Ah, se fossi vicepresidente del Csm!
12 Ottobre 2017
Melloni a tolleranza alternata. “Esiste una formula d’accordo fra Pechino e Vaticano ed è quella della reciproca tolleranza” Alberto Melloni spiega sulla Repubblica del 6 ottobre come il Vaticano stia trattando con Pechino sui reciproci rapporti e come in questo quadro stia assumendo un atteggiamento meno rigido sui preti “ordinati” dallo Stato cinese, che comunque – osserva Melloni – esprimono un loro attaccamento alla fede. Insieme a tali considerazioni lo storico vaticanista spiega come questa mossa sia anche simmetricamente diretta contro i cattolici alla Steve Bannon. Una strana tolleranza quella melloniana: preti scelti dal Pcc, hanno comunque una sensibilità religiosa da apprezzare. Cattolici americani con posizioni considerate troppo tradizionalistiche, no.
Spagna; Catalogna, Europa e il gioco del cerino. “Confermare se ha dichiarato o no l’indipendenza” così il Corriere della Sera del 12 ottobre riporta la frase centrale di Mariano Rajoy rivolta al presidente catalano Carles Puigdemont. Rajoy è un serio amministratore dell’economia nazionale, e il Partito popolare spagnolo è una grande forza politica che, soprattutto sotto José Maria Aznar, ha contribuito a ricostruire il Paese dopo la fine del franchismo. Però questa idea del “lasciare il cerino in mano all’altro”, di fare il furbetto sulle “parole”, questo affrontare le questioni sempre e solo all’ultimo minuto, questa lunga deriva senza mai una vera iniziativa che indichi prospettive a tutta la nazione, pur comprensibile dal punto di vista del non inasprire le tensioni (e del dover fare i conti con gli estremisti e/o pasticcioni indipendentisti catalani) finisce dall’altra per essere disgregatrice di qualsiasi vero indirizzo politico unificante. Se va male porterà a conflitti sempre più drammatici, se va bene consoliderà quella specie di pappetta in cui vive la politica spagnola. Detto ciò, quanto è grande la responsabilità “europea” in questa situazione? Quanto quella dei socialdemocratici tedeschi principali sponsor dello Psoe? Quanto quella degli ambienti tedeschi che per temperare l’atlantismo dei popolari aznariani giochicchiarono con l’indipendentismo catalano? Quanto il consociativismo junckerista dominante nel Vecchio continente per cui solo la retorica trova spazio nelle decisioni politiche?
Non sempre i banchieri centrali portano in Paradiso. “Their economic models are failing and there are doubts they understand effects of interest rates and other monetary policies on the economy” Chris Giles sul Financial Times del 12 ottobre racconta delle difficoltà – registrate negli incontri tenuti e da tenere in questi giorni – dei maggiori banchieri centrali nel definire i modelli da seguire e nel comprendere bene gli effetti che produrranno le loro politiche degli interessi, e più in generale quelle monetarie, sull’economia e in particolare sull’inflazione. Il quotidiano della City è senza dubbio preoccupato delle scosse che stanno subendo gli assetti dell’ordine mondiale di governo dell’economia definiti nel periodo dopo 1945, ma non rinuncia a esercitare un’analisi critica delle tendenze in atto. Proprio sul Financial Times uno dei commentatori più brillanti, Wolfgang Münchau, ha spiegato come le banche centrali abbiano limiti strutturali nella loro azione: finché perseguono una missione precisamente indirizzata, la loro azione è preziosa, quando devono articolare il proprio intervento (non occuparsi solo di inflazione ma anche di livelli salariali, per esempio) non sono adeguate al compito perché le scelte “politiche” richiedono un livello di legittimità di cui non dispongono. I nostri panglossisti italiani che ritengono che “tutto vada bene nel migliore dei mondi (merkellianamente) possibili”, dovranno rendersi conto presto o tardi che un governo tecnocratico del mondo non è (ancora?) una soluzione realistica.
Ah! Se fossi vicepresidente del Csm! “In nessun Paese europeo è consentito passare con tanta facilità dai talk show o dalle prime pagine dei giornali a funzioni requirenti e giudicanti, fino alla presidenza di collegi di merito o della Cassazione”, così Antonella Mascali riporta sul Fatto del 7 ottobre le parole del vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, al congresso dei penalisti. “Una lezione di comportamento istituzionale che evidentemente non deve valere per sé se si pensa alle esternazioni sul caso Consip e le polemiche contro i pm di Napoli” commenta così malignamente il vicepresidente del Csm la Mascali mentre Eugenio Albamonte, presidente dell’Anm, ha detto (lo riferisce l’Ansa del 7 ottobre) “Quello che non mi piace – ha aggiunto – è che alcuni, ma non il presidente Legnini, hanno cercato di spostare il piano dalla contrapposizione delle idee alla valutazione disciplinare e punitiva delle idee”. Difficile dissentire dallo spirito delle parole di Legnini, difficile consentire con il Fatto e con Albamonte, però anche per il vicepresidente del Csm (e in parte ciò riguarda pure il presidente Sergio Mattarella che peraltro va ammirato per il contrasto di certi protagonismi di magistrati) vale quello che giustamente si dice a tanti pm: parlate con i fatti e non con le dichiarazioni. Lamentarsi perché il Csm non ha definito un codice deontologico sulle dichiarazioni provocatorie ricorda molto Mario Missiroli che da direttore del Corriere della Sera, spiegava che cosa avrebbe fatto se avesse diretto un quotidiano.