Aggressione stazione Termini, ma chi inneggia alla morte del marocchino può portare la croce sul petto?
23 Aprile 2019
di Carlo Mascio
Uomo aggredito alla stazione Termini di Roma da un marocchino perché portava una croce al collo. Appena le agenzie hanno iniziato a lanciare la notizia, sui social è scattato il putiferio: c’è chi urla il mantra sovranista “fuori dalle p*** gli irregolari”, chi sogna “nuove crociate”, chi invoca il massacro della serie “uccidiamoli tutti”, chi addirittura usa le parole della Bibbia “occhio per occhio, dente per dente”. Ovviamente tutte invettive (giusto per usare un termine elegante) rivolte al marocchino che, per la cronaca, è stato giustamente già arrestato per tentato omicidio.
Ora, forse diremo qualcosa che non farà piacere ai più e ai grandi leoni da tastiera ma, mai come in questi casi, è bene dire le cose fuori dai denti e mettere ognuno al proprio posto. Sgombriamo subito il campo da inutili equivoci: ovviamente non stiamo qui a prendere le difese del marocchino che ha commesso un reato per il quale si spera venga punito in base a quanto previsto dalla legge – reato che sarebbe ancor più grave se si rivelasse non solo un problema di sicurezza ma anche religioso- . E, altrettanto naturalmente, non prendiamo le difese di chi, come il Pd e compagnia bella, abbia rinunziato a varare una politica migratoria degna di questo nome permettendo a molti di venire in Italia senza un obiettivo ben preciso.
Detto questo possiamo dire con assoluta chiarezza (e chi scrive se ne assume la responsabilità) che chi si rivolge al marocchino invocando la sua morte e quella degli altri immigrati irregolari, non può dirsi cristiano. Non certo perché non lo possa diventare (anzi), quanto per i suoi atteggiamenti. Cristiano, infatti, è “colui che segue Cristo” avendo fatto esperienza nella propria carne della Sua Parola e questo non contempla in nessun caso l’augurio della morte di un altro simile che, sempre in quanto cristiano, si dovrebbe considerare un “fratello”, a prescindere da colore della pelle o religione: è un uomo? Ok, consideralo tuo fratello. Sbaglia? Ok, deve pagare in base al suo errore, anche perché il tasso di civiltà di un Paese si misura anche dalla capacità di assicurare che ad ogni azione corrisponda un’adeguata responsabilità. Ma non si può arrivare ad augurargli la morte né tantomeno incitare gli altri a diventare paladini della sua morte. No, questo assolutamente no.
In questo modo chi accusa non si eleva tantissimo al di sopra di chi ha commesso il reato – fermo restando che non sapremo mai cosa si muove realmente nel cuore dell’uomo e proprio per questo ce ne guardiamo bene dal giudicarlo-. Anche perché, al netto di come e dove può intervenire lo Stato, vedendo tutto da una prospettiva più intima e, se vogliamo, spirituale è vero ed è giusto condannare il peccato ma mai condannare il peccatore per l’errore commesso. A quel punto si è automaticamente entrati nella logica stupida del peccato e si da seguito alla scia di male di cui esso si fa portatore. Sì perché di fronte al peccato/errore noi abbiamo due strade da seguire: dare seguito al male potenzialmente contenuto in esso o spezzare questa catena. Come? Perlomeno non rispondendo con la stessa moneta. Così inizieremo ad uscire dalla logica dell’ “occhio per occhio, dente per dente” che non porta a nulla, per entrare nella vera logica della misericordia che, invece, eleva l’uomo al di sopra dell’errore, suo o di altri, e permette di avere la lucidità di curare il reo.
Ora, lo ribadiamo: non siamo i paladini del mantra “accoglienza, accoglienza”. Ma non siamo e non saremo mai tra quelli che dicono “a morte!” gli immigrati. Ci sarà e ci deve essere una sana via che coniughi rigore e rispetto per l’essere umano. Diversamente, non si costruisce nulla: non si custodisce una cultura del rispetto verso l’altro che come italiani, prima che cristiani, abbiamo sempre avuto e che ha contraddistinto per secoli la nostra società; e, soprattutto, non si diventa mai uomini adulti, in grado di ragionare e poi agire per un bene vero. Ovvio che ogni gesto di male genera rabbia. Ma questa, se seguita, porta esattamente a ricalcare le orme di chi ha commesso il reato. E noi non vogliamo una società di rei che accusano altri rei. Bensì, semmai, di padri e madri capaci di insegnare ai propri figli che “non si uccide” né con i gesti, né con le parole. Specie se dietro un pc. Anche perché, si sa, i leoni da tastiera difficilmente sono tali anche nella vita reale…