A Mirabello Fini ha sbandato verso un populismo assistenzialista

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

A Mirabello Fini ha sbandato verso un populismo assistenzialista

07 Settembre 2010

Gianfranco Fini commette un doppio errore quando afferma che il Pdl non c’è più. Rinnega un evento storico di cui lui stesso è stato protagonista, e che è oramai irreversibile. Ed addita un sentiero sbagliato ai giovani, che fanno parte del suo raggruppamento, che ha la sigla, ambigua, “Fare futuro” e, a livello di gruppo parlamentare e, forse, anche di partito, la nuova sigla “Futuro e libertà”.

La fusione di Alleanza Nazionale, insieme a Forza Italia, in un partito che ha il nome di “Popolo della libertà” per indicare la sua natura liberale e, nello stesso tempo, popolare, è il termine di un lungo percorso, con cui si è conchiusa la vicenda storica della diversità degli ex fascisti. La tesi di una diversità genetica del Msi era stata escogitata, nel dopoguerra, per dare fondamento  alla concezione dell’arco costituzionale, fra i partiti antifascisti, che doveva consentire ai comunisti di far parte delle possibili coalizioni di governo, nonostante la loro matrice filo sovietica. Ciò  mentre gli ex fascisti ne dovevano essere esclusi, nonostante che fossero anti sovietici e anti comunisti o anzi proprio per questo.

Sugli ex fascisti, nella nuova repubblica democratica, pesava il ricordo della loro adesione alla dittatura, sia nella fase monarchica che in quella repubblicana ( e così i missini venivano anche chiamati spregiativamente da comunisti come “repubblichini”). Pesava negativamente , inoltre – e forse soprattutto – il fatto che, nella fase della Repubblica di Salò con la loro alleanza con la Germania nazista che aveva occupato militarmente il Nord Italia e combatteva contro i partigiani, collegati al governo del Re, alcuni di essi avevano svolto la parte degli oppressori degli italiani. E il ricordo della  lotta fratricida che vi era stata, fra italiani, negli anni bui del 43-45, per lungo tempo ha gravato sulla nostra storia.

Ma occorreva superare quel ricordo, riconoscere che anche dall’altra parte vi erano stati gesti nobili, ed una fede degna di rispetto. Occorreva ammettere che oramai il fascismo non c’era più e che, inoltre, il fascismo, nella sua dottrina e nella sua prassi, non poteva essere identificato con il nazismo. E che non tutto quello che aveva fatto il fascismo era sbagliato e da disprezzare o da rinnegare. Il Movimento Sociale Italiano era un partito democratico, che non aspirava a rifare una dittatura, del resto impensabile. Ma intendeva qualificarsi come  una destra nazionale, con una componente di apertura sociale. E così è iniziata la lunga marcia di cui Gianfranco Fini è stato protagonista, per il progressivo riconoscimento della natura democratica di questo movimento politico e, nello steso tempo, per la chiusura di una dolorosa vicenda storica.

Qualcuno ricorderà che il primo che volle “sdoganare”, il Msi, dal punto di vista politico-idoelogico fu Bettino Craxi, con la formula del “socialismo tricolore”. C’è stato, poi, l’evento rivoluzionario dello sdoganamento politico parlamentare dell’ex Msi, come Alleanza Nazionale, da parte di Silvio Berlusconi. Un atto ardito, che fu allora aspramente criticato da quegli stessi ambienti che ora plaudono a Fini, perché ha innalzato un vessilo antiberlusconiano. Gian Franco Fini era il giovane leader del movimento, che Berlusconi sdoganò. Ma esso era costituito, già allora, da una solida elite di politici di destra democratica che si ponevano come espressione di una parte rilevante degli italiani, in particolare, con riguardo ai sentimenti di unità nazionale, di legge ed ordine, di tutela di valori tradizionali della famiglia, del risparmio, della dignità del pubblico impiego, del decoro e del rispetto di chi ha un ruolo superiore.

Rimaneva ancora aperta la questione se la vocazione di questa destra fosse dirigista o liberale, dal punto di vista della concezione dell’economia e dei principi di libertà. Vale a dire garantismo, libertà di stampa, equilibrio dei poteri, principi economici come la libertà e flessibilità nei contratti di lavoro, la concorrenza e la riduzione delle imposte e della dimensione del governo, il federalismo fiscale. E anche questo chiarimento è stato compiuto. Ed è culminato con la fusione fra An e Forza Italia , che non è stata un assorbimento della prima nella seconda, come ora Fini erroneamente afferma, perché An ha portato, nel nuovo partito i propri valori. Questa realtà storica non può essere cancellata.

E’ concepibile che a destra del Pdl ci sia una formazione minoritaria “conservatrice” che non  accetta questa svolta liberale, ma non ha alcun senso immaginare che questo percorso non sia esistito. O che possa esistere una destra liberale diversa dalla componente che si è fusa nel Pdl, con la leadership (forse non del tutto convinta) di Fini che ora vorrebbe distruggere questo evento. Come se la storia potesse essere un capriccio di un uomo politico colpito da sindromi di gelosia. Quali  principi possa darsi “Futuro e Libertà”, diversi da quelli appena enunciati, rimane un rebus irrisolto, salvo che Fini, dopo avere percorso il cammino dell’unificazione della destra liberale con Forza Italia, che raccoglie in sé le tre tradizioni dei liberali storici, dei democristiani di ispirazione liberale, dei liberal socialisti, intenda compiere un ulteriore passo, verso la sinistra, giungendo a ricongiungersi con gli eredi di coloro che avevano scomunicato i missini, perché erano anti comunisti.

Ma è qui che nasce il secondo errore, quello di immaginare un movimento politico che ha come obiettivo, quello di scegliere il futuro, dapprima come ipotesi da costruire, poi come ipotesi di libertà assoluta. Strade irrequiete, intrise di movimentiamo dannunziano, di rincorsa del nuovo, di sessantottismo romantico fuori tempo. E così, nella riunione di Mirabello, si sono udite molte parole politichesi, sono emerse molte emozioni  sopra le righe, molta ansia del nuovo, ma non c’è stata nessuna riflessione concreta. I movimenti politici, particolarmente in questa dura epoca di sfide dei mercati globali, in cui occorre ritrovare un sentiero di crescita economica e di aumento dell’occupazione, non possono rincorrere un vago futuro, debbono essere in grado di indicare noiose soluzioni concrete per il presente. Sicchè le dure regole della politica potrebbero far sbandare questo movimento a un populismo assistenzialista, prevalentemente meridionale, una specie di Lega Sud, priva dei principi federalisti che danno modernità e un ruolo riformista alla Lega Nord. Insomma una specie di Lega petulante di serie C, tutto il contrario dei valori di cui il Msi era stato veicolo, per il lungo e dignitoso percorso verso il Pdl.