A sinistra non ricordano che fu Draghi il primo a parlare di tassare l’oro

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A sinistra non ricordano che fu Draghi il primo a parlare di tassare l’oro

05 Agosto 2009

Se provate a cercare su Internet non risultano modelli non italiani all’idea di un’imposta sulle plusvalenze delle riserve auree della Banca Centrale, e d’altra parte lo stesso ministro Tremonti nel difendere l’idea non fa riferimento a precedenti importanti. Ricorda invece che l’Italia ha “la quarta riserva aurea del mondo”. In effetti al marzo del 2009 era la sesta, ma mettendo dentro l’intera Eurozona e il Fondo Monetario Internazionale. Più precisamente: Eurozona 10.856,9 tonnellate d’oro; Stati Uniti 8133,5; Germania 3412,6; Fondo Monetario Internazionale 3217,3; Francia 2487,1; Italia 2451,8. A giugno, però, la quota francese era scesa a 2450,7. Questo perché ciò che invece ha molti precedenti è la vendita di una parte di queste riserve.

In particolare, tra 1999 e 2004 ben 2000 tonnellate sono state messe sul mercato dalle banche centrali di Regno Unito, Olanda, Austria, Svizzera, Germania e Portogallo. La Svizzera dopo un referendum, e per finanziare i rimborsi per i beni ebraici incamerati durante il nazismo. Il “tesoro” italiano, invece, è invariato da 11 anni. L’Italia è l’unica nazione dell’Eurozona a non aver venduto un solo grammo di oro dal 1998; e anche l’unico firmatario degli Accordo sull’Oro tra le Banche Centrali del 1999 e del 2004, benché le due intese abbiano permesso appunto la vendita rispettivamente di 2000 e di 500 tonnellate.

In realtà, non è che non ci abbia provato. In particolare, fu il governo di Romano Prodi che esattamente due anni fa a immaginare “anche nei rapporti con l’Unione europea, una ricognizione di tutti gli strumenti utili a determinare una significativa riduzione del debito pubblico sia con riferimento a forme concordate di utilizzo delle riserve delle banche centrali, in oro e in valuta, eccedenti quanto richiesto dal concerto con la Bce per la difesa dell’euro, anche sulla base delle esperienze di altri Paesi, sia con riferimento alla classificazione delle operazioni patrimoniali e delle partite finanziarie, nonché ad aprire nuovi spazi per forme più qualificate di spesa pubblica". Vari esponenti di centro-sinistra che oggi attaccano Tremonti sostennero il provvedimento. Vari esponenti di centro-destra che oggi difendono la gold tax tacciarono Prodi di “Capitan Uncino” “all’assalto dell’oro dell’Italia”. E in realtà fu proprio Draghi a spiegare allora che “solo le plusvalenze” avrebbero potuto andare a riduzione del debito, e per una proporzione infima. Insomma, in qualche modo fu lui a indicare a Tremonti il possibile percorso.  Solo che Draghi allora aveva parlato di 6 miliardi, mentre la legge attuale non ha ecceduto i 300 milioni. D’altra parte in tempi recenti la Bce ha bloccato varie volte i tentativi di alcuni Paesi membri di toccare le proprie riserve auree: nel 1997, nel 2005 e nel 2005 avvenne alla Germania; nel 2001 all’Irlanda; nel 2003 alla Finlandia. 

L’alta posizione in classifica delle nostre riserve auree può apparire tanto più sorprendente se si pensa che nel passaggio dal Regno alla Repubblica erano state drasticamente decurtate. Nel 1944 le Ss di Kappler misero infatti le mani a Roma sulla riserva aurea della Banca d’Italia, e anche su quella di Belgrado, trasferita anch’essa in un sotterraneo di Via Nazionale dopo che il Regio Esercito era riuscito impadronirsene nel 1941, al momento del crollo jugoslavo. E di almeno una quarantina di tonnellate non si sa che fine abbiano fatto, così come sono pure scomparse le altre riserve che i tedeschi avevano già trafugato in Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Grecia: si favoleggia disperse in depositi segreti sparsi tra la Corsica, i laghi austriaci e il Monte Soratte.

Ma la Germania Federale nel 1976 chiese gran parte delle nostre riserve auree come pegno per un prestito al nostro Paese in difficoltà: una garanzia che venne comunque restituita una volta che il debito fu saldato. E ciò spiega come l’oro sia stato in passato utilizzato dal nostro Paese proprio per sostenere la credibilità di un sistema che svalutava in continuazione. Adesso, in tempi di Euro, la necessità non ci sarebbe in teoria più. Ma non sapendo la Bce come andrà a finire la presente crisi e nutrendo in fondo molti europei verso di noi ancora ataviche diffidenze, insiste perché ce lo teniamo.