A Messina si continua a scavare. Il Cav. fa scattare il modello-Abruzzo

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A Messina si continua a scavare. Il Cav. fa scattare il modello-Abruzzo

05 Ottobre 2009

Salgono e scendono le ruspe, a tre giorni dal terribile alluvione che ha colpito i paesi collinari del versante ionico di Messina. Si sono spalati cumuli di detriti, accostati alla carreggiata così da ripristinare alla meno peggio la strada statale 114, unica via d’accesso alla zona Sud della città e ai luoghi dove al fango si è mischiata la morte. L’altra arteria quella dell’autostrada A 18 rimane chiusa. Ci vorranno ancora 4 giorni di lavoro per poterla riaprire in un’unica corsia di marcia verso Catania.  

Le vittime e le parole di Berlusconi –
Più su salendo verso le colline, invece, oltre a liberare le strade si continua a scavare alla ricerca di superstiti che, con il passare delle ore, fanno invece ingrossare il numero delle vittime (23, di cui 9 da identificare) e dei dispersi: in conferenza stampa alla Prefettura di Messina il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ne ha ufficializzati 40.

In serata intanto il numero delle vittime è salito a 24.

Si cerca anche in mare, gli elicotteri monitorano di continuo le coste e i sommozzatori dei Vigili del Fuoco hanno provato a tuffarsi diverse volte alla ricerca di corpi, come quello di una signora 70enne ritrovato proprio in mare, con indosso vestiti neri, che giace nell’obitorio del Policlinico in attesa di riconoscimento. Sono 524, bensì, le persone che hanno dovuto abbandonare le loro case perché distrutte o rese pericolanti dalla massa di detriti caduti dalle montagne; 93 persone hanno dovuto far ricorso ai sanitari, e di queste la metà fortunatamente ha già lasciato gli ospedali.

Sempre Berlusconi ha annunciato l’approvazione di fondi nel prossimo Consiglio dei Ministri e  la volontà di stanziare un miliardo di euro, ne parlerà con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, da destinare alla Sicilia per il dissesto idrogeologico, tanti, quanti, ne ha ricevuti l’Aquila per il disastro del terremoto e, sempre sul modello Abruzzo, la promessa – fatta tra gli sfollati che ha incontrato negli alberghi della città – di costruire case e quartieri in aree nuove, abitazioni alte non più di tre piani con fiori, giardini, centri commerciali per aiutare anche chi ha perso negozi e attività lavorative. Tutto questo, come l’Aquila, in 110 giorni. Commissario straordinario è stato nominato il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, il quale ha ribadito oggi, che è utile per il futuro un piano concentrato a “rinaturalizzare e non a cementificare”.

Nei luoghi del disastro  – Odore pungente che graffia la gola. Polvere che si alza di continuo nella concitazione dei soccorso, mentre si lavora a estrarre da sotto le macerie fangose i corpi o al ripristino dei collegamenti. Ad Altolia la strada di accesso che era stata creata nella giornata di sabato è crollata a causa della pioggia tornata a battere violenta nella nottata di domenica. Fortunatamente non c’è più nessuno (tra i vivi) lassù, gli sgomberi sono stati completati e le persone portate in città tramite il ponte aereo – utile anche a distribuire viveri, generi di prima necessità, e cure mediche nelle prime ore dall’alluvione, quando le frazioni sono rimaste completamente isolate – . Poi il varco, crollato appunto ieri notte, che ha fatto tornare i due borghi nuovamente inaccessibili e ridotti a luoghi fantasma. Altolia e Molino insieme, fino a giovedì, 500 abitanti.

Gianpilieri, invece, all’inizio nasconde la distruzione: risalendo infatti verso il paese, si notano tutta una serie di nuovi insediamenti, per lo più cooperative, che non hanno subito nessun danno. “È verso l’alto “dda caderu tutti i cosi” – spiega nel suo dialetto un signore anziano mentre indica con la mano il versante della collina –, affaccendato insieme ad altri nella riparazione a colpi di martello del cassone metallico di un vecchio autocarro, così da salire e cercare di recuperare quello che è possibile tra mobili e indumenti. E un altro abitante: “Non è vero – non è stata colpa dell’abusivismo, le case che sono crollate sono quelle vecchie, è stato distrutto il centro storico dove vi erano abitazioni antiche o quei fabbricati incastrati proprio sotto la montagna”.  “La colpa – prosegue – è di coloro che dovevano controllare la situazione: la collina di fronte – indica –  era frenata da una rete metallica, dopo l’alluvione del 2007 che l’ha staccata, poi nessuno è più venuto a ripristinarla”.

“Le tragedie si possono evitare, ma nei quartieri non arrivano nemmeno i fondi per la manutenzione ordinaria, come la pulizia dei torrenti o quella dei tombini”. Lo afferma mentre mostra la sua tessera, Mario Grottogini, consigliere di circoscrizione della zona. “A Giampilieri – continua –  non sono mai arrivati i finanziamenti che da anni richiediamo per garantire l’incolumità dei cittadini. Io lo avevo denunciato anche con manifestazioni eclatanti, incatenandomi durante una seduta del consiglio di quartiere. Soffriamo perfino per i piccoli interventi.  Delle volte dobbiamo aspettare anche per il cambio di una lampadina dell’illuminazione pubblica. Mai nessuno si è mosso, nessuno ha fatto niente”.

Qualche metro dopo, si può salire solo a piedi o con mezzi militari, due operatori della Protezione civile fermano il passaggio. Un gruppo di persone; il viso e lo sguardo rivolto verso una collina sulla destra. Stanno approntando le operazione cosiddette di “disgaggio” di un vecchio rudere constatato pericolante che sta proprio sul promontorio. Non è un rudere qualunque, spiega qualcuno che ha voglia di parlare dentro quel gruppo di persone. “Dopo 300 anni, stiamo perdendo anche il nostro simbolo: “u brigghiu” (che in siciliano significa “birillo”). Si tratta in pratica di un pilastro di pietra, rimasto in piedi dall’antico porticato probabilmente di un casolare. Un piccolo obelisco che dall’alto ha segnato il tempo di generazioni nate, cresciute, magari andate a lavorare lontano e poi in tarda età ritornati alla frazione natia. Un colpo, pochi attimi e lo si scorge sordamente ruzzolare lungo il versante della montagna.

Più si sale e più la visione si allarga sul braccio di fango che ha trascinato tutto. Il torrente che attraversa il paese, in estate di solito arso e prosciugato, continua nel suo letto a portare acqua verso la vallata.   Tre metri di fango hanno riempito il bar di Gianpilieri. L’emblema della forza sta nelle vetrate dell’ingresso divelte, sfondate come sotto i colpi di bazooka.  Qui siamo proprio nel centro della frazione. La gente vaga, la paura ancora indelebilmente impressa negli occhi. La folla si concentra nel cortile della scuola. Un palazzone di due piani moderno con la facciata gialla, trasformato in ricovero. “Qui accogliamo gli sfollati, spiega un tecnico del dipartimento regionale della Protezione civile, li assistiamo, diamo loro acqua, c’è un’ infermeria e poi abbiamo allestito una mensa per i pasti. Oggi è domenica, ne abbiamo distribuiti 400”. Due fidanzatini, due adolescenti, non si staccano un attimo mano nella mano. Gli occhi ancora umidi del pianto. “Ci eravamo persi raccontano, ognuno pensava il peggio per l’altro, poi dopo un giorno e mezzo ci siamo ritrovati ed eccoci qua”. Già qua fuori dalla scuola come anche tante persone anziane. Qualcuno grida ad voce alta, “Ma i Carabinieri continuano a scavare per cercare cadaveri e gli operatori delle ruspe hanno già spento i mezzi per andarsene”: sono le 17.50, è ancora giorno. E’ stato un fraintendimento; qualche attimo dopo tornano a rumoreggiare i borbottii dei motori.

Un messaggio dal centro di coordinamento, amplificato al megafono, al primo piano sempre della scuola, ricorda alle persone di riunirsi in gruppi alla destra del plesso scolastico in modo da poter salire sui pullman che li porteranno per la notte a dormire in hotel. Ma molti non vogliono andarci. “Sono soprattutto persone anziane – ci spiegano i volontari della Croce Rossa -. Gli anziani in particolare sono attaccati a questa terra, alle loro case, quelle che sono rimaste. Preferiscono stare qui, nella palestra anche se non ci sono né brande, né letti”. “Qui – spiegano ancora i volontari – non c’era nulla. Il primo giorno abbiamo approntato l’infermeria, salito farmaci, barelle, flebo, presidi sanitari. Venerdì la statale era ancora chiusa e l’unica via d’accesso rimaneva la linea ferrata: l’abbiamo percorsa a piedi caricandoci tutto questo materiale addosso per ben due chilometri di salita”.

A Gianpilieri mancano ancora 18 persone all’appello, si prosegue a scavare anche di notte, così come a Briga Superiore, a Scaletta Zanclea, dove un’intera frazione quella di Guidomandri è rimasta per parecchio tempo totalmente isolata, 150 abitanti, con il frantoio allagato di fango. Rimane tutto più complicato a Molino ed Altolia, dove ancora si arriva calandosi con gli elicotteri. Nelle zone delle operazioni di soccorso sono impegnati 491 mezzi e 2070 persone.

Una tragedia che si poteva evitare –  È questo il ‘leitmotiv’ dopo quanto è successo nel messinese, una delle aree e più alto rischio di dissesto idrogeologico (nella provincia di Messina il 70 per cento delle zone è in pericolo). C’è anche chi, dopo il meno tragico l’alluvione del 2007, aveva evidenziato il problema. Il deputato regionale del Pd, Filippo Panarello, il 31 ottobre di due anni fa, all’indomani di un nubifragio che colpì sempre da quelle parti, aveva presentato una interpellanza all’Assemblea regionale siciliana nella quale denunciava il grave dissesto idrogeologico della zona, in particolare a Giampilieri, e chiedeva interventi urgenti per la messa in sicurezza dell’abitato.

“Allora – dice il parlamentare regionale – ho presentato un atto (parlamentare) che denunciava, nero su bianco, tutti i rischi di quel territorio e adesso, nel rileggerlo, provo una grande rabbia. Se le istituzioni fossero state più attente, questo disastro probabilmente si sarebbe potuto evitare. Ma ora bisogna scongiurare un altro rischio, cioè che passata la commozione del momento, possa calare l’attenzione: bisogna invece intervenire per permettere agli abitanti di tornare nelle loro case in condizioni di massima sicurezza”.

Nell’interrogazione del 2007 si legge: “Le intense precipitazioni atmosferiche hanno evidenziato la fragilità dell’assetto idrogeologico del territorio” e “l’approssimarsi della stagione invernale, ed il possibile ripetersi di piogge intense, mette a rischio l’area, evidentemente soggetta a movimenti franosi ed a straripamenti dei torrenti”. “Particolarmente grave è la situazione del villaggio di Giampilieri Superiore, interessato da numerosi movimenti franosi che minacciano l’abitato e la strada provinciale che collega la statale 114 e i villaggi di Giampilieri Superiore, Molino ed Altolia”.

Panarello chiedeva al governo regionale di “sollecitare i comuni a predispone un progetto organico di funzionalizzazione del sistema idrografico e di messa in sicurezza del territorio collinare” e di “sottoporre ad attenta verifica il Piano per l’assetto idrogeologico (Pai) per consentire, nell’ambito del programma di interventi comunitari 2007-2013, il finanziamento e la realizzazione delle opere necessarie per fronteggiare il dissesto idrogeologico e salvaguardare i centri abitati”.

A lavoro anche i magistrati, il procuratore capo Guido Lo Forte ha aperto un fascicolo, l’ipotesi di reato è di disastro colposo, ed ha chiesto ai Carabinieri di verificare se ci sono eventuali responsailità.
"L’apertura dell’inchiesta – ha evidenziato Lo Forte – è un atto doveroso per verificare come si è creata questa situazione che ha avuto tragiche conseguenze. Lavoreremo con scrupolo e competenza per risalire, se ci sono, a eventuali responsabilità e se ci sono state violazioni delle leggi".

Saranno nominati anche degli esperti, ingegneri, geologi e quanto necessario per fare piena luce su quanto accaduto in quella tragica notte di giovedì scorso.