A L’Aquila è necessario uno scatto d’orgoglio

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A L’Aquila è necessario uno scatto d’orgoglio

10 Gennaio 2011

La sveglia è suonata ormai da un pezzo. E dopo troppo torpore è giunto il momento del pragmatismo, del decisionismo, della concretezza. E’ l’Aquila che lo chiede. E’ la città stessa che lo invoca. Dietro ogni palazzo puntellato, dietro ogni edificio ricostruito a metà, dietro ogni cantiere, è questa la richiesta che chi ha orecchi per intendere, deve avere il coraggio di ascoltare.

Sono passati ormai due anni dal terremoto. Troppi per lo spettacolo che offre ancora oggi il capoluogo abruzzese. La ricostruzione procede con lentezza e le polemiche infuriano. Segno evidente che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Tante battaglie sono state vinte, tanti risultati sono stati raggiunti ma una volta superata la fase dell’emergenza, non si è proceduto con la celerità auspicata e necessaria.

La ricostruzione è andata avanti a parole e dichiarazioni d’intenti, ma materialmente si è visto ben poco. O meglio, di cantieri ne sono stati avviati. E di ciò va reso merito al presidente della Regione e Commissario straordinario per la Ricostruzione, Gianni Chiodi. Ma è andata avanti solo la ricostruzione cosiddetta “leggera”. Quella “pesante”, quella dei centri storici, quella che gli aquilani aspettano davvero,  è rimasta imbrigliata tra passaggi burocratici e polemiche strumentali. Inutili tanto le prime quanto le seconde, con il solo effetto di danneggiare i cittadini aquilani. Un’incertezza che ha portato stanchezza e sfiducia. Che ha avvilito gli animi come un secondo terremoto.

Eppure Gianni Chiodi lo ha ripetuto più e più volte: il problema non sono le risorse. I soldi ci sono e a beneficiarne saranno presto edifici pubblici, patrimonio artistico, servizi. Il problema vero è il centro storico con il carico di emotività che la sua ricostruzione si porta dietro e che probabilmente incide sulla capacità di progettare dei soggetti a cui spetta questo compito: i sindaci.

E’ comprendibile il desiderio degli aquilani di ricostruire il loro passato e quindi la loro identità attraverso i luoghi che li rappresentano. Ma se ciò rischia di ritardare il processo di ricostruzione, è necessario un atto di coraggio.

E’ necessario spiegare agli aquilani che se a privarli della loro città è stato un evento soprannaturale come il terremoto, a restituirla saranno invece gli uomini, con le loro idee e il loro lavoro. Bisogna però rimboccarsi le maniche e fare ognuno la propria parte. Con saggezza e senso pratico. Non si può assecondare il vittimismo, non si possono fare promesse che non si potranno mantenere.

La ricostruzione ha le sue regole e le sue logiche, che purtroppo non sempre possono andare d’accordo con la conservazione e con il ricordo. Perché i sindaci, Cialente in testa, tardano a presentare i piani di ricostruzione? Eppure questo compito per gli amministratori locali non rappresenta una facoltà, ma un obbligo. E’ la legge che lo impone. Più i sindaci ritarderanno, più il futuro dei territori colpiti dal sisma si farà lontano.

Evocare scenari cupi e negativi, come si sta facendo all’aquila, significa mistificare la realtà e non assumersi le proprie responsabilità. Cosa alla quale ben presto tutti verranno chiamati.

Deve destare qualche sospetto se negli ultimi giorni anche la Caritas ha sollevato dubbi sull’operato del sindaco dell’Aquila. E da Roma, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, ricorda di non essere ancora riuscito ad avere indicazioni su come spendere i 12 milioni di euro stanziati dal Dipartimento per le politiche della famiglia nelle settimane successive al terremoto. Persino la Carispaq chiede a Cialente di fare in fretta. A quanto pare è tutto pronto per l’inizio dei lavori di ricostruzione della storica sede della banca in corso Vittorio Emanuele. Ma i lavori non possono iniziare, perché, come al solito, manca un progetto complessivo riferito a tutta la zona.

Qualcosa dunque, non sta funzionando. E si potrà continuare ad illudere gli aquilani, restituendo loro cocci di identità. Ma la rinascita quella vera, deve ancora cominciare.