Abbiamo diritto a sperare

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Abbiamo diritto a sperare

25 Ottobre 2020

Speranza. Oggi più che mai ne sentiamo il bisogno! Basta solo la parola per rifocillare la mente!
Una radice ariana del verbo “sperare” suggerisce che lo stesso porta con sé il significato di “stendere”, “tendere verso”.

Chi spera, ha in sé un impulso nel tendere verso qualcosa, verso una meta, verso un pertugio di luce apertosi nel buio. E nel cercare di raggiungerlo, chi spera, brama di farlo in fretta, il più presto possibile.

Cosa c’entra tutto questo con la fase che stiamo vivendo? Tantissimo. In una fase di incertezza esistenziale, istituzionale, lavorativa, fisica, mentale e ognuno ci aggiunga la sua personale, la cosa più importante è non smettere di credere che una possibilità di uscire dal buio c’è. Non è retorica. È una realtà da non sottovalutare.

Avere speranza, in questa fase, significa avere quasi un vaccino naturale contro la forza distruttiva del virus: una persona debilitata mentalmente è più fragile di una persona che è capace di guardare l’orizzonte con coraggio. Ecco perché tg e giornali che si sono lasciati andare a toni terroristici sul virus, hanno una grande responsabilità anche sulla salute mentale e dunque fisica. Non è uno scherzo! È così!

Per questo non ci dobbiamo stupire se la rabbia inizia ad affiorare. I fatti di Napoli, ancora tutti da accertare, narrano una rabbia che inizia a salire.
Swg, la nota agenzia di sondaggi, oltre a sottolineare che è l’incertezza il vero sentimento che accomuna gran parte del campione intervistato (60%), riferisce che per il 23% degli intervistati è la rabbia il vero sentimento. Un dato mai così alto dall’inizio della pandemia.

Ecco perché è ora che il governo cambi marcia. Soprattutto alla comunicazione istituzionale. Basta bozze di provvedimenti, spifferi di chiusure o simil lockdown: gli italiani hanno bisogno di una comunicazione semplice, chiara e pulita. Così si combatte il virus dell’incertezza. Così non si uccide la speranza. Così non si smette di credere che “ne usciremo”, così non si smette di lottare. Diversamente, la depressione – non solo fisica, ma anche economica – è dietro la porta. Dire che “siamo un grande Paese” ora non basta più. Ora servono solo fatti e chiarezza.

Detto questo, viene da chiedersi come si fa a sperare anche in un contesto come questo. Sperare significa credere e credere significa avere fede. E qui viene il bello. Forse non siamo capaci più di avere speranza perché non abbiamo più fede in nulla. Abbiamo provato a costruire una società autoisolata, fondata sul fare come cifra sociale e, sull’apparire come cifra dell’essere. Una nuova “Babele” che ora sembra crollarci addosso. Ed era inevitabile che fosse così.

L’uomo è un essere “credente”. È nato per credere, per fidarsi di qualcuno perché è un essere costitutivamente in relazione.

Volendo costruire oggi un uomo-automa, che si fa da sè, che vale solo se primeggia sugli altri, che vale se ha dei titoli da mostrare, che vale solo se fa, che vale solo se è un “homo faber”, la nostra società si condanna all’autoisolamento.

Non solo. Condanna l’uomo ad essere schiavo della paura. Paura di non valere, di non essere, di non saper fare. E così, basta anche un mostriciattolo invisibile capace di impedire l’agire, il fare, che viene giù il castello e all’improvviso sembra di non esistere e di non essere più utili a niente.

Oggi, non c’è da stupirci se il Covid abbia amplificato all’inverosimile depressioni e patologie ansiogene. Se puntiamo a costruire l’essere sul fare, finiremo per non sapere più chi siamo. E il Covid, esistenzialmente parlando, sta mettendo in luce proprio questo aspetto. Siamo depressi perché non sappiamo più chi siamo. E non sappiamo chi siamo perché abbiamo smesso di credere, di fidarci di qualcuno: abbiamo eliminato l’altro, e soprattutto l’Altro, il trascendente.

Non è un caso che, in piena pandemia, è bastato che un Pezzo di Pane – che per chi crede è un corpo vivo, il corpo di Cristo – venisse esposto al mondo in una Piazza San Pietro spettralmente vuota, per tenere incollati a tv e smartphone, emozionare, unire, rientrare in sè, milioni di persone. Quel momento, per molti, è stato l’inizio di una nuova speranza. Speranza certa.

Se con il Covid crollerà la società del “distanziamento esistenziale”, forse la vera Speranza tornerà a trionfare. E ce ne accorgeremo.