A Roma il mercato dei palazzi di prestigio non è mai in crisi
23 Giugno 2009
Appena si ricomincia a parlare di dismissione di patrimonio pubblico o di nuovi immobili privati di pregio che per qualsivoglia motivo vengono candidati alla vendita, i nostri immobiliaristi aprono lo champagne. Le voci in questi casi corrono veloci, specialmente a Roma dove i tesori del centro sono sempre nelle mire dei costruttori. Al contrario (è la cronaca di questi giorni), ha fatto infuriare i re del mattone della Capitale (Caltagirone, Saltarelli e Bonifaci giusto per citarne qualcuno) la decisone della sovrintendenza dei beni culturali di vincolare una grossa fetta di terreno a Sud di Roma (4500 metri quadrati confinanti con l’Agro Romano) già destinata dal vecchio Piano regolatore per i progetti di social housing che vede i costruttori in questione schierati in prima fila. Sarebbe questa, secondo i maligni (ben informati), la vera battaglia che si sta giocando oggi nella capitale dal punto di vista dell’immobiliare.
Il momento per il mattone di pregio non è quindi dei migliori ma qualcosa si muove sottotraccia. L’ex palazzo della Fiat, in via Manzoni sarebbe in attesa di un compratore, come anche palazzo Siri in via del Corso e l’ex sede di Banca Generali in via Veneto. Tutti e tre sono di proprietà della Aedes, società milanese attualmente di proprietà della famiglia Castelli che nel 2006, dopo essere diventata il primo azionista con una quota di oltre il 26% tramite la crescendo family holding (cfh), ha dato il via al processo di internazionalizzazione del gruppo in Germania e Svezia e poi nell’Europa dell’Est. I cinquantamila metri quadrati targati Fiat, secondo l’inserto romano de Il Sole 24 Ore di una settimana fa sarebbero finiti nelle mire della comunità cinese. Siamo nel quartiere Esquilino e qui i cinesi si sono praticamente espansi metro su metro, acquistando case e negozi a peso d’oro e dando vita a una sorta di città nella città, una Chinatown nel cuore di Roma. Non stupisce neanche un po’ quindi se i cinesi vogliano acquistare l’immobile. In via del Corso c’è invece Palazzo Siri, al quale sarebbero interessati i Legionari di Cristo, congregazione religiosa maschile di diritto pontificio. Davanti al Ministero dell’Industria, in via Veneto 53, c’è invece l’ex sede delle Generali, che si vocifera sia finita nel mirino dell’Intermedia – la banca d’affari fondata un anno e mezzo fa e che proprio in questi ultimi mesi è stata ristrutturata per i nuovi business – di Giovanni Consorte. Sempre nella strada della Dolce Vita felliniana e sempre di proprietà della Aedes è il palazzo del Cafè de Paris, al quale sarebbe interessato l’immobiliarista Vittorio Casale, intenzionato a completarne l’acquisto.
L’operazione-dismissione-patrimonio-pubblico merita invece un discorso a parte. E’ stata contemplata nei programmi elettorali dei due maggiori partiti e dal punto di vista liberale dovrebbe essere tra le prime operazioni nell’agenda del Governo. Se ne parla tutte le volte che c’è un’emorragia finanziaria da tamponare ma alla prova dei fatti l’ipotesi rimane sempre solo sulla carta. Il discorso è semplice: i beni immobiliari detenuti dalle pubbliche amministrazioni rappresentano una voce molto consistente, nell’ordine di oltre 400 miliardi di euro a valori di mercato – oltre il 20 per cento del PIL – e l’alienazione anche solo parziale di questo ingente patrimonio potrebbe ridurre significativamente il debito e i pagamenti in conto interessi che su di esso gravano (si veda al riguardo il paper a cura della Fondazione Magna Carta e dell’Istituto Bruno Leoni). Anche qui ovviamente, interessati a comprare sono i costruttori: molti dei beni in mano agli Enti previdenziali da anni sono “affidati” a terzi che non disdegnerebbero l’idea di impossessarsene. L’occasione è ghiotta. Non è un mistero per esempio, l’interessamento del costruttore romano Domenico Bonifaci a Palazzo Wedekind, di proprietà dell’Inps: lo storico immobile ospita il quotidiano Il Tempo, di proprietà dello stesso Bonifaci che non disdegnerebbe affatto l’acquisto dell’intero stabile. Insomma, nonostante il momento di crisi, gli acquirenti non mancherebbero.
Di certo non è mancato l’interessamento per la Galleria Albero Sordi, il primo shopping mall nel centro di Roma, venduta appena qualche giorno fa all’Enasarco, la cassa di previdenza di agenti e rappresentanti di commercio. Era di proprietà del Gruppo Toti che l’aveva riqualificata dopo averla comprata da Beni Stabili. Dopo una corte serrata che ha visto scendere in campo perfino investitori libici, la Galleria è stata acquistata attraverso un fondo immobiliare in cui la cassa ha investito per un importo complessivo di circa 180 milioni di euro (la cessione farebbe parte del piano di ristrutturazione del debito che il gruppo immobiliare sta mettendo a punto con le banche). E’ di qualche mese fa invece la vendita del primo "diamante" immobiliare di Stefano Ricucci, andato alla famiglia Brachetti Peretti attraverso Api Real Estate, la società immobiliare della famiglia. Si tratta di Villa Corelli, splendida magione romana in stile liberty messa all’incanto nell’ambito della procedura fallimentare della Magiste International, la capogruppo dell’ex furbetto del quartierino, fallita il 17 gennaio del 2007.
Il mercato immobiliare sarà anche fermo ma quando si tratta di immobili di prestigio, davanti a chi ha necessità di far cassa (come il Gruppo Toti che probabilmente mai si sarebbe voluto disfare di un gioiello come la Galleria Colonna) c’è sempre qualcuno disposto a sborsare fior di quattrini. E’ l’altra faccia della crisi.