A Roma e Milano banali cavilli formali hanno affossato la democrazia

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A Roma e Milano banali cavilli formali hanno affossato la democrazia

02 Marzo 2010

Dopo l’esclusione della lista di Renata Polverini candidata a presidente della Regione Lazio del PDL a Roma (dovuta a un cavillo formale sul tempo in cui il presentatore della lista era “rientrato” nel “recinto” per la presentazione delle liste), ecco ora l’esclusione a Milano della lista di Roberto Formigoni candidato del Pdl, alla presidenza della Regione Lombardia a causa di altri cavilli formali, riguardanti il corredo alle firme di coloro che la hanno presentata.

Sulle 3.935 firme presentate, secondo il Tribunale di Milano, 514 sono risultate invalide per ragioni formali. Ciò in quanto su 129 manca la data della autenticazione, su 121 manca il timbro tondo sui moduli, su 229 manca il luogo della autentica e  su 28 manca la qualifica dell’autenticante. Poiché occorrono 3500 firme la lista del PDL non è stata ammessa.

Per il Lazio si è argomentato che la causa del ritardo è di un diverbio fra il presentatore della lista, Alfredo Milioni originario di Forza Italia e l’altro presentatore, Giorgio Polesi, originario di AN, che avrebbe comportato l’uscita del primo dal sacro “recinto” e un ritorno tardivo al medesimo.

Per la lista Formigoni invece l’argomento che si è utilizzato è che Formigoni, troppo sicuro di sé, ha raccolto le firme solo tardivamente e, facendolo in fretta, è incorso in alcuni errori banali che pensava fossero irrilevanti e, invece, non lo sono. Per altro, se l’inconveniente formale avesse riguardato solo la lista del PDL del Lazio o solo quella del PDL della Lombardia, la tesi della litigiosità o negligenza potrebbe apparire bastevole a spiegare la decisione .

Ma i casi sono due, riguardano le due maggiori regioni di Italia e si riferiscono alle decisioni di due Uffici giudiziari che, anche questo forse è un caso, si sono distinti in questi giorni per iniziative la cui data cade in periodo pre elettorale. Ciò alimenta sospetti che avvelenano inutilmente l’atmosfera elettorale.

Il caso Fastweb-Telecom bolle in pentola da molti anni. Basti dire che quando Swiss Com ha comperato Fastweb nel 2007 il procedimento penale era già iniziato e Swisscom aveva messo nel conto le eventuali sanzioni pecuniarie che sarebbero derivate dal precedente comportamento illegale di dirigenti o vertici della società. Il caso però è emerso solo ora, alla vigilia delle elezioni e l’attenzione si è immediatamente indirizzata al senatore Di Girolamo, che fa parte del PDL. Il tribunale ha i suoi tempi. Ma i giornali giustizialisti in periodo pre elettorale ci inzuppano il pane. Per altro, il tentativo di infangare il PDL da parte della stampa giustizialista si è rilevato ben presto perdente. Infatti è risultato che il senato, con un voto a maggioranza del PDL aveva parecchio tempo fa deciso di inficiare l’elezione di Di Girolamo, ritenendola irregolare ed aveva sospeso  la decisione in attesa delle risultanze giudiziarie. Sicché appare evidente che questo senatore, eletto all’estero con voti irregolari, non era affatto un militante del PDL, che esso proteggeva, ma un estraneo che il PDL medesimo aveva già messo sotto accusa.

L’altra mina vangante che, secondo la stampa giustizialista, doveva esplodere in periodo elettorale ha riguardato Silvio Bertolaso. Ma dall’inchiesta sugli scandali della protezione civile per ora non è emerso alcunché a suo carico. E viceversa alcune emergenze hanno fatto riemergere con prepotenza il suo prestigio e la sua indispensabilità come capo della protezione civile, prima in relazione alle frane dovute al maltempo e da ultimo, in relazione all’azione, a quanto sembra dolosa di inquinamento delle acque del Lambro mediante la fuoriuscita di petrolio da una raffineria. L’onda inquinante che si era riversata nel Po è stata fermata tempestivamente. E la parte residua è in grande parte evaporata.

Sembra una parabola del tentativo di infangare questo organismo e il suo capo, che hanno la colpa di agire con grande efficienza, al servizio del paese.

Il Tribunale di Milano, con il pubblico Ministero Di Pasquale doveva svolgere un processo a carico di Silvio Berlusconi basato sulla tesi che la presunta corruzione in atti giudiziari effettuata nei confronti dell’avvocato Mills si è attuata non quando ci si era accordati per realizzarla o quando egli ha fatto la presunta falsa deposizione che ne era l’obbiettivo e neppure al momento in cui gli era stata versata la presunta somma del compenso in precedenza pattuito, ma nel momento successivo in cui egli aveva effettivamente riscosso la somma che era già da tempo parcheggiata nei conti del suo studio legale. Con questa teoria giuridica il crimine dell’omicidio su commissione ha luogo non quando il killer spara, ma dopo quando egli incassa l’assegno con cui esso gli era stato pagato. La Corte di cassazione ha bocciato questa tesi e il processo in questione contro Silvio Berlusconi viaggia verso l’estinzione per prescrizione. Il Tribunale di Milano non ha voluto attendere il testo della sentenza della Cassazione per apprendere se la prescrizione sia già avvenuta o stia per avvenire in un tempo tale da rendere impossibile il processo di primo grado. Ha deciso di proseguire a tutti i costi e ha ritenuto che il consiglio dei Ministri di lunedì primo marzo non sia un legittimo impedimento del presidente del consiglio, in quanto è stato deliberato all’ultimo momento. Non importa se esso sia stato riunito di urgenza, per potere varare tempestivamente le norme anti corruzione rese necessarie dalle ultime vicende. La tesi che emerge dalla decisione del Tribunale di Milano è che questo consiglio dei ministri sarebbe stato fissato apposta lunedì per consentire a Berlusconi di accampare un legittimo impedimento.

Si potrebbe, allora, ribattere che il caso Di Gerolamo è stato fatto emergere apposta dal tribunale di Roma nella scorsa settimana, perché siamo sotto elezioni o per gettare qualche nebbia sul fatto che il procuratore della repubblica di Roma Toro, preposto alle indagini sui reati di corruzione, appare implicato insieme al figlio nella vicenda di corruzione in questione. Ovviamente non è così. Ma allora perché si deve pensare che il consiglio dei Ministri che delibera con urgenza un disegno di legge sulla corruzione non sia un legittimo impedimento? La decisione del Tribunale di Milano è impugnabile e potrebbe rendere nulli gli atti processuali sin qui compiuti. Esso lo sa. E si potrebbe sospettare che abbia scelto questa soluzione per trovare un motivo per uscire con eleganza da questo pasticcio processuale.

E’ in questa atmosfera (surreale) di sospetti, che si inquadrano i due casi di Roma e di Milano, in cui la democrazia viene messa in discussione mediante cavilli formali che la gente comune non apprezza.

Nel caso di Roma il cavillo consiste nel fatto che Alfredo Milioni che era arrivato mezzora prima del necessario nella sala ove si consegnano i documenti elettorali ed era disponibile a consegnare tali documenti subito era uscito dalla stanza ed era rientrato in ritardo. Si può obbiettare che il cancelliere avrebbe dovuto prebndere la sua documentazione quando lui era arrivato, non farlo attendere. E che quindi aveva omesso un atto del suo ufficio. Del resto dove è scritto che una persona presente al momento giusto, che si assenta momentaneamente deve essere considerata come “arrivata in ritardo”. Conta la data e l’ora di entrata o quella di rientro? E se una persona si assenta per andare alla toilette, è assente “giustificata” oppure no? Inoltre Milione sostiene che alcuni radicali hanno ostacolato il suo rientro, per farlo arrivare fuori tempo massimo. Per me uno studente che ha risposto all’appello e poi è andato un momento alla toilette o fuori a fumare mezza sigaretta è da considerarsi presente, non assente, ai fini della partecipazione agli esami.

L’interpretazione negativa è stata applicata a carico di Alfredo Milioni che ha la sciagura di essere stato iscritto al Psi, una sorta di tabe o sifilide che induce a pensare di lui le cose più infamanti.

Ma veniamo al caso di Milano, che, giuridicamente, è ancora più discutibile. Infatti nel diritto pubblico gli atti viziati da irregolarità formali non sono necessariamente nulli. Le irregolarità possono essere irrilevanti, se la sostanza è autentica. Inoltre gli atti viziati da irregolarità non irrilevanti possono essere nulli o annullabili. Se manca un timbro, che attesa la autenticità di un documento, non vi è motivo per dichiarare che quel documento è nullo. Esso è, al più, annullabile. E se risulta che la mancanza del timbro dipende da una svista per cui esso può essere apposto successivamente, esso non dovrebbe essere  annullato per il principio di conservazione degli atti amministrativi. Diversamente si dovrà dire se la mancanza del timbro appare come un atto doloso rivolto a ingannare la pubblica amministrazione o a crearle, comunque, una turbativa. E del resto che la sanzione appropriata, in questo secondo caso, sia la procedura di annullamento, non un risarcimento del danno subito dalla pubblica amministrazione appare assai opinabile.

Quanto alla mancanza della data, che riguarda la autentica della firma dei presentatori dei candidati, la tesi per cui l’atto sarebbe nullo in quanto in questo modo non è possibile verificare se tale firma sia stata apposta nei tempi di legge, è ancora più debole di quella riguardante la assenza del timbro. Infatti, tale verifica può essere effettuata mediante un accertamento presso il pubblico ufficiale che ha redatto l’atto in questione. E per il luogo in cui è stato redatto l’atto, vale un analogo ragionamento: si possono fare indagini per accertarlo. Dunque non è logico sostenere che a mancanza di data o di luogo della autenticazione debba dare luogo a una nullità assoluta in quanto rende impossibile verificarne la veridicità. Sto enunciando dei principi che riguardano l’interpretazione delle norme, quello dell’interpretazione logica: uno strumento che appare necessario, secondo i principi generali del nostro diritto, quando la lettera della legge non è esplicita.

Non è scritto da nessuna parte, nel DPR del 28/12/l 2000 n. 445 che regola le certificazioni degli atti amministrativi che la mancanza di dati requisiti formali ne determini automaticamente le nullità. Pertanto occorre, in questi casi, ricorrere alla interpretazione logica. Un altro importante strumento di interpretazione delle leggi, prescritto dal nostro ordinamento, quando la lettera della legge non è esaustiva è quello della interpretazione sistematica, che inserisce la singola norma nel sistema. Ora, tutto il DPR  28/12/2000/N. 445, appare improntato al principio di snellire le formalità burocratiche relative a tali certificazioni, stabilendo il principio delle autocertificazione e introducendo anche la firma digitale.

Se si dà fiducia la cittadino, consentendogli di auto certificare i fatti e le espressioni di volontà che lo riguardano, perché si deve dichiarare nulla una certificazione dei pubblici ufficiali a cui manca qualche dettaglio suscettibile di successiva integrazione e verifica? Dalla nuova normativa si desume che nel sistema giuridico attuale la veridicità delle certificazioni, secondo "io" legislatore, prevale sulle forme minuziose con cui essa è tradizionalmente garantita. Sin qui l’interpretazione dei normali atti amministrativi. Ma qui siamo di fronte ai diritti elettorali del popolo, che è sovrano.

Negare il diritto a una parte della popolazione di votare per i propri candidati nelle elezioni regionali con espedienti formali, in casi dubbi, come quelli di Roma e Milano è un fatto politicamente molto grave. Se ripetuto, è ancora più grave politicamente.

E negare che il diritto elettorale abbia un valore politico è una contraddizione in termini. La giustificazione per cui compito del giudice è di applicare le norme, non di farle o disfarle, in questo caso non vale perché come ho dimostrato, sono possibili interpretazioni diverse e, come ribadisco, il principio politico della sovranità popolare, nel dubbio, dovrebbe prevalere. Nel dubbio, bisogna consentire al popolo di esercitare il proprio diritto di voto, non negarlo. Concludo osservando che tutto ciò ha dato una scossa agli elettori indecisi se votare o meno per il centro destra in queste elezioni e a quelli che litigavano fra loro perché di diverse correnti.

Chi aveva un diritto che era in dubbio se esercitare o meno in una data direzione, ora che questo diritto è stato messo in discussione, sente di più il bisogno di esercitarlo nella direzione che gli è stata temporaneamente preclusa.