A Yalta l’Occidente pagò a Stalin un prezzo troppo alto in nome della libertà

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A Yalta l’Occidente pagò a Stalin un prezzo troppo alto in nome della libertà

04 Aprile 2010

Gli Argonauti, eroi della mitologia greca, a bordo della nave Argo andarono alla conquista del vello d’oro, preziosa pelle d’animale in grado di far volare chi la indossa. L’ornamento era protetto da un drago possente e potentissimo. Agli Argonauti, formidabili guerrieri, si richiama in apertura di un impegnativo saggio, lo studioso di Harvard Serhii M. Plokhy. Argonauti della libertà, a suo parere, furono Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill. Il drago che non dorme mai col quale dovettero combattere fu Stalin, e il vello d’oro l’assetto dell’Europa una volta conclusa la guerra ad Hitler. Il teatro della lotta fu la conferenza di Yalta. Lì si incontrarono i tre grandi, nel febbraio del 1945, per prendere impegnative decisioni.

Plokhy sin dal sottotitolo del suo ponderoso e ponderato studio, è chiaro negli intendimenti: Yalta. The Price of Peace (Viking, pagine 451, $ 23,40, acquistabile anche in ebook per Kindle $ 19,54). A Yalta fu pagato un prezzo altissimo. Dal 4 all’11 febbraio, nel confortevole scenario della Crimea, nella vecchia residenza estiva dello zar Nicola II, Stalin portò a termine un capolavoro diplomatico. La Germania hitleriana era ormai al collasso. Dall’imminente vittoria doveva dunque uscire un nuovo ordine, naturalmente democratico. Almeno di questo erano convinti gli Argonauti della libertà Roosevelt e Churchill. Finita la guerra, l’Europa sarebbe stata libera, e la ritrovata libertà avrebbe portato  il bagno purificatore delle elezioni democratiche. La Germania sarebbe stata disarmata e smembrata in quattro aree provvisorie di controllo, operato rispettivamente da americani, sovietici, inglesi e francesi. La Polonia sarebbe stata libera e attraverso libere elezioni avrebbe scelto un governo democratico. In Jugoslavia ci sarebbe stato un governo composto dai monarchici esiliati e dai comunisti di Tito. Anche altre decisioni vennero prese a Yalta. Militari, come i pesanti bombardamenti aerei anglo-americani nelle aree di guerra e l’impegno, fortemente voluto da Roosevelt, di creare un organismo internazionale, sul modello della Società delle Nazioni (sarà l’ONU), per governare la politica mondiale.   Ma, a causa della piega successiva assunta dagli avvenimenti storici, le decisioni principali destinate a lasciare una traccia profonda nel corso della seconda metà del Novecento, si rivelarono quelle riguardanti il futuro dell’Europa Orientale.

Una vulgata storiografica ancor oggi molto diffusa, indica nella conferenza di Yalta l’origine della spartizione dell’Europa in sfere d’influenza, e la relativa nascita della politica dei due blocchi contrapposti. I politici europei, sulla scia di De Gaulle, hanno considerato Yalta il tradimento di una parte d’Europa. I repubblicani americani hanno imputato a Roosevelt più o meno le stesse responsabilità, fino a George Bush, che nel maggio del 2005 paragonò gli accordi di Yalta al patto Molotov-Ribbentrop del 1939, che sanciva la spartizione della Polonia.  Lo studio di  Plokhy suggerisce un paragone con l’altra grande conferenza europea novecentesca, Versailles, tenutasi nel 1919. Da quella conferenza i paesi vincitori della Grande Guerra uscirono convinti di aver bloccato un conflitto futuro, e di poter ricostruire la vita politica europea su basi liberali.

A Yalta i due Argonauti occidentali arrivati dopo un lungo e faticoso viaggio, particolarmente stancante per Roosevelt, già seriamente malato, nel mite clima della Crimea, ritennero di prendere decisioni epocali, coraggiose e necessarie alla costruzione di un mondo migliore. Non tennero però nella dovuta considerazione l’abilità e la spregiudicatezza del drago, mascheratosi da bonario anfitrione. Stalin di fatto portò a termine un capolavoro politico. Roosevelt e Churchill venivano da buone famiglie, ed erano stati brillanti alunni nelle migliori scuole private d’America e d’Inghilterra. Il georgiano Stalin si era formato invece in un seminario ortodosso. Ma si dimostrò assai più preparato, informato (anche grazie ad una efficiente rete di spionaggio) e determinato dei due alleati-avversari. Dalla sua parte Stalin aveva lo scenario militare.

All’inizio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa nell’avanzata hanno conquistato Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Ucraina e Moldavia. Gli eserciti sovietici ormai sono giunti alle porte di Berlino, mentre le armate anglo-americane stanno affrontando i nazisti nelle Ardenne. Stalin sa che una volta caduto il nazismo e terminate le attività militari, il potere di Mosca può allungare i tentacoli, anche con lo spregiudicato uso della forza, in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Albania, nella parte di competenza della Germania (che diventerà la Germania Est). Negli anni successivi i sovietici si ritireranno soltanto parzialmente dalla Germania (dividendo in due Berlino), e totalmente dall’Austria.

Fu questo il prezzo pagato per la pace di cui parla Plokhy, il sacrificio della libertà di una larga fetta dell’Europa, riacquistata solo dopo la caduta del regime comunista sovietico. Stalin si rivelò spregiudicato e fortunato. Difatti dopo nemmeno sei mesi dall’incontro di Yalta, i due interlocutori erano fuori gioco: Roosevelt era morto improvvisamente in aprile, e Churchill nell’estate era stato incredibilmente battuto alle elezioni dal laburista Clement Attlee. Ma nonostante ciò, a Yalta Stalin non aveva un piano preciso di espansione. L’idea della rivoluzione mondiale non era stata ancora definitivamente abbandonata, anche se la lotta tra comunismo e capitalismo (e Roosevelt e Churchill ai suoi occhi erano i leader più avanzati del capitalismo) restava la stella polare. Churchill si era presentato all’incontro di Yalta nutrendo sentiti sospetti nei confronti di Stalin. La sorte della Polonia gli stava a cuore. Non voleva mettere nelle mani dei comunisti il futuro dei polacchi. Ma non trovò una sponda troppo favorevole in Roosevelt. Gli interessi degli americani erano ben diversi da quelli degli inglesi. Questi ultimi ragionavano ancora attraverso uno schema imperiale, e l’obiettivo principale era la salvaguardia del mare Mediterraneo; gli americani invece l’impero intendevano costruirlo sul potere persuasivo delle merci. Da Stettino a Trieste, dal Baltico al mare Adriatico, dirà Churchill nel celebre discorso del marzo 1946, è calata una “cortina di ferro”. Ma ormai era troppo tardi.

Potevano resistere a Yalta? Potevano fare di più i due Argonauti occidentali? Purtroppo non potevano, come si evince delle sottili e ragionate riflessioni di Plokhy. Due differenti approcci alle relazioni internazionali vennero messi sul tavolo di Yalta. Stalin aveva le idee chiare su quale sarebbe stata l’area di espansione per il comunismo, in virtù delle vittorie militari. La documentazione sovietica consultata da Plokhy, contribuisce a definire nettamente i contorni di questo disegno politico di potenza. Inoltre Stalin al massimo deve dare conto delle azioni intraprese ai componenti più autorevoli (e neppure a tutti) del Politburo. Non ha partiti politici o interessi economici ai quali rispondere dell’operato, e alle porte non c’è nessuna elezione da affrontare. Inoltre il dittatore georgiano è un rivoluzionario di professione, il redivivo Zar di una nuova religione secolarizzata, alla quale crede ciecamente. Roosevelt, l’11 aprile 1945, un giorno prima di morire, detta alla segretaria il discorso che terrà in occasione dell’anniversario della nascita di Thomas Jefferson. In un passaggio dice: «Il lavoro, amici miei, è la pace».

Stalin vede la pace solo come un passaggio necessario nella lotta di classe. Date queste premesse da Yalta non poteva che nascere la Guerra Fredda.