A Roma capita ancora di mangiare in ristoranti che sono un “dono di Dio”
31 Ottobre 2010
Non è davvero raro, girando per una città come Roma, pranzare o cenare in qualche ristorante splendidamente collocato, vuoi per la storicità dei luoghi ove alza l’insegna, vuoi, spesso, anche per la loro intrinseca bellezza e suggestione. Per converso, non è affatto scontato – come “dolorosamente” sanno gli amanti della buona tavola – che alla felicità di location di un locale si abbini necessariamente un’analoga qualità di offerta eno-gastronomica. Anzi, ho presente molti esercizi di grandissimo fascino, che talvolta frequento, facendo consapevolmente violenza a palato e stomaco – e non raramente anche al portafoglio – per il solo piacere estetico. Mi guardo bene, tuttavia, dal consigliare questi locali agli amici lettori, posto che essi si collocano agli antipodi dei ferrei principi culinari che, a suo tempo, furono posti alla base di questa pur dilettantesca rubrica.
E’ per quanto appena detto, che sono oggi particolarmente lieto di spendere qualche parola circa la "Trattoria San Teodoro". In effetti, ci troviamo di fronte ad una solida realtà, che unisce davvero molti pregi: è assai felicemente allocata in uno degli angoli più affascinanti ed evocatori della città, ai piedi di un bel palazzo settecentesco, offre, dalla primavera all’autunno inoltrato, uno spazio esterno piacevole ed appartato, ancorché non intercluso, è dotata di varie sale interne di raffinata eleganza decorativa e – incredibile dictu – presenta tanto un’offerta gastronomica quanto una proposta enologica di assoluta eccellenza, in grado di soddisfare i palati più esigenti. Si potrebbe, quindi, forse sostenere che, qualche volta, anche per i ristoranti valga il detto antico nomen omen: questo locale, infatti, oltre al vezzo di qualificarsi minimalisticamente “trattoria”, si chiama San Teodoro, cioè dono di Dio…..
Scherzi linguistici a parte, la denominazione del ristorante deriva dalla contiguità con una dei più incantevoli edifici di culto paleocristiani della città, la Chiesa di San Teodoro al Palatino. Si tratta di una fabbrica di pianta circolare, edificata nel VI secolo, a ridosso della strada che connetteva il Foro Romano al Foro Boario, lungo le pendici del Colle Palatino.
L’edificio ecclesiale, nonostante i molti rimaneggiamenti subiti in tanti secoli di vita, ivi compreso l’ingente intervento ricostruttivo realizzato dall’architetto Carlo Fontana, nei primi anni del ‘700, mantiene intatta un’impronta bizantina – del resto San Teodoro, come anche indica il bel nome greco, è martire del III/IV secolo, d’origine orientale – e denuncia palesemente l’edificazione sul sedime o, forse, più probabilmente, la riconversione – all’ingresso permane in situ un altare pagano – di un antico edificio circolare, analogo all’ancora esistente e prossimo tempio consacrato al culto di Minerva Medica. Va segnalato come, oltre al tuttora esistente mosaico absidale, appartenente all’edificazione originaria della chiesa, San Teodoro abbia custodito, sino al 1471, la lupa capitolina, la straordinaria e per certi versi misteriosa scultura, oggi ospitata nei Musei Capitolini, la quale, oltre ad essere un manufatto di altissima qualità estetica, costituisce uno dei tesori della città di Roma più evocativi della sua storia plurimillenaria.
E’ appena il caso di sottolineare che una visita alla chiesa ed una successiva sosta al ristorante può rappresentare un’esperienza davvero da consigliare e non facilmente dimenticabile.
Venendo alla trattoria, va segnalato, innanzitutto, come essa rientri appieno nei canoni della nostra rubrica, innanzitutto per l’accurata ricerca della qualità delle materie prime che vi si assicura. Il locale è in grado di soddisfare sia i cultori di un percorso gastronomico a base ittica, sia i carnivori appassionati, sebbene, tendenzialmente, lo reputi ascrivibile innanzitutto alla categoria dei ristoranti di pesce.
Al San Teodoro il piacere gastronomico inizia con il canestro del pane, rigorosamente fatto in casa, con alcune pizzettine davvero sfiziose e degli accattivanti grissini al nero di seppia.
Tra gli antipasti, al pari di tutti i piatti sempre realizzati a regola d’arte, meritano menzione, seguendo il mio gusto personale, il polpo sottilmente affettato al profumo di limone, il carpaccio di spigola, la panzanella all’astice (davvero squisita), le alici alla beccafico, il carpaccio di manzo (la carne è rigorosamente italiana), variamente aromatizzato. Tra i primi, mi limito a citare, tra la decina di proposte che si avvicendano, le grandi penne di Gragnano all’amatriciana, il riso integrale, cipolle rosse e uva passa di Corinto, la minestra d’arzilla e broccoli siciliani, i tagliolini neri con colatura di alici e seppie croccanti. Venendo ai secondi piatti, non posso non ricordare subito il baccalà su base di ceci e pomodoro – mio piatto fisso in questo ristorante –, la ricciola scottata e finocchi, le trigliette al cartoccio con carciofi, finferli e cipolletta, la coda di rospo avvolta in foglia di verza stufata, la splendida tartare di manzo. Sempre ottimi e vari i contorni e tra i dolci, tutti in grado di tacitare le voglie dei più agguerriti golosi, mi limito a richiamare quello che, secondo il mio personalissimo metro, giudico il più difficile banco di prova tra i dessert, sul quale cadono, spesso pesantemente, anche le più valide, gloriose ed esperte cucine: la crema catalana. Ebbene, la catalana del San Teodoro rasenta la perfezione e si colloca, con ogni probabilità, al primo posto tra quelle offerte dai ristoranti della Capitale. Noto ancora che in questo locale il caffè è, giustamente, oggetto di culto.
L’accoglienza ed il servizio sono sempre cortesi e altamente professionali.
La cantina è assai valida, ricca di proposte e con ricarichi corretti, sia pure, per qualche bottiglia, con qualche inopportuna schiacciata di acceleratore.
Il locale si colloca in una fascia di costo media, tendente verso l’alto, con un rapporto qualità/prezzo molto, molto buono.
Trattoria San Teodoro – Via dei Fienili, 50 – Roma – Telef: 06/6780933. Chiusa la domenica.