Africa: una sfida che non si può rimandare

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Africa: una sfida che non si può rimandare

Africa: una sfida che non si può rimandare

Si possono fare alcune riflessioni in merito a un tema che spesso viene affrontato in questi giorni, vale a dire un piano per risollevare l’economia e le condizioni generali del continente africano, che includa, tra i vari obiettivi, anche la riduzione di flussi migratori. In effetti migliorare le condizioni di vita, può avere un’influenza, seppure non nell’immediato, sulle migrazioni.

Vi sono, a mio parere, alcuni elementi che devono essere presi in considerazione perché possono contribuire a impostare/reimpostare integralmente la prospettiva per una corretta interpretazione della situazione.

I flussi migratori

Per prima cosa occorre ammettere che i flussi migratori nel nostro Paese sono una emergenza diventata strutturale, nel senso che la situazione mantiene tutti i connotati dell’emergenza con la drammaticità, con le richieste di immediatezza e di tempestività, con le difficoltà che comporta, ma la reiterazione ormai quasi quotidiana e la dimensione del fenomeno rende tale circostanza strutturale. Quindi siamo di fronte ad una “emergenza strutturale”. Qualsiasi piano dedicato all’Africa non potrà prescindere da tale assunto.

Un continente immenso ed estremamente diversificato

In secondo luogo non va trascurato il fatto che l’Africa è un continente immenso con differenze enormi tra paese e paese e addirittura tra etnia ed etnia all’interno di uno stesso Stato. Indubbiamente la globalizzazione ha ridotto certe difformità, ma ne restano comunque talune significative che non possono essere ignorate.

La prima evidente diversità è quella tra l’Africa subsahariana e l’Africa dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo; si tratta di due mondi davvero distanti che lo straordinario stato di indigenza della popolazione, condiviso da entrambi, non basta ad assimilare. Tuttavia, in questi ultimi anni, proprio i flussi migratori hanno creato interrelazioni e interconnessioni nuove che devono essere tenute in conto per qualsiasi procedimento di pianificazione. Un esempio drammatico di tali interconnessioni è chiaramente costituito dalla Tunisia, completamente trasformata dalla presenza di migranti subsahariani e precipitata in una gravissima crisi complessiva. Una polveriera pronta ad esplodere in ogni momento (1).

I Paesi del Magreb e l’Egitto sono Paesi arabi a prevalenza musulmana e hanno conosciuto una storia di colonizzazione e decolonizzazione molto diversa da quella dei Paesi al di sotto del Sahara.

Diversi piani d’azione

Una volta riconosciuta a ogni area, a ogni singolo Paese le proprie specificità si può procedere a delineare un piano che dovrà articolarsi almeno su tre diversi livelli a ciascuno dei quali corrisponderanno azioni diverse.

Il Mega livello

Il primo è il Mega livello corrispondente a vaste aree omogenee per morfologia (zone desertiche, zone saheliane, regioni senza accesso al mare, regioni da mettere in sicurezza etc…) oppure zone interessate da strutture che l’attraversano, o, in qualche modo, la coinvolgono (gasdotti, viabilità, fonti energetiche). Un esempio in tal senso sono i progetti del Piano dell’UE Global Gateway (2), pensato come la risposta europea al vasto programma cinese detto la nuova via della seta (3). Oltre all’Ue altre istituzioni hanno realizzato progetti a livello Mega come la Banca Mondiale nel settore dell’energia solate o il G5 Sahel nel campo della sicurezza (4).

Il Macro livello

Il secondo è il Macro livello che riguarda i singoli Stati e si declina a dimensione paese. Gli Stati Subsahariani hanno un’economia che si basa, almeno per gran parte di essi, sugli aiuti provenienti dalla cooperazione internazionale, pertanto esistono per ciascun paese dei piani, in genere quinquennali, di sviluppo redatti dai governi locali insieme ai donatori ovvero ai rappresentanti locali dei maggiori organismi di aiuti internazionali.

Il quadro logico

Il metodo su cui si basano queste pianificazioni a livello nazionale è quello del quadro logico (5), ovvero una matrice che dovrebbe permettere di identificare e formulare logicamente gli elementi chiave di un progetto a seguito dell’identificazione dei problemi e dei bisogni; esso facilita la progettazione, la presentazione, la gestione e il monitoraggio di un progetto di sviluppo. Poiché la maggior parte dei donatori esterni richiedono che i progetti sottoposti all’approvazione per un finanziamento siano presentati in forma di quadro logico, si finisce sempre e comunque per tradurre in quadro logico un progetto che è già stato pensato con altri metodi, e quindi, spesso,la matrice serve piuttosto a descrivere una concezione preesistente, anziché a crearne una originale.

Contenuti dei piani

A Parte le questioni di metodo, venendo ai contenuti di tali piani, è da rilevare che essendo essi stati costruiti congiuntamente, insieme agli influenti donatori, si è assistito, nella loro formulazione, all’assoggettamento a concezioni di sviluppo, per lo più importate dall’esterno e largamente ispirate alle teorie più in voga del momento: da quelle che consideravano l’esistenza di handicap naturali o culturali, a quelle che stigmatizzano la dipendenza, passando attraverso la dolorosa esperienza delle politiche di “aggiustamento strutturale”, imposte dalla Banca Mondiale (6).

Attualmente troviamo dei piani-paese che esprimono nelle finalità un carattere ambizioso e fortemente etico come la riduzione della povertà, la promozione della donne etc…, perché si assimilano quasi tutti ai millennium goals dell’agenda 2000 delle Nazioni Unite e ai successivi aggiornamenti di essa (7); si tratta dunque di un procedimento di pianificazione che si articola sull’individuazione di carenze da colmare, sui mezzi di cui gli Stati si devono dotare e sugli aiuti internazionali necessari per colmarle (8).

Restando a livello paese, vale forse la pena osservare inoltre che, sebbene la crescita economica africana sia stata certamente notevole negli ultimi due decenni, tuttavia gli analisti concordano tutti sul fatto che le politiche basate sulla crescita economica (spesso a scapito delle persone) hanno ampliato le disuguaglianze sociali (9).

Quindi ripensare lo sviluppo sta diventando un imperativo intellettuale, politico e perfino etico per i paesi africani. Lungi dal reinventare nuove teorie, i nuovi paradigmi di sviluppo di ogni paese dovranno confrontarsi con nuove sfide, con questioni locali, nazionali, regionali e internazionali che non esistevano all’inizio dell’indipendenza, come, ad esempio, trasformare il settore informale -che contribuisce ancora oggi per oltre l’80% alla produzione della ricchezza nazionale- strutturandolo, oppure individuando formule di sviluppo in grado di coniugare l’economia tradizionale all’economia moderna in una logica di scambi e di complementarità, magari integrando dimensione culturale e ambientale.

A questo proposito molto interessante è la posizione dell’economista togolese KakoNubukpo (10), il quale, propone sostanzialmente di esportare non solo materie prime, ma anche beni trasformati. Egli cerca, nel testo “Una soluzione per l’Africa: dal neoprotezionismo ai beni comuni“, di proporre un libro-soluzione. Circa trecento pagine che invitano a reinventare lo sviluppo dell’Africa a partire dai suoi beni comuni. Questo approccio include l’accelerazione dell’istituzione della moneta unica della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS (11)) e la creazione di un’agenzia del debito africana. Nell’attuale contesto di crisi alimentare e inflazione globale, anche l’agricoltura è un tema ampiamente analizzato dall’economista.

Tali piani-paese comunque, sia pure con i limiti sopra indicati costituiscono una seria e corretta indicazione delle esigenze di ogni singolo paese e delineano alcune delle soluzioni attuabili. Sarà dunque possibile scegliere, insieme assi governi locali alcune priorità per ciascun paese e sostenerle con progetti bilaterali, magari connettendoli con le scelte dell’UE, o altre istituzioni,compiute al livello dei Mega interventi.

Il terzo livello: micro progetti

In ogni caso per chiudere il cerchio del nostro ragionamento, che era iniziato con il considerare come strutturale l’emergenza dei flussi migratori, un nostro Piano per l’Africa oggi non può trascurare tale punto di partenza. Ecco dunque che ci troviamo ad affrontare il terzo livello dei progetti da pensare ed attuare, il livello dei micro progetti. Ai Mega progetti e ai Macro progetti dovranno essere collegati dei micro progetti, generatori di reddito.

Questo collegamento a dei grandi progetti già finanziati e magari già in fase di attuazione garantisce ai piccoli progetti la sostenibilità e il successo economico nel senso che essi si trovano già pianificato il loro sbocco occupazionale.Se, ad esempio, a livello di Mega programma (regionale) si decide di realizzare una rete viaria, saranno necessarie oltre alle grandi società ingegneristiche, anche piccole imprese preferibilmente locali a cui affidare una parte del lavoro, per il trasporto, ad esempio, o per altre attività.

Oppure, giusto per fare altri esempi, se a livello di un progetto-paese si prevede un intervento di idraulica, oppure la creazione di una rete di servizi sanitari, o la costruzione di scuole, si potrà prevedere l’impiego di piccoli progetti direttamente collegati alla realizzazione di ciascuna di tali iniziative. Si crea così un circolo virtuoso per cui il Piano di livello Mega o Macro costituisce un’occasione di autentico sviluppo endogeno, perché garantisce lavoro alle piccole realtà imprenditoriali legate ai micro progetti. Proprio su questi micro progetti generatori di reddito, concepiti e pensati localmente, si potrebbe impostare parte dei rimpatri dei migranti (12).

In tal modo al migrante si offre una concreta opportunità di lavoro nel proprio paese di origine, che consentirà di vivere serenamente e mantenere la propria famiglia. Per chi ne ha le capacità si potrebbero prevedere dei corsi di formazione per diventare piccoli imprenditori, oltre all’assistenza e un credito per iniziare la propria attività collegata al Piano di livello Mega o Macro.

La Francia da tempo ha un programma di sostegno ai rientri volontari, che si limita però a un’assistenza per il mero rientro in patria prevedendo una somma di denaro per il reinserimento, ma nessuna iniziativa relativa agli aspetti occupazionali generatori di reddito (13).L’Unione Europea ha finalmente preso atto della necessità di tali rimpatri e considera (14) indispensabile affrontare il tema; vi sono accenni a collegare tali rimpatri allo sviluppo del paese, ma manca il nesso diretto con i progetti già finanziati e in fase di realizzazione.

Il lavoro dovrebbe cominciare subito e dovrebbe svolgersi su due piani da una parte la definizione dei micro progetti da realizzare nei vari paesi e dall’altra un meccanismo per identificare i migranti che possono essere inseriti nel piano di rimpatrio, anche attraverso un programma di formazione. Il lavoro dovrebbe svolgersi, una volta precisate le proposte che possono essere offerte dai micro progetti per ogni singolo paese, nei centri di accoglienza e nei vari comuni con le comunità dei migranti. Potrebbe essere interessante un’articolazione del Piano su tre livelli di intervento, che ebbe una coerenza e una concretezza solida, costituirebbe un autentico volano per la crescita dei paesi, innescherebbe circoli virtuosi di sviluppo endogeno e rappresenterebbe un’occasione per dei rimpatri presumibilmente stabili, perché legati ad attività remunerative.

Nel titolo di queste brevi, sommarie riflessioni si richiama la nozione di sfida, perché, in effetti, gli scarsi successi di 70 anni di cooperazione con l’Africa portano a vivere qualsiasi intervento come una barriera da superare. Eppure è giusto avere una grandissima fiducia nella vitalità di questo meraviglioso continente, che deve essere sostenuto e aiutato nella scelta di percorsi propri, che magari ci stupiranno; Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, scriveva: “dall’Africa ci viene sempre qualcosa di nuovo”.

NOTE

1) La situazione davvero disperata della Tunisia ha portato il presidente KaïsSaïed in un discorso del 21 febbraio ad accusare le “orde di migranti subsahariani di violenze, crimini e atti inaccettabili” nonché ad affermare che la loro presenza nel paese fa parte di una “impresa criminale ordita all’alba di questo secolo per modificare la composizione demografica della Tunisia” al fine di farne “un paese puramente africano” e di offuscare la sua “identità araba”. Che tale discorso xenofobo suscitasse l’indignazione delle ONG e dei difensori dei diritti umani non sorprende, preoccupa invece la posizione della Banca mondiale che ha annunciato la sospensione “fino a nuovo avviso” del suo quadro di partenariato con la Tunisia, a causa di attacchi fisici e verbali contro i migranti dell’Africa sub-sahariana. Anche il Fondo Monetario si è detto “preoccupato” per la situazione creatasi in Tunisia dopo il discorso pronunciato dal presidente KaïsSaïed.

2) ISPI, Global Gateway alla prova dei fatti, Febbraio 2023, Il Global Gateway è il primo piano europeo infrastrutturale di natura globale. (…) il piano fornisce una struttura e coerenza all’azione dell’Unione nel campo degli investimenti infrastrutturali. Al tempo stesso, rafforza i precedenti piani di connettività infrastrutturale europea con il resto del mondo.(…). La centralità dell’Africa per l’intera operazione è ampiamente provata dall’importanza del “Global Gateway Africa – Europe Investment Package che andrà a mobilitare fino a 150 miliardi di euro di investimenti nel continente africano. Cinque le priorità individuate: accelerare la transizione energetica e digitale, favorire una crescita sostenibile e l’occupazione, migliorare i sistemi sanitari, così come l’educazione”. L’energia sarà al centro degli impegni del Global Gateway per l’Africa, con investimenti previsti fino a 15 miliardi di euro. Gli obiettivi principali saranno l’aumento della produzione di energia verde e l’accesso all’energia per i cittadini africani, il sostegno all’integrazione dei diversi mercati nazionali e il miglioramento delle interconnessioni tra le diverse reti elettriche.

3) La nuova via della seta è un ‘espressione evocativa italiana per indicare la Belt and Road Initiative (BRI) che è stata annunciata per la prima volta dal governo cinese nel 2013, con l’obiettivo di definire politiche e programmi di investimento per lo sviluppo di infrastrutture e per l’accelerazione dell’integrazione economica tra i Paesi posti lungo il percorso della storica via della seta. L’intento dell’operazione è il riposizionare la Cina al centro dell’ecosistema geo-economico di quest’area.  Le cinque priorità dichiarate della BRI sono: il coordinamento delle politiche di cooperazione tra Paesi coinvolti; la realizzazione di infrastrutture per migliorare connessione e connettività; la riduzione di ostacoli a commercio e integrazione economica; l’integrazione finanziaria e lo scambio culturale tra i popoli, con particolare attenzione ai media.Al momento il lato infrastrutturale ha assorbito i due terzi dei finanziamenti ed è insito nel nome stesso del programma. L’idea originaria di costruire una nuova cintura (terrestre) e strada (marittima) che collegasse Oriente e Occidente lungo l’antica via della seta è stata, però, rapidamente sostituita da una più ampia rete di corridoi terrestri e rotte marittime, con una proiezione quasi globale.

4) Un recentissimo esempio è il nuovo progetto regionale di risposta urgente nel settore dell’energia solare (RESPITE – Regional Emergency Solar Power Intervention) realizzato congiuntamente da Liberia, Sierra Leone, Ciad e Togo, un progetto da 311 milioni di dollari sostenuto dalla Banca mondiale, e operativo dal gennaio del 2023, dopo la firma degli accordi legali tra i vari Stati il progetto consentirà di aumentare rapidamente la capacità di energia rinnovabile connessa alla rete e di rafforzare l’integrazione regionale nei paesi partecipanti. Un altro esempio è costituito dal progetto G5 Sahel, operativo dal 2016, che vede impegnati 5 Stati Saheliani il Ciad , il Niger , il Mali,il Burkina Faso e la Mauritania impegnati in una lotta comune contro le presenze terroristiche Jihadiste che infestano il territorio, limitandone la sicurezza.

5) Tale metodologia di pianificazione, detta LFA: logical framework approach, sviluppata negli anni ’60 per USAID, l’agenzia di cooperazione internazionale degli Stati Uniti, è diventata, nel tempo, uno strumento essenziale per gli aiuti allo sviluppo; si tratta di un procedimento costituito da una matrice che fornisce una panoramica degli obiettivi, delle attività e dei risultati attesi di un progetto. Fornisce una struttura per aiutare a specificare le diverse componenti di un progetto, le diverse attività e per metterle in relazione tra loro. Esso identifica inoltre le misure e gli indicatori attraverso cui si possono monitorare i risultati del progetto.

6) Le politiche di aggiustamento strutturale, lungi dal realizzare l’auspicato aggiustamento, crearono le condizioni per un’estrema dipendenza che oggi si traduce in debito pubblico ben al di sopra della capacità di rimborso delle economie africane, perpetuando il circolo vizioso della povertà.

7) I Millennium Development Goals, avrebbero dovuto portare, tra il 2000 (l’anno della ratifica) e il 2015, all’eradicazione della fame, alla garanzia della sostenibilità ambientale, alla realizzazione di un vero partenariato globale. l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, firmata nel 2015 riprende gli obiettivi del millenium. Non va certamente dimenticata l’Agenda 2063: l’Africa che vogliamo, predisposta nel 2012 dai leader africani aderenti all’Unione Africana, che intende riorientare e ridefinire le priorità dell’Africa che si dovrebbero basare su sviluppo sociale ed economico inclusivo,integrazione continentale e regionale, governance democratica, pace e sicurezza.

8) Così costruiti spesso questi piani nazionali risentono, di un’epistemologia positivista basata su tre assunti essenziali: la linearità, ovvero l’idea che esista una catena di causalità che collega gli effetti alle cause, la razionalità, cioè l’adattamento dei mezzi agli scopi perseguiti e la libertà ossia il ritenere che le proposte siano elaborate da parte di soggetti liberi da ogni implicazione sociologica o politica.

9) Il continente rimane per lo più povero: più della metà delle persone più povere del mondo vive in Africa ed è in Africa che si trova la maggior parte dei paesi con l’indice di sviluppo più basso. Esistono disparità estreme tra paesi e regioni. La crescita africana è stata stimata al 3,4% nel 2019, al 6,9% in Costa d’Avorio, all’8,3% in Etiopia, al -0,9% nella Repubblica del Congo e al -2,3% in Liberia. Nel 2019 il PIL pro capite era di 23.900 dollari USA a Mauritius mentre quello del Burundi era di 782 dollari quasi 30 volte inferiore. Nel 2018 l’aspettativa di vita a Capo Verde era di 73 anni mentre in Sierra Leone era di soli 54 anni; nel 2019, in Gabon, il 48,1% della popolazione utilizzava Internet mentre in Madagascar solo il 4,7% aveva accesso, cioè 10 volte meno (World Bank, 2018). Gli indici di sviluppo umano (UNDP e Banca mondiale) e i dati dell’UNESCO sui progressi nell’istruzione collocano la stragrande maggioranza dei paesi africani all’ultimo posto. L’Africa nel suo insieme rimane quindi ai margini di quello che comunemente si chiama sviluppo.

10) KakoNubukpo, Une solution pour l’Afrique :dunéoprotectionismeauxbienscomuns, Paris . Odyle Jacob, 2022. L’autore tenta di proporre un libro-soluzione. Secondo l’autore, l’Africa si trova di fronte ad una sfida gigantesca: integrare nel giro di una generazione un miliardo di individui e realizzare ciò in un contesto di bassa produttività, di assenza di industria, con urbanizzazione accelerata e infine con una crisi climatica che è diventata permanente. Questa “emergenza africana” rende necessario inventare un nuovo modello economico. L’inaspettata crisi del Covid-19 a porte chiuse ha permesso all’Africa di riscoprire la ricchezza del proprio patrimonio. L’autore difende l’uso del protezionismo ecologico che porterebbe, ad esempio, alla creazione di barriere ecologiche ai confini delle economie africane per favorire i circuiti brevi. Ciò incoraggerebbe maggiori investimenti nella lavorazione locale delle risorse naturali africane. Inoltre, si dovrebbe mettere in atto quello che chiama un “neprotezionismo africano” e preservare le risorse (terra, beni digitali, ecc.), assicurando la sovranità alimentare sviluppando l’agroecologia e la sovranità monetaria con la creazione di una moneta unica e un’agenzia del debito. Insomma egli cerca strade possibili per l’Africa affinché possa riprendere in mano il proprio destino. Con la convinzione che sia verosimile promuovere una sharing economy perché la nozione di beni comuni è profondamente radicata nelle tradizioni sociali africane.

11) Creato nel 1975, ECOWAS è un raggruppamento regionale di quindici paesi dell’Africa Occidentale la cui missione è promuovere l’integrazione economica, monetaria sociale e culturale di 15 Stati ovvero: Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal. Sierra Leone, Togo.

12) Questo tipo di assistenza al rimpatrio costituirebbe una novità assoluta perché, seppure altri paesi e l’UE oggi sembrano orientati a sostenere i rimpatri, non hanno pensato ad un piano occupazionale coerente.

13) In Francia l’assistenza per il rientro volontario può includere: assistenza amministrativa e materiale per la preparazione del viaggio (prenotazione biglietti di trasporto aereo, assistenza per ottenimento documenti di viaggio, trasporto in aeroporto), pagamento delle spese di trasporto, assistenza finanziaria, chiamata somma forfettaria, versata in un’unica soluzione al momento della partenza o nel paese di ritorno. Eccezionalmente, un’ulteriore indennità forfetaria di 150 euro se lo straniero è in possesso di un titolo di viaggio o è tenuto ad ottenerlo.

14) “Nel nuovo ciclo finanziario 2021-2027, l’UE rafforzerà il suo ruolo, tenendo conto delle priorità delineate nella presente strategia e sostenendo l’attuazione di quest’ultima nell’ambito dei fondi pertinenti, e nel contempo assicurerà il coordinamento nell’arco dell’intero processo. Con il Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF) per il periodo 2021-2027, la Commissione sosterrà le azioni degli Stati membri volte a promuovere l’aumento dei rimpatri volontari dall’UE e finanzierà programmi di rimpatrio volontario assistito nonché la reintegrazione iniziale dei rimpatriati nei rispettivi paesi. Garantirà inoltre un sostegno finanziario per la manutenzione e lo sviluppo degli strumenti d’informazione a livello dell’UE, quali lo strumento di assistenza alla reintegrazione e l’inventario dell’assistenza al rimpatrio e alla reintegrazione, nonché per lo sviluppo delle capacità negli Stati membri. Frontex fornirà un sostegno complementare in questo settore attraverso attività svolte prima e dopo il rimpatrio. Le attività finanziate nell’ambito del Fondo Asilo, migrazione e integrazione e quelle svolte da Frontex si incentreranno principalmente sulle primissime fasi del sostegno alla reintegrazione e sul sostegno specifico ai singoli rimpatriati.”Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio, La strategia dell’UE sui rimpatri volontari e la reintegrazione,SWD(2021).