A dieci anni dall’11 Settembre, l’America resta una superpotenza
09 Settembre 2011
Per ironia della storia gli Stati Uniti, nell’anno del decimo anniversario dell’11 settembre, hanno perso per la prima volta il rating di tripla A da parte dell’agenzia Standard & Poor’s. La crisi del debito e il rischio default per la potenza mondiale, come ricorderanno i nostri lettori, è stato congiurato solo grazie ad un accordo all’ultimo giorno tra Democratici e Repubblicani. Obama, del resto, dopo le elezioni di “Midterm”, non ha più il controllo del Congresso e fino alla fine ha dovuto mediare con i suoi avversari politici, i Repubblicani. Il prezzo da pagare è stato il declassamento di ben tre livelli dell’agenzia di rating, Ora gli Stati Uniti sono passati dal primo al quarto posto (AA-).
Questo declassamento degli Stati Uniti è stato una svolta epocale simbolicamente pari all’attacco subito l’11 settembre del 2001. Se nel 2001 gli Stati Uniti hanno perso la loro invulnerabilità territoriale, nel 2011 hanno perso gran parte della loro forza e credibilità economica e finanziaria. Ricordare e commemorare i dieci anni dell’attentato alle Twin Towers significa oggi riflettere sul nuovo equilibrio mondiale che ne è scaturito.
Se dalla caduta del Muro di Berlino l’ordine mondiale era passato da un modello bipolare ad uno monopolare (con gli Stati Uniti unica ed indiscutibile superpotenza economica, politica e militare), dall’11 settembre in poi si è sostanzialmente affermato un sistema multipolare, quantomeno a livello economico e politico. Sotto l’aspetto militare la situazione è molto più complessa e gli Stati Uniti restano ancora oggi in prima linea, anche se con l’amministrazione Obama è iniziata una politica più isolazionista. Proprio a livello economico e politico, dunque, il cambiamento di paradigma che è maturato in questi dieci anni è stato evidente. Gli Stati Uniti sembrano non essere più un modello.
Le nuove superpotenze economiche o potenze emergenti si chiamano oggi Cina, Brasile e India. La Cina, del resto, ne ha approfittato subito per chiedere chiarimenti e garanzie al Presidente Obama. Il nuovo equilibrio che si sta imponendo, non significa, però, che Brasile, Cina o India prenderanno il posto degli Stati Uniti. Basti pensare, ad esempio, che nella classifica di rating di Standard & Poor’s la Cina è allo stesso livello degli USA (AA-) ed il Brasile e l’India sono ancora molto più giù (BBB+). In realtà delle tre economie emergenti solo la Cina è destinata, nell’immediato, a svolgere un ruolo da protagonista.
Come ha, però, giustamente ricordato in un bellissimo articolo Moisés Naim (Ma l’aquila americana non ha finito di volare, Il Sole 24 Ore, 9 agosto 2011), gli Stati Uniti restano ancora una potenza indiscussa per almeno cinque motivi: investono in difesa militare molto più degli altri; continuano ad aver un potere relativo molto alto; vivono una crescita demografica notevole tanto da essere polo di attrazione della gran parte delle eccellenze mondiali; restano il paese più sicuro dal punto di vista economico-finanziario; ed, in ultimo, sono un paese in cui gli estremismi politici hanno un ruolo transitorio.
In realtà, ciò che stiamo vivendo è un sistema senza una superpotenza egemone, uno stadio in cui la tanta inflazionata globalizzazione ha raggiunto una dimensione più matura. Questo nuovo ordine mondiale è stato ben descritto da Parag Khanna, il Direttore del Global Governance Initiative presso la New American Foundation ed ex consigliere geopolitico di militari (come ad esempio Stanley McChrystal), nel suo ultimo libro ‘Come si governa il mondo’: “… Nel panorama diplomatico si incrociano nuove potenze in ascesa, multinazionali, grandi famiglie, istituzioni umanitarie, fondamentalisti religiosi, università, mercenari.” Se gli Stati Uniti hanno perso gran parte del loro potere economico e di influenza politica, non c’è, al loro posto, alcun attore che ne abbia ereditato totalmente la posizione.
Nessun governo può illudersi, oggi, di affrontare in solitudine i problemi (ed in particolare le crisi economiche finanziare) delle società del futuro. Citando ancora una volta Khanna: “Il successo, nel nuovo mondo, dipende dall’unione di tutti i principali attori in scena in coalizioni che mobilitino rapidamente risorse globali per risolvere problemi locali”, a dieci anni dall’11 settembre, “il nuovo ordine mondiale formatosi, ricorda l’ordine mondiale medievale. Con tanti vassalli e valvassori e un imperatore che non riusciva ad esercitare una sovranità compiuta. La globalizzazione ha, e le avrà ancora per lungo tempo, molte zone franche”.
Questo non vuol dire che si sia in presenza di uno scenario apocalittico e di decadenza. Come emerso, del resto, da un confronto, pubblicato sull’ultimo numero del mensile tedesco Cicero, tra Kishore Mahbubani (Ambasciatore ONU a Singapore), l’economista Dambisa Moyo e Joseph Nye (Ministro della Difesa americano con l’amministrazione Clinton), c’è un evidente spostamento della mappa del potere, ma gli Stati Uniti, seppure non molto amati nel mondo (secondo un sondaggio del Pew Center citato da Dambisa Moyo, in Africa, i cinesi sono più amati degli americani), restano un punto di riferimento ed un polo di attrazione. Secondo Joseph Nye avremo un’America diversa, sempre la più potente, ma in un mondo più complesso.
Nel nuovo scenario internazionale ci saranno molteplici attori di quella che Khanna chiama non più diplomazia, ma ‘megadiplomazia’. L’ordine mondiale prevede una forma di governance con molteplici protagonisti e miriadi di centri di potere tra cui gli Stati-nazione, gli organismi sovranazionali e le imprese transnazionali. Nel ricordare l’11 settembre dobbiamo sforzarci di capire il nuovo ordine mondiale. Si tratta di un equilibrio del tutto nuovo per l’epoca moderna.
Prima di tutto c’è da registrare un dato messo in evidenza nel numero di agosto di Longitude da Pialuisa Bianco: mentre l’Occidente si sta gradualmente disarmando, il resto del mondo si sta riarmando. In secondo luogo: non dobbiamo dimenticare l’interconnessione (a più livelli) tra gli Stati. Tra le diverse aree economiche e geo-politiche è altissima e probabilmente destinata ad aumentare ancora di più. Tutto questo è diventato drammaticamente evidente proprio in quest’estate in cui i mercati finanziari hanno messo a dura prova gran parte dei governi occidentali.