Abdullah incontra Benedetto XVI e lancia la sfida all’Islam radicale
07 Novembre 2007
A conferma della totale incomprensione occidentale del mondo
islamico e della intelligenza strategica, oltre che pastorale, di Benedetto
XVI, la storica visita del re Abdullah di Arabia Saudita in Vaticano è oggi
confinata nelle pagine interne dei giornali. Invece, è una fatto storico, di
straordinaria rilevanza e spessore che segnala un atto di coraggio da parte del
sovrano saudita, che ha così lanciato alla umma
musulmana, con forza, per la prima volta dall’11 settembre 2001, un segno di
svolta radicale e profonda. La portata storica di questo incontro potrebbe essere paragonabile, negli effetti, alla visita di Sadat a Gerusalemme nel 1977.
Per il mondo wahhabita, per i seguaci delle 15.000 moschee che i sauditi hanno fondato nel mondo negli ultimi
30 anni, la stretta di mano tra re Abdullah e il pontefice è fonte di
straordinario stupore, interesse, motivo di profondissima riflessione. Un gesto
che solo fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile, quasi blasfemo, perché
l’essenza dello scisma wahhabita-salafita si sintetizza proprio in un rigido,
assoluto, feroce rifiuto dei riti idolatrici di cui il cristianesimo è
accusato. L’essenza dello scisma wahhabita è racchiusa proprio in un rifiuto
violento, jihadista dello sciismo (accusato di idolatria per il culto degli
Imam) e il cristianesimo, accusato di idolatria e politeismo per il culto della
Croce, dei Santi, della stessa Trinità, secondo gli insegnamenti del medioevale
Ibn Taymmyya che arrivò sino a disporre che le chiese cristiane non dovessero
essere riparate, perché il tempo si incaricasse di risolvere il problema di un
culto apostatico.
Re Abdullah non rinnega nulla – formalmente – dell’ideologia
del suo regno, ma compie un gesto di pace e anche di umiltà. Si reca lui,
custode dei luoghi sacri della Mecca e di Medina, a rendere omaggio al capo
della Chiesa romana, gli stringe la mano, lo riconosce pienamente, insomma
quale autorità religiosa centrale nel
mondo, e infine accetta che venga diramato un comunicato della Santa Sede in
cui si rimarca la necessità di intesa e di dialogo tra musulmani, cristiani ed
ebrei. Ed ebrei! Questo passaggio è tanto dovuto alla stessa teologia
musulmana, quanto addirittura eversivo, oggi, nella sua condivisione da parte
del re saudita.
Solo poche settimane fa ha avuto immeritato rilievo un
appello di 138 esponenti musulmani alla cristianità, in cui, per evidenti,
intollerabili ragioni, gli ebrei non venivano nominati, venivano addirittura
espulsi dai “popoli del libro” di matrice coranica, a ennesima riprova dell’antisemitismo
implicito in ogni gesto di antisionismo contemporaneo. Quell’appello ambiguo
era firmato anche da Talal bin Abdulaziz, fratellastro di re Abdullah, con fama
di progressista, ma pur sempre prigioniero delle pastoie antigiudaiche e
antisemite del wahhabismo.
Oggi, re Abdullah, con la sua stretta di mano al Papa, col
comunicato finale che cita esplicitamente gli ebrei, dà inizio ad una operazione
coraggiosa, che gli costerà un prezzo pesante, forse pesantissimo, anche sul
fronte interno. Apre infatti alla cristianità per prepararsi ad aprire – a
certe, rigide, rigidissime condizioni, naturalmente – anche a Israele.
Questo è il senso straordinario della sua visita, del
sottile lavoro di tessitura diplomatica che l’ha preparata ad opera – non a
caso – di Saud al Faysal, che oggi è ministro degli Esteri, che ieri era – e lo
è stato per 20 anni – ambasciatore saudita negli Usa e che domani sarà re
dell’Arabia Saudita. Questa visita, dunque, segna l’inizio di una manovra di
spostamento radicale dell’Arabia Saudita sulla scena musulmana. Da tempio
immobile nella conservazione della più rigida e settaria ideologia jihadista – malamente
controbilanciata dalla spregiudicata capacità affaristica e manovriera della
famiglia degli al Saud – a protagonista di un cautissimo, ma sostanziale,
tentativo di re-integrazione nell’alveo del confronto tra le tre religioni che
aveva caratterizzato certo Islam iberico medioevale e che è sempre stato
rifiutato nella modernità dall’Islam arabo (ma non da quello indiano). Il
terrorismo islamico di Osama bin Laden, il suo jihad contro “ebrei e crociati”,
così come l’odio antisciita di al Zarqawi e dei suoi emuli iracheni sono i
figli legittimi dell’ideologia wahhabita. Col suo gesto di pace nei confronti
del Papa, re Abdullah prende finalmente il coraggio e dà un segnale forte di
contenimento del settarismo: va dal Papa e cerca, in prima persona, un percorso
comune. Straordinario.
Anche il fondamentale cammino per il riconoscimento di
Israele da parte di Riyad, non passa tanto o soltanto per l’accettazione del
piano di pace di re Fahd fatto proprio dalla Lega Araba quest’anno, ma anche e
soprattutto per i corridoi del Vaticano di Benedetto XVI. Un percorso da
seguire con attenzione.