Addio “cinepanettone”, è arrivata la Banda dei Babbi Natale
25 Dicembre 2010
Come di consueto, il Natale oltre a regali e cenoni e panettoni, porta con sé un piatto forte, cinematograficamente parlando: i film natalizi. I gusti degli italiani che vanno al cinema per le festività natalizie si sono delineati con chirurgica chiarezza. Ancora una volta Natale in Sudafrica, “cine-panettone” confezionato come d’abitudine da Neri Parenti, sale in testa alla vetta del box-office (3,2 milioni di euro nel primo fine settimana di programmazione). La separazione verificatasi qualche anno fa tra Massimo Boldi e Christian De Sica, e la relativa entrata di Massimo Ghini al fianco di quest’ultimo, sembrava aver tolto al “cine-panettone” sulle vacanze di Natale degli italiani la patina di sguaiataggine e demenzialità. Per un po’ la nuova formula ha funzionato. Poi macchina indietro, con il ritorno alle origini, con il costante riferimento ai genitali maschili e femminili e all’universo scatologico.
Natale in Sudafrica è suddiviso in due episodi. Nel primo Carlo (Christian De Sica) decide di trascorrere le vacanze di Natale in Sudafrica con la seconda moglie Susanna. Lì ritrova causalmente il fratello minore Giorgio (Max Tortora). Non è un piacevole incontro, poiché oltre a truffarlo in passato, il fratello gli ha anche portato via la prima moglie Marta. Carlo nel frattempo è diventato ricco, mentre Giorgio è ad un passo dalla rovina economica. Ma come accade in questa tipologia di commedie, tutto si capovolge costantemente, e con grande rapidità. Il secondo episodio del film ha per protagonisti il chirurgo Massimo (Massimo Ghini) e il macellaio Ligabue, detto Bue (Giorgio Panariello), in vacanza anche loro in Sudafrica, con i rispettivi figli Laura e Vitellozzo, teneri fidanzati. I genitori però trovano subito una comune attrattiva. Non la trovano ovviamente nelle bellezze selvagge della savana, ma nelle curve mozzafiato dell’entomologa Angela (Bélen Rodriguez), impegnata nella caccia ad una rarissima farfalla. Questo è l’essenziale. Il resto è facilmente intuibile.
Il contrasto tra la bravura degli attori (tranne le protagoniste femminili, messe lì, a cominciare da Bélen, per pure esigenze estetiche) e le continue concessioni alla volgarità è davvero stridente. Ma ciò che sorprende in Natale in Sudafrica è la lontananza, davvero abissale, con la realtà. Tutto sommato in moltissimi appuntamenti precedenti la storia messa in scena aveva sempre una (pur se minima) credibilità antropologica, generazionale o di ceto sociale. Le manie, i desideri, gli intoppi, le derive “cafonal” di una tipologia di italiano, beccato nel momento rilassante della vacanza, si riflettevano nello specchio, certo deformante, ma veritiero della finzione cinematografica. Ora, questi flebili legami con il tessuto sociale, sono davvero svaniti in un nulla sciatto e triviale.
Di ben altra pasta è fatto La banda dei Babbi Natale, nuovo appuntamento con Aldo, Giovanni e Giacomo in forma smagliante, per la regia di Paolo Genovese (difesosi benissimo: 2,5 milioni). I tre vengono arrestati a Milano, la notte della Vigilia, sotto la neve, vestiti da Babbo Natale, arrampicati su un balcone di un palazzo. Arrivano in commissariato proprio mentre il funzionario di turno, Irene Bestetti (Angela Finocchiaro), sta per lasciare l’ufficio, per trascorrere la serata di festa in famiglia. Comincia così un’esilarante avventura per svelare la ragione che h spinto i tre (giocatori di bocce a tempo perso e non certo dei malfattori: il primo veterinario alle prese con due famiglie, una in Svizzera e l’altra in Italia; il secondo fannullone con il vizio del gioco d’azzardo; il terzo dottore vedovo tormentato dal ricordo della moglie) siano stati colti in flagrante, peraltro vestiti come una vera banda specializzata in furti negli appartamenti. A spingere il terzetto ad arrampicarsi sui muri della facciata sono stati l’amore e l’amicizia.
Aldo, Giovanni e Giacomo finalmente dopo una serie di giri a vuoto, ritrovano la misura del loro tempo migliore, rinunciando alle caricature, all’impianto teatrale e talvolta assurdo (che comunque ogni tanto riaffiora). La banda dei Babbi Natale scorre veloce: tra una perfomance straordinaria della suocera cattivissima Mara Maionchi, che assesta legnate con precisione a destra e a manca, e una fugace e divertentissima apparizione di Cochi Ponzoni, al quale viene rimesso in funzione il pacemaker con i cavi attaccati alla batteria di un’auto. Se la volgarità è il tratto predominante di Natale in Sudafrica, tutto il contrario si può dire di La banda dei Babbi Natale.
Film americano, ma girato quasi totalmente in Italia, è The Tourist. Sulla carta c’è tutto per un capolavoro del genere “intrigo internazionale”. Breve apertura nella splendida Parigi. Lì si aggira un’altrettanto splendida Angelina Jolie, braccata a vista da un nucleo di agenti speciali e super tecnologizzati. Il set si sposta rapidamente nella non meno splendida Venezia. Il mezzo di trasporto del viaggio è il treno, e in una carrozza ci si imbatte in Johnny Depp. Il regista al quale è stata affidata la cura di una delle “coppie più bella del mondo” è il tedesco Florian Henckel (premio Oscar per “Le vite degli altri”). Con un salto brevissimo ci troviamo dall’incantevole caffè parigino nella meravigliosa suite del Danieli, con vista sul canale. E poi abiti, vestiti, gioielli, balli, cene a lume di candela: la bellezza scultorea e conturbante di Angelina (sembra che in realtà a recitare sia una statua di cera, modello madame Toussot); il volto barbuto e capelluto del filibustiere Johnny. Ma il film è tutto qui.
Bello nella forma, vuoto nella sostanza. Negli Stati Uniti The Tourist è andato maluccio. Ma nel resto del pianeta, a partire dall’Italia (1,9 milioni), spopola. Perlopiù si sonnecchia, ma un paio di balzi sulla sedia sono assicurati. Ad esempio quando appare Nino Frassica nelle vesti di un carabiniere (ma come è possibile: il militare di Don Matteo si è trasferito in un film del genere James Bond!), o Christian De Sica nei panni di un commissario di polizia, o Raul Bova nobiluomo in smoking che ammicca qualcosa all’orecchio di Angelina Jolie. Poi più nulla.
Classico film di Natale è Le cronache di Narnia. Il viaggio del veliero, per la regia del collaudato Michael Apted. Terzo appuntamento (i racconti della serie sono sette) con l’universo fiabesco-cristiano del romanziere irlandese C. S. Lewis, che scrisse “Le cronache di Narnia” tra il 1949 e il 1956. Così come accade nella trasposizione de “Il Signore degli Anelli”, o in quella più pop di “Harry Potter”, anche in Le cronache di Narnia. Il viaggio del veliero il bestiario mitologico pullulante di draghi, entità davvero strane, mostri marini e leoni, è adatto per tutte le età, capace di mettere d’accordo genitori e figli, appassionati di letteratura cristiana ed esoterismo, amanti dell’animazione e dei buoni sentimenti (1,3 milioni).
Nel panorama natalizio ci sono due film italiani che fanno fatica a reggere il confronto con i pesi massimi, ma che comunque meritano interesse. Partiamo dal primo, La bellezza del somaro, di Sergio Castellitto, sceneggiato dalla moglie-scrittrice di successo Margaret Mazzantini. Il film ci presenta il ritratto di una famiglia borghese, aperta, progressista, disincantata. La figlia è un’adolescente bravissima nello studio. I genitori incarnano la deriva permissiva e il giovanilismo a tutti i costi ereditato dallo spirito iconoclasta del Sessantotto. Ma vanno al tappeto davanti alla trasgressione ardimentosa, inaspettata e inspiegabile della figlia.
Se la ragazzina potremmo ritrovarla in strada a lanciar sassi contro la polizia, sicuramente non potremmo trovarci il protagonista di Un altro mondo, diretto e interpretato pure questo da Silvio Muccino, fratello piccolo del più famoso Gabriele. Difatti Andrea, ventotto anni, è un giovane ricco, straricco. Non studia, non lavora, non fa niente. Vive nella Roma bene tra belle case, belle feste e belle serate mondane, che si presumono piccanti e trasgressive. È fidanzato con Livia, ballerina con problemi di bulimia. Poi una lettera del padre morente, che non ha mai conosciuto, gli apre la vita. È la scoperta, appunto, di un altro mondo. Pochi anni dividono i protagonisti di La bellezza del somaro e Un altro mondo. Dall’adolescenza alla gioventù: dalla scuola superiore all’età in cui ci si appresta a superare definitivamente la soglia del mondo reale. I film di Castellitto e di Muccino, pieni di difetti entrambi, offrono però l’interessante ritratto, spesso assai preciso, del malessere esistenziale che attanaglia in maniera uniforme alcune generazioni. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Dunque buona visione e Buon Natale.