A Tata non basta la Nano per invadere il mercato

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A Tata non basta la Nano per invadere il mercato

A Tata non basta la Nano per invadere il mercato

04 Aprile 2008

Ratan Tata, con il lancio della
sua nuova “Nano” turba i sonni dei produttori di automobili e in particolare di
quelli americani ed Europei alle prese con l’asfissia dei mercati saturi. E’ un
Indiano a riaprire il tema della competitività delle nostre economie
industriali nell’era della globalizzazione.

 

Molti
analisti, tra i più pessimisti, hanno evocato una rivoluzione della mobilità
urbana paventando, per dirla con  Clayton
Christensen ,“la commoditysation” dell’auto. Quel movimento intrinseco che comporta
la mercificazione di un bene di consumo sarebbe nella natura di tutti i
prodotti industriali e, se reale, avvantaggerebbe enormemente i paesi in via di
sviluppo nella corsa competitiva con gli Stati Uniti e ancor di più con la
vecchia Europa. Come una sorta di sintesi storica aprioristica, si ritorna al
paradigma originario di tipo fordista riassunto nell’aforisma “chiedetemi
qualsiasi modello purchè sia una Ford-T nera”. Ora nella parte di Henry Ford
recita Ratan Tata, “chiedetemi qualsiasi veicolo purchè sia una Tata Nano
nera”. Così nella vita economica di un bene industriale scandita dal ciclo
inesorabile di tesi-antitesi-sintesi, l’antitesi è il periodo odierno nel quale
i produttori cercano di riempire tutte le nicchie di mercato con una combinazione
di prodotti e versioni che portano inevitabilmente il sistema alla crisi e, in
un momento successivo, alla sintesi.  Il
ritmo competitivo però, per gli affezionati neomarxisti dell’economia, ha un
imperativo categorico, la sintesi è necessariamente ciclica, cioè, guarda al
passato.

 

Quello
che manca a questa analisi è proprio la sensibilità storica. 

E’
vero, il panorama competitivo del settore automotive sta cambiando. I
produttori dei paesi emergenti stanno conquistando posizioni a scapito dei produttori
occidentali; il perimetro del targeting si è ampliato ed è sempre più
complesso. Tuttavia l’aumento della complessità dei mercati è ben lungi dallo
sfociare nella mercificazione dei beni industriali, perché la sintesi del ciclo
economico, è per sua natura competitiva, quindi orientata al futuro.  Mi spiego. Poco tempo dopo che la Nano è
stata presentata al salone di Ginevra, la Tata ha siglato una delle più grosse
acquisizioni della storia Indiana.  Si è
aggiudicata, per un ammontare di 2,3 miliardi di dollari i marchi Jaguar e Land
Rover fino a pochi giorni fa di proprietà del gruppo Ford. Il produttore
americano ha così completato la cessione dei marchi che facevano parte della
divisione Pag (Premier Auto Group).

Quindi,
il produttore dell’auto-commodity ha acquistato due marchi di lusso europei,
dichiarando inoltre di voler mantenere le rispettive fabbriche produttive nel
Regno Unito per preservarne la finestra tecnologica e la tradizione.  Il colosso indiano sta cercando di
posizionarsi su tutti i segmenti di mercato, di assicurarsi un portafoglio
completo e  redditizio dal punto di vista
economico finanziario, e può farlo solo assicurandosi due realtà produttive
europee.

La
logica economica di queste scelte strategiche è dettata più dalle sinergie di
ricavo  che da quelle di costo. Tata
produrrà modelli “commodity” per soddisfare la domanda di mobilità dei
consumatori con scarso potere d’acquisto, e modelli custom di alta gamma per
viziare i consumatori con potere d’acquisto superiore. I primi porteranno
volumi e quote di mercato laddove i secondi assicureranno margini e
redditività.

La
Nano non nasce come risultato naturale della mercificazione come sintesi
immanente, ma come volontà di soddisfare una nuova domanda di mobilità. I
consumatori delle metropoli indiane si affacciano sul mercato come un nuovo
target, con esigenze diverse. Così, il quasi contemporaneo acquisto di Land
Rover e Jaguar nasce proprio con il desiderio di “de-mercificare” il
portafoglio strategico dell’azienda.

 

            Il terreno nel quale si disquisisce
è ovviamente quello della globalizzazione che apre un eterno dibattito sul futuro
competitivo delle nostre economie minacciate dalla commoditysation che
avvantaggia i paesi con vincoli legislativi blandi e basso costo della manodopera.
Tuttavia la prassi competitiva ci svela una storia diversa: l’emergere di una
segmentazione più profonda e l’evolvere continuo delle esigenze dei consumatori
mondiali. Il bacino dei consumatori è sempre più folto e complesso. Le
competenze per soddisfare esigenze diverse derivano dal patrimonio storico dei
singoli paesi, sono legate a caratteri culturali e sociali che difficilmente
saranno abbattute dal basso costo della manodopera o dalla pesantezza
burocratica.

 

            Nel voler vedere una sintesi
aprioristica nel ciclo economico-industriale è nascosta la tentazione di
ridurre le esigenze umane a commodity per togliere il pallino al mercato, che è
e rimane, fino a che la prassi non dimostrerà il contrario, il vero driver
competitivo

 di tutti i settori produttivi.