A Roma c’è un Colosseo che non è mai stato così bello

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A Roma c’è un Colosseo che non è mai stato così bello

21 Novembre 2010

La discesa ctonia alle viscere dell’Anfiteatro Flavio avviene attraverso la porta Libitinaria, dedicata alla divinità che sovrintendeva ai doveri e ai riti da tributare ai defunti. Da qui uscivano infatti i cadaveri dei gladiatori e da qui i visitatori sono introdotti in uno degli spazi meno noti del Colosseo, aperti grazie alle opere di messa in sicurezza adottate dal commissario straordinario per l’area archeologica di Roma, Roberto Cecchi.

Un intervento costato 500mila euro che permette per la prima volta in assoluto di ammirare le darsene delle navi utilizzate per le naumachie nella prima fase di vita del Colosseo, il sistema di canalizzazione delle acque che attinge alla fonte di San Clemente, le scanalature per le gabbie delle fiere e i cilindri in bronzo degli argani che servivano a innalzarle sul piano dell’arena, le gallerie e le scale di servizio.

L’illuminazione radente e tenue è studiata per evocare la luce che promanava dalle lucernae in un ambiente sostanzialmente originario perché, a differenza del resto del monumento più volte rimaneggiato, gli ipogei vennero interrati nel V secolo e riportati alla luce solo nel 1870 con uno scavo che rinvenne i binari in legno lungo cui scorrevano le macchine sceniche, i montacarichi e gran parte delle attrezzature. Tutti elementi purtroppo perduti per sempre perché svalutati dall’archeologia dell’epoca, di cui rimane traccia solo in uno sbiadito dagherrotipo Packard.

L’ambiente, visibile finora solo dall’alto e in qualche scena di film (uno dei più recenti, Jumper, vi inscena una sparatoria tra viaggiatori spazio dimensionali), è di indubbia suggestione anche perché visitabile, per evidenti ragioni di tutela, solo da gruppi di 25 persone a volta. Tutti i visitatori del Colosseo possono invece accedere al terzo anello, riaperto dopo 40 anni grazie a un intervento di messa in sicurezza con una spesa di 400mila mila euro che prosegue il programma di recupero dell’area archeologica di Roma messo a punto dal Commissario Straordinario Roberto Cecchi.

Un piano articolato in un cronoprogramma di 73 interventi e che ha già portato alla riapertura di due percorsi sul Palatino, Vigna Barberini, con le fondamenta del tempio del sole dell’imperatore Eliogabalo e la sala rotunda dei banchetti di Nerone, e le Arcate Severiane, e dell’area del Tempio di Venere e Roma, tra il Colosseo e il Foro Romano, inaccessibile da oltre trent’anni. Un imponente basamento voluto dall’imperatore Adriano che dedicò l’edificio alla Città Eterna e alla dea Venere, madre di Enea suo fondatore, innalzato sulle pendici della Velia a partire dal 121 dC. La costruzione fu concepita con una chiara valenza politica, creando una sintesi tra Venere, cui è attribuita una dimensione cosmica, e Roma, rappresentata in forma divinizzata, ma anche la sintesi tra Oriente e Occidente, tra Aeternitas e Fortuna.

Oggi, grazie al recupero voluto dal Commissario Cecchi con una spesa di 262mila euro, turisti e cittadini possono nuovamente godere del monumento.