Afghanistan, perché l’attacco di ieri è costato la vita al caporale Di Lisio

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Afghanistan, perché l’attacco di ieri è costato la vita al caporale Di Lisio

15 Luglio 2009

Il copione è stato lo stesso di tanti altri attacchi che, negli ultimi tempi e sempre di più, interessano i militari italiani schierati in Afghanistan. Una colonna di mezzi sulla strada 517, quella che collega Farah, provincia nel estremo ovest del Paese, con la Ring Road, l’anello di asfalto che circonda tutto l’Afghanistan, attraversando alcuni villaggi. Un Ied (Improvised Explosive Device) esplode al passaggio del convoglio. Uno dei mezzi si ribalta. Nell’impatto alcuni degli uomini a bordo rimangono feriti. Questa volta però, alcuni “dettagli” hanno fatto la differenza. Stravolgendo, in modo drammatico, il finale.

Gli “IED” sono ordigni rudimentali, a basso costo, posti al bordo delle strade e “mascherati” da mucchi di pietre, buste di plastica o pezzi di carta o cartone. Gli attacchi di questo tipo sono molto frequenti, soprattutto in questa zona, perché si attagliano perfettamente alla strategia “mordi-e-fuggi” attuata dagli insorgenti della zona. Negli episodi precedenti all’attacco di ieri, la carica esplosiva era stata tale sì da danneggiare il mezzo e provocarne il ribaltamento, ma il rallista, l’uomo che spunta dalla torretta, era sempre riuscito a rientrare nel mezzo riportando solo ferite lievi. Questa volta, invece, la carica esplosiva è stata tale da ribaltare il mezzo molto più violentemente. E il caporal maggiore Di Lisio, rallista appunto, non ha fatto in tempo a mettersi in salvo. Contro questo tipo di ordigni, i Vtml blindati “Lince” (“Santo Lince”, come lo chiamano i militari che viaggiano nella sua pancia) hanno a bordo un dispositivo, chiamato jammer.

Il “Lince” è un italianissimo mezzo blindato, prodotto dalla Iveco, dotato di ogni sistema di sicurezza. In molti, compresi gli americani, ce lo invidiano. E molti Paesi hanno deciso di adottarlo. La vera rivoluzione introdotta con questo mezzo è la cellula interna blindata, indipendente dallo chassis, progettata proprio per proteggere dall’esplosione di mine anticarro e ordigni. Protezione che i vecchi blindati Puma non avevano. Sul fondo, il mezzo ha una piastra a forma di “V” per  deviare le schegge dell’esplosione verso i lati lasciando la cellula intatta. All’interno i passeggeri sono protetti da ben cinque cinture di sicurezza (sulle spalle, intorno ai fianchi e in mezzo alle gambe) che bloccano il corpo al sedile, anche in caso di ribaltamento. Le sicure sullo sportello sono due: “door lock” e “mine lock”, un dispositivo aggiuntivo che mantiene chiuso lo sportello in caso di esplosione. Davanti, hanno un’asta d’acciaio tagliafilo in grado di tranciare eventuali cavi posti di traverso sulla strada al fine di colpire l’equipaggio. Il rallista, in particolare. E poi hanno, a bordo, il jammer, un dispositivo che, attraverso l’emissione di onde radio, neutralizza i dispositivi di azionamento proprio degli Ied. Anche il mezzo su cui viaggiava Di Lisio era dotato di tutti questi sistemi di sicurezza. Ma, di fronte a meccanismi di azionamento diversi, con cavo elettrico ad esempio, come può essere stato quello impiegato ieri, neppure il jammer può nulla.

Farah è la zona più a Ovest dell’Afghanistan, una delle quattro province che insieme a Herat, Ghor e Badghis, compongono la Regione Ovest, pari a un quarto di tutto il Paese, sotto responsabilità italiana. Il grosso del contingente è schierato a Herat. Gli italiani, poi, hanno la responsabilità di una serie di Fob, Forward Operating Base, sparse in tutta la regione. A Bala Morghab, estremo nord, al confine con il Turkmenistan, c’è la base avanzata “Todd”. Lì, tutti i giorni si combatte in appoggio alle truppe afghane che, in prima linea, stanno cercando di riconquistare il controllo del territorio. A sud dell’area, invece, le Fob sono più numerose. La più importante è proprio quella di Farah. E poi c’è la “Tobruk”, a Bala Boluk, nord est di Farah.

Zona molto delicata, questa a sud della regione ovest, dove le infiltrazioni di insorgenti (talebani, trafficanti di droga e di armi) provengono direttamente dai santuari presenti al di là della frontiera con il Pakistan. La regione, poi, confina a sud con le caldissime province di Helmand e Nimruz, da sempre incontrollabili e dove, da qualche giorno, è in atto un’offensiva americana definita come la “più imponente dai tempi del Vietnam”. Secondo alcuni, l’aumento degli attacchi nella zona a responsabilità italiana sarebbe la diretta conseguenza della massiccia presenza americana a sud, che spingerebbe i talebani verso nord, verso zone più “tranquille”. Secondo altri, invece, le due cose non hanno nulla a che vedere: tra la provincia di Helmand e quella di Farah c’è una catena montuosa che rende assolutamente impossibile il passaggio. Anche agli insorti.

Fatto sta, però, che per i traffici illeciti che provengono dal Pakistan, la zona di Farah è fondamentale, perché rappresenta la via più diretta per raggiungere l’Iran. Da lì la Turchia e poi l’Europa. Di conseguenza, è vitale controllare le vie di comunicazione: alcuni tratti della Ring Road e la 517, appunto.

L’estrema delicatezza della regione è testimoniata dalla presenza, a Farah, della Task Force 45, un pugno di uomini provenienti dalle Forze Speciali delle quattro Forze Armate che, in piccolissimi nuclei, effettuano operazioni “molto mirate”. Si chiama “Operazione Sarissa”. E sarebbe dovuta rimanere segreta, prima di tutto per una questione di sicurezza degli uomini che vi partecipano. E poi perché totalmente in dissonanza con quanto “professato” dal precedente governo. Quello che ha stabilito la missione.

Una situazione quindi molto instabile, fluida, destinata ad aggravarsi con l’avvicinarsi delle elezioni, in programma per il 20 agosto prossimo. Un appuntamento al quale le forze della coalizione stanno cercando di arrivare “preparati”: maggiore controllo possibile del territorio, garanzia di un regolare svolgimento delle consultazioni, protezione della popolazione civile, esposta alla minaccia di gruppi di insorti. Che si contendono, con il personale della missione Isaf, il “consenso”, più o meno spontaneo, proprio della popolazione.