Scalfari, che riconosca il potere di una oligarchia bensì che voglia equilibrare democrazia e libertà nel quadro di uno Stato di diritto.

L’un po’ delirante antipopulismo scalfariano è forse la punta più esasperata di una discussione che è tanto appassionata quanto confusa. Persino Nadia Urbinati è turbata, e sulla Repubblica del 27 novembre si pone, per lei paradossalmente, un dilemma : “Se sono populisti tutti quelli che non stanno dalla nostra parte (quella buona) allora il populismo è il pluralismo politico”?

E il ministro della Giustizia spagnolo Rafael Català, forse molto condizionato dalla lotta al “populismo” degli indipendentisti catalani, dice al Corriere della Sera del 12 novembre:”Da una parte la sovranità popolare dall’altra l’imperio della legge” . Il colto e già diplomatico Roberto Toscano spiega dalla sua sulla Repubblica del 4 novembre come: “Il diritto non è un sostituto della politica, ma soltanto un quadro che delimita il campo della politica, che ha sua volta ha il diritto, e spesso il dovere, di modificarlo”. D’altra parte è difficile dissentire da Sabino Cassese quando sul Corriere della Sera del 9 novembre scrive che: “Il populismo ha sposato il giustizialismo maturato in trent’anni di storia recente “. Cioè il populismo consisterebbe nel porre il diritto al di sopra della politica.

Comunque, non è facile la lotta al populismo: se Ezio Mauro sulla Repubblica del 7 novembre scomunica “i populismi che criticano la stessa democrazia e berciano contro le istituzioni” . Poche righe sotto la sua presa di posizione Andrea Greco e Franco Vanni sulla Repubblica sempre del 7 scrivono che “la politica non può dare lezioni”. Ce l’hanno con la commissione interparlamentare sulle banche, però sintetizzano le colpe di questa, dei partiti di governo, di  quelli di opposizione di destra e grillina, di istituzioni come il governo e il Parlamento tutto sotto la categoria “la politica” che “non può dare lezioni”. Difficile trovare un esempio più netto di “populismo berciante contro le istituzioni”.

Certe semplificazioni non sono di uno studioso intelligente come Angelo Panebianco che per sfuggire alla rozzezza e alla banalità di certe analisi parla della fede di quelli che credono nei pasti gratis: “Anche l’Italia è a rischio. Si ricordi che qui ci sono aree (territoriali e professionali) nelle quali la fede nell’esistenza di pasti gratis è la regola” scrive sul Corriere della Sera del 19 novembre

Ma come superare una fede disgregatrice e irresponsabile nel “pasto gratis”? Questo è il problema. C’è la soluzione impostata da Wang Huning, filosofo di grande qualità, ideologo di Xi Jinping e tra le sette persone che compongono il politburo del Partito comunista cinese (il centro del potere sostanzialmente assoluto che governa l’Impero celeste di questi tempi):“An enlightened autocracy would be ‘highly effective’ in distribuiting ‘social resources’ in order to ‘promote rapid economic growth’” una autocrazia illuminata sarebbe particolarmente efficiente nel ridistribuire le risorse sociale: con questo credo – secondo quel che scrive Jane Perlez sul New York Times del 13 novembre- Wang avrebbe conquistato Xi. Ecco una soluzione al problema di come determinare una ridistribuzione “razionale” e per niente “gratis” (il prezzo è pagato in termini di libertà delle persone) dei pasti.

In qualche modo anche un consulente dell’amministrazione Obama concorda con questa idea “la tecnocrazia diretta è una forma di governo efficiente, capace di dare risposte immediate” dice Parga Khanna alla Repubblica del 21 novembre

Molto più confuso di Huning ma con in testa l’idea che per una fase ci sarà bisogno di un governo tecnocratico per realizzare l’integrazione dell’Europa, è Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore del 12 novembre: “Se invece si formerà una coalizione di governo per le riforme (con ministri di sicura competenza politica e di alta qualità morale), se quella coalizione sosterrà la ripresa economica con provvedimenti innovativi, se perfezionerà la riforma già avviata dell’amministrazione pubblica, se perseguirà un rinnovamento condiviso delle nostre istituzioni politiche e territoriali, allora si potrà sperare di neutralizzare l’iconoclastia populista”.

Insomma il ricorso al termine “lotta al populismo”  è diventata una specie di notte dove tutte le vacche sono nere. Con alcune (confuse) idee da parte di chi considera con fastidio l’idea della “sovranità popolare” di sbiancarne qualcuna di queste vacche grazie a ipotesi tecno-autocratiche magari euro- tecno-aucratiche. Però, se non hai a disposizione un esercito popolare a presidiarle, anche queste ipotesi che sembrano così concrete, tendono a diventare molto astratte.

Cgil-Mdp, non cinghie di trasmissione ma reciproci puntelli alle proprie disperazioni, non scattanti avanguardie, ma reumatiche retroguardie. “Riespone la Cgil, suo malgrado, al vecchio teorema della ‘cinghia di trasmissione’”, così Massimo Giannini sulla Repubblica del 22 novembre scomunica la scelta di Susanna Camusso di rompere con Cisl e Uil sulle scelte del governo Gentiloni sui pensionati: sarebbe una proto bolscevica che si muove a sostegno del nuovo nucleo d’acciaio grassista (forse)-bersanian-dalemiano. Il saggio Stefano Folli analizza assai meglio la situazione, sempre sullo stesso numero del quotidiano di Largo Fochetti: “Non è una convergenza tra soggetti forti, bensì tra le relative debolezze che si puntellano a vicenda” . Insomma trattasi di “Reuma Park”, non della “Corazzata Potëmkin”

Attenzione, a Riad sta accadendo qualcosa di grosso. “The most significant reform underway anywhere in the Middle East is today in Saudi Arabia”. Thomas L. Friedman scrive sul New York Times del 23 novembre che la più profonda riforma in corso in Medio Oriente, è quella in corso in Arabia Saudita. Dopo avere un po’ scherzato nei giorni scorsi sul fatto che la lotta del trentenne erede al trono a Riad Mohammed bin Salman era essenzialmente contro l’Alzheimer, il più noto opinionista di questioni mediorientali americano oggi afferma, dopo un viaggio sul posto, come sia in atto un rivolgimento profondo  con tratti liberali e modernizzanti, tra i sauditi. I fatti sono i fatti, nonostante che questi fatti siano un indiretto riconoscimento al ruolo giocato da Donald Trump anche con un impegnato discorso a Riad, nonché con il contrasto della politica sempre destabilizzatrice e, quando possibile, aggressiva di Teheran.

Cavolo, che peccato! Su Ema ed Eba, Deutschland non è stata über alles. The European Banking Authority and the European Medical Agency will leave London and  relocate, respectively, to Paris and Amsterdam. There was the usual ferocious lobbying, but ultimately the choice was open and transparent; it just wasn’t particularly clever. The EU could have been more strategic about its future”. Ferdinando Giugliano, fresco del semi (?) abbandono di Repubblica, scrive su  Bloomberg del 22 novembre  che la scelta di rimpiazzare Londra per le sedi dell’Ema e dell’Eba, con Parigi e Amsterdam, pur pilotata dai soliti lobbismi, stavolta è stata trasparente ma stupida. L’Unione europea dovrebbe gestire con maggiore consapevolezza strategica il proprio futuro. Franco Venturini scrive sul Corriere della Sera del 22 novembre che sulla scelta delle sedi Eba ed Ema “Questa volta la Germania non comanda, non mette ordine, non dice che cosa si può e cosa non si può fare”. La scelta di affidare scelte strategiche a monetine tirate in aria, è senza dubbio stupida. Ma la descrizione della vera governance dell’Unione europea con “la Germania che comanda,  mette ordine, dice che cosa si può e cosa non si può fare” non so se Venturini se ne rende conto, è, pur essendo assolutamente realistica, raccapricciante.