A Napoli i saluti non finiscono mai

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A Napoli i saluti non finiscono mai

28 Marzo 2008

Oggi la campagna elettorale mi porta
fuori dalle acque territoriali: né a Roma né in Toscana, ma a Napoli. Molti i
motivi giustificano questo sconfinamento.

Innanzi tutto l’argomento della
manifestazione convocata all’Hotel Excelsior sul lungomare, a pochi passi dal
Borgo Marinaro e in faccia al Vesuvio: “biopolitica”, ancora una volta. Insieme
alle riforme dello stato e a ricerca e università la considero uno dei tre assi
tematici della mia campagna elettorale. E, per di più, un argomento sul quale
sto cercando di condurre una battaglia esterna e interna, provando a spiegare
come la materia non sia un’esclusiva dell’elettorato cattolico e tanto meno
riservata a bacchettoni e bacia pile. Si tratta, invece, di argomenti che
interesseranno sempre di più la convivenza civile e sui quali, per questo, un
partito che si dice a vocazione maggioritaria non può fare a meno di prendere
posizione.

Poi la compagnia. Vado a Napoli con
Alfredo Mantovano. Abbiamo provenienze culturali diversissime e anche di
temperamento non siamo affatto simili. Ma in Senato in questi due anni,
soprattutto su questi temi, abbiamo costituito “una coppia di fatto” (io di
Forza Italia lui di An), che poi la nascita del PdL è giunta a regolarizzare.
Siamo riusciti a trasformare le nostre differenze in punti di forza. Anche se
ieri in macchina al ritorno dalla manifestazione, commentando alcuni degli
interventi, Alfredo mi ha detto: “non se ne può più con questa insistenza sulla
cattolicità di questi temi…”. L’ho guardato compiaciuto ma non ho potuto fare a
meno di pensare: “E ora, se anche Alfredo si mette a fare questi discorsi, io
cosa dirò?”.

Infine un’ultima ragione a
giustificazione della violazione dei confini, si chiama Giovanni Formicola: è
il reggente per la Campania di Alleanza Cattolica, ma soprattutto è un amico.
Cattolicissimo, non di meno ha una concezione epicurea dell’esistenza che
ricorda un po’ il Mario Soldati dei Racconti del Maresciallo. Per questo, non
riesce proprio a condividere, e nemmeno a capire, il mio calvinismo. Quando
organizziamo qualcosa insieme, la sua prima preoccupazione è per il cibo. Mi
domanda sempre: “ti fermi a cena?”. Quasi che l’impegno pubblico sia la scusa
per mangiare bene, conversare e trascorrere un po’ di tempo in amicizia. Quando
Giovanni chiama, ogni volta che posso cerco di farmi trovare pronto. Anche per
farmi perdonare i tanti inviti a pranzo e al Palabarbuti per vedere la Eldo
(Giovanni, tra l’altro, è un patito di basket), ai quali debbo rinunziare.

La
manifestazione è convocata per le diciassette e trenta. Arriviamo a Napoli in
leggero ritardo. C’è tanta gente, ci sono gli oratori ma si conversa
amabilmente nella hall. Alle diciotto e trenta mi chiama dall’Occidentale
Cristiana Vivenzio e mi chiede: “Come è andata?”. Gli rispondo: “Veramente non
è ancora iniziata!”. E quando inizia l’andamento, se è possibile, si fa ancora
più lento. Ci sono i saluti, interminabili. Si prolungano fino alle diciannove
e quaranta e a ogni oratore la sala all’inizio gremita perde venti unità.
Faccio un rapido calcolo: “dei duecentocinquanta presenti all’inizio, visto che
i saluti previsti sono cinque, ne rimarranno centocinquanta se le perdite non
avranno un incremento geometrico”. Con il trascorrere dei minuti il rischio di
parlare alle sedie si fa concreto. E’ compensato da quanto Giovanni, seduto
accanto a me, mi sussurra nell’orecchio: “Oggi mia moglie mi ha fatto dei
taglierini all’uovo con le spugnole (un tipo di fungo); una passata di burro di
Castelmagno e una ripassata di parmigiano al momento giusto!”. Nella
comunicazione colgo qualcosa di più del buongustaio impenitente. C’è la voglia
di farti partecipe di un aspetto del suo piacere di vivere che ha a che fare
con la casa, la famiglia, l’educazione. Giovanni, insomma, ha interpretato a
modo suo il tema della manifestazione!

Dopo la sua esibizione pubblica,
all’altezza del sussurro privato, finalmente tocca a me e ad Alfredo. Insieme
parliamo meno tempo di un saluto. Forse anche per questo siamo efficaci e la
sala risponde fino in fondo. D’altra parte questa è Napoli: lenta, disordinata,
generosa. Visto il tema della manifestazione, Berlusconi avrebbe chiosato
“eticamente anarchica”.

Poi, anche se di gran fretta, non si
può rinunziare alla cena: una linguina agli scampi in un ristorante del centro.
In un tavolo vicino scorgo Emanuele Calaiò, il centravanti della promozione del
Napoli dalla C alla A. Gli chiedo un autografo per le bambine (vergognoso
alibi!) e lui gentilmente scrive su un occasionale pezzo di carta: “Ad Anna
Elisa e Cecilia, saluti da Napoli”. Penso tra me e me: “Ancora saluti. Ma
questa volta, almeno, sono concisi!”. 

Diario di un
candidato