Adesso l’Iran tiene in pugno Hamas

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Adesso l’Iran tiene in pugno Hamas

23 Gennaio 2009

Ufficialmente è nell’ottobre del 1992 che, in risposta all’inizio del processo di pace tra Israele e l’Olp, la Repubblica Islamica dell’Iran riconosce Hamas come "il solo e legittimo rappresentante  jihad palestinese", offrendogli un sussidio 30 milioni di dollari all’anno, armi e l’addestramento di 3.000 attivisti nelle caserme dei Pasdaran. In effetti, già nel dicembre del 1990 i leader dell’organizzazione islamista si erano recati a Teheran per partecipare a una conferenza convocata dal regime degli ayatollah in appoggio alla Prima Intifada. Solo che all’epoca la partnership non poteva essere portata al massimo livello, visto il ruolo simbolico ricoperto da Arafat come icona della lotta di liberazione palestinese. E poi, quando negli anni Ottanta l’Iran aveva iniziato a costituire la prima rete di organizzazioni armate sponsorizzate, era stato piuttosto l’altro gruppo della Jihad Islamia a essere individuato come potenziale partner del network che già comprendeva la libanese Hezbollah e altri gruppi sciiti tra Iraq e monarchie del Golfo.

La svolta inizia a maturare dopo la Guerra del Kuwait, quando la sconfitta dell’Iraq di Saddam Hussein rilancia le ambizioni iraniane, mentre l’appoggio dato da Al Fatah al rais mette l’organizzazione di Arafat con le spalle al muro presso i governi arabi, obbligandola a accettare i negoziati di Madrid. La visita dell’ottobre del 1992 tra l’ayatollah Khamenei e Mousa Mohammed Abu Marzuk, l’attuale vicepresidente dell’Ufficio Politico di Hamas e storico ricercatore di fondi per il gruppo, cementa la nuova alleanza. Nel 1993 Hamas apre a Teheran un ufficio proclamando che con l’Iran condivide “una visione identica a proposito della causa palestinese”.  Tuttavia, ancora fino al 2000 l’alleanza non è troppo impegnativa, anche per la debolezza di Hamas, che non è appoggiata da più del 18% della popolazione palestinese. Nel 1999 c’è poi l’espulsione di Hamas dalla Giordania, che separa fisicamente la sua dirigenza in esilio a Damasco dalla Cisgiordania. In questo momento la punta di lancia della strategia iraniana nella regione è l’Hezbollah, con la sua guerra nel sud del Libano.

Ma proprio nel sud del Libano la ritirata israeliana del maggio-luglio 2000 viene vista come una vittoria di Hezbollah che galvanizza gli strateghi di Teheran e di Hamas. Dal settembre dello stesso anno 2000 si accende la Seconda Intifada. Seguono poi l’11 settembre, le guerra in Afghanistan e Iraq, la morte di Arafat e la vittoria elettorale di Hamas del 2006, con la formazione di un nuovo governo palestinese che non si considera più impegnato con gli Accordi di Oslo. Hamas dimostra dunque a Teheran la sua forza, e d’altra parte le sanzioni della comunità internazionale lo costringono a dipendere ancora di più dall’appoggio iraniano. “L’Iran dà ai palestinesi profondità strategica”, dice nel dicembre del 2006 il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh. È Al Fatah a denunciare l’appoggio diretto degli iraniani nel colpo di mano con cui nel giugno del 2007 Hamas si impadronisce di Gaza.

I 30 milioni annuali garantiti dall’Iran a Hamas nel 1993 già nel gennaio del 1995 sarebbero cresciuti a oltre 100 milioni di dollari, secondo una dichiarazione il Direttore della Cia James Woolsey alla Commissione Esteri del Senato Usa. E dopo l’inizio delle sanzioni internazionali il governo palestinese  a guida Hamas afferma che l’Iran sarebbe pronto a coprire l’intero deficit dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Nel giugno del 2006 si assiste allo stretto coordinamento delle azioni tra Hezbollah e Hamas ai confini di Israele, in termini di rapimenti e di lanci di missili. Nell’ottobre del 2006 il ministro dell’Interno Said Sayyam visita l’Iran, ricevendo offerte di generosi aiuti per le Brigate Issa ad-Din al-Qassam, ala militare del movimento. A novembre Hamas dice che l’Iran ha già fornito 120 milioni. A dicembre Haniyeh parla di 250 milioni, che servirebbero a pagare gli stipendi di funzionari e miliziani e a compensare le famiglie palestinesi danneggiate dalle operazioni israeliane. 

“Così come l’Iran islamico difende i diritti dei palestinesi, noi difendiamo i diritti dell’Iran islamico”, aveva detto dopo la vittoria elettorale il responsabile della delegazione di Hamas in Siria Khaled Meshal. “Facciamo parte dello stesso fronte unito contro i nemici dell’Islam”. Il problema però è che a questo punto la stessa Hamas ha perso la propria capacità di agire in modo autonomo. Pressata a accettare una tregua dal martellamento israeliano e dalla comunità internazionale, l’organizzazione si vede infatti minacciare da Teheran il taglio dei fondi se sospenderà i combattimenti. In questo momento, l’Iran ha infatti bisogno di distrarre l’attenzione internazionale dai suoi programmi nucleari.  E tanto peggio per i palestinesi bombardati.