Agli Enti lirici servono meno privilegi e più cultura del lavoro

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Agli Enti lirici servono meno privilegi e più cultura del lavoro

Agli Enti lirici servono meno privilegi e più cultura del lavoro

16 Ottobre 2011

Nel nostro paese, come in tanti altri paesi dell’Europa e non solo, il settore della cultura è spesso senza soldi. Non ce ne sono mai abbastanza, si sente spesso ripetere dai musicisti, dagli attori, dai cantanti, dai direttori d’orchestra, dai ballerini e così via. In parte è anche vero, come in parte è anche vero che ci sono enti che ne hanno  troppi di soldi, per quello che fanno e di altri che ne hanno troppo pochi. Di sicuro in Italia c’è qualcosa che non va nella gestione del denaro pubblico da parte delle istituzioni culturali, siano esse associazioni o fondazioni.

E questo lo aveva capito benissimo il ministro Sandro Bondi, ora ex ministro, che più di un anno fa, con il decreto che porta il suo nome, aveva finalmente deciso di mettere mano, anzi di mettere fine allo sperpero di denaro pubblico che da anni imperversava nel settore della cultura. A cominciare dagli onerosi enti lirici. Le cui fondazioni, divenute negli anni sempre più private, assorbono da sole quasi la metà del Fus (fondo unico per lo spettacolo, ndr), per pagare prima di tutto i propri dipendenti. Che in totale, nei tredici enti lirici italiani, superano le seimila unità. Solo la Scala di Milano, nel 2010 aveva 915 dipendenti, al costo di 68,8 milioni di euro. L’Opera di Roma, invece, si accontentava di ben 742 dipendenti, con un costo complessivo di 43 milioni di euro. Tutta ‘sta gente per fare cosa, verrebbe da chiedersi, visto che i nostri teatri sono tra quelli in Europa che producono meno spettacoli. Inoltre c’è da aggiungere che i dipendenti degli enti lirici, godono da sempre di privilegi oltre ogni limite. Persino il noto giornalista, Sergio Rizzo, in un articolo apparso sul Corriere della Sera, aveva polemizzato sul fatto che i musicisti delle orchestre hanno diritto alla «indennità umidità» per gli spettacoli all’aperto, e ala «indennità di frac», per chi deve indossare l’abito da pinguino durante gli spettacoli.

Ma parliamo anche degli stipendi, e degli orari di lavoro dei dipendenti, altro tasto dolente. Senza cadere nel ridicolo, vi possiamo dire con certezza che un professore d’orchestra, lavorando non più di 16 ore alla settimana, e non tutte le settimane, guadagna in media dai 2 ai 3 mila euro netti al mese. Mentre il suo collega professore nelle scuole statali, ne guadagna quasi la metà. Sempre di professori si tratta, anche se quelli degli enti lirici suonano e quelli delle scuole invece parlano. Per di più i professori d’orchestra beneficiano della cosiddetta “alternanza”. Cioè in un mese lavorano in media due settimane e le altre due si riposano. Con queste spese fisse non sorprende, quindi, che più della metà delle fondazioni liriche italiane abbiano chiuso negli anni sempre in passivo. Si va dagli 11 milioni di Roma ai 10, 5 del Carlo Felice di Genova, dai 4,7 del Comunale di Bologna ai 5,5 del Maggio Musicale Fiorentino. La Corte dei Conti ha inviato più volte al Parlamento un rapporto sulle spese degli enti lirici in cui non promuove quasi nessuno. Bocciate Milano, che ha aumentato le spese del 14,6%, poi Genova e Verona, con un +11,9%. Va meglio Roma che ha ridotto le spese del 18,7%, insieme a Cagliari, Bologna e Torino, con un -8,1%. Il decreto Bondi, aveva infatti lo scopo di riorganizzare le fondazioni lirico-sinfoniche italiane, e di far fronte alle spese in eccesso che lo Stato affronta in materia di spettacolo. Il decreto, in vigore dal 30 aprile scorso, aveva il compito di tagliare in primis i costi del personale, bloccare il turn-over e riorganizzare il lavoro.

L’Occidentale si era già occupato del problema, e a distanza di oltre un anno dall’attuazione del decreto, le cose non sembrano essere tanto migliorate. Gli artisti continuano a lamentarsi, gli sprechi e i privilegi indegni continuano a ripetersi. Ci riferiamo ad esempio ai cachet dei cantanti e dei direttori d’orchestra. Da sempre gonfiati all’ennesima potenza, senza seguire uno straccio di contratto che regolarizzi finalmente i gettoni di questi lavoratori. Perché di lavoratori si tratta. Ci sono direttori che guadagno decine per non dire centinaia di migliaia di euro per una recita. Per due o tre ore di lavoro. Un lavoro speciale, quello del cantante o del direttore d’orchestra, siamo tutti d’accordo, ma che non può essere strapagato. I sovrintendenti, che furono i primi a scioperare contro il decreto Bondi, percepiscono anch’essi indennità a sei zeri. E hanno ancora il coraggio di farsi vedere in piazza al fianco delle maestranze, che non percepiscono neppure in una vita di lavoro, quello che i direttori e i sovrintendenti guadagno in un anno.

Senza parlare delle spese milionarie per le scenografie e per i costumi, di spettacoli che nascono e poi muoiono nel giro di un mese, senza che venga sfruttata o meglio ammortizzata la spesa. Per dire che ogni ente lirico lavora per se e non per gli altri. Così gli spettacoli non vengono fatti turnate da una città all’altra, e tutto quello che si fa viene buttato. Non esiste una rete di collaborazione tra i vari enti lirici, e questo è gravissimo. Lo stato dovrebbe con gli stessi soldi del Fus, pretendere più spettacoli in tutto il paese, per diffondere non la cultura del lusso, come spesso accade, ma la cultura della musica e del bel canto, come di un bene pubblico e non privato.