Ahmadinejad lancia la guerra contro Israele e l’Onu sta lì a guardare
15 Ottobre 2010
“I sionisti sono mortali”: con queste parole di scherno, Mohammed Ahmadinejad ha lanciato giovedì la sua più grave provocazione nello stadio libanese di Bint Jbeil, gremito dalla folla di 15.000 seguaci di Hezbollah, a un tiro di schioppo, meno di quattro chilometri dal confine con Israele. Il tutto, mentre i 3.500 militari di Unifil, la missione militare Onu, inclusi 2.500 italiani, faceva praticamente da palo, in un territorio che invece di essere disarmato a garanzia della pace tra Libano e Israele, è ridiventato una casamatta per le postazioni missilistiche e i nuclei armati sino ai denti di Hezbollah e ora anche la base per una vera e propria dichiarazione di guerra dell’Iran a Israele. Un fatto mai accaduto, di una gravità eccezionale, che determina il più rovinoso fallimento di una missione Onu che era stata concepita nel 2006 come determinante garanzia di pace e che invece oggi si è mostrata inutile, dannosa e pericolosa per gli stessi militari Unifil.
E’ stato il discorso più duro, provocatorio e intollerabile che Ahmadinejad abbia mai pronunciato da un luogo che –come egli stesso ha detto nei giorni scorsi- “rappresenta il confine dell’Iran con Israele”. Alle parole, si è dunque accompagnato il gesto di sfida, la presenza fisica ai confini di Israele per rivendicare e sviluppare la battaglia islamista per la distruzione completa e definitiva di Israele e scacciarne tutti gli ebrei in un discorso che a prima vista è delirante, ma che invece rappresenta non solo la piattaforma politica della Repubblica Islamica dell’Iran, la sua “mission”, ma anche l’obbiettivo a breve termine di una Hezbollah che dalla fine della guerra del 2006, invece di essere disarmata, ha oggi ricostruito una potenza militare enorme: “Il mondo deve sapere che i sionisti sono mortali… oggi la nazione libanese è viva ed è un modello per gli altri Paesi della regione. Bint Jbeil è viva e sta in piedi. Il mondo dovrebbe sapere che Bint Jbeil è fiera e si opporrà al nemico fino alla fine. I nemici non avranno strada, dovranno arrendersi e tornare alle loro case… la Palestina sarà liberata. Ti saluto, popolo della resistenza. Tu sei una montagna solida. Siamo orgogliosi di te e resteremo per sempre dalla tua parte. Il mondo intero sa che i sionisti scompariranno. Gli occupanti sionisti non hanno scelta se non quella di accettare la realtà e tornare nelle loro terre di origine”.
Dunque, espulsione radicale e totale di tutti gli ebrei verso l’Europa e non già solo dai Territori occupati nel 1967, ma da tutta la terra che va “dal Giordano al mare”, in cui secondo Ahmadinejad hanno diritto di vivere solo e unicamente i musulmani e gli arabi.
La gravità della provocazione del presidente iraniano è inaudita, anche perché si accompagna ad una chiara escalation di Hezbollah sulla scena interna del Libano che prelude ormai chiaramente e senza ombra di dubbio a nuovi attacchi armati contro Israele e probabilmente ad una nuova guerra. Tra poche settimane infatti il Tribunale Speciale istituito dall’Onu per fare luce sull’assassinio del premier Rafik Hariri del 14 febbraio 2005, emetterà i suoi primi ordini d’arresto e non c’è dubbio che essi colpiranno massimi dirigenti militari di Hezbollah, inchiodati da prove certe rilevate dal traffico di telefonate tramite cellulare sul luogo stesso dell’attentato.
Ma Hezbollah non solo ha annunciato che considererà questi mandati di cattura una provocazione e una dichiarazione di guerra, ma è anche riuscita a portare nella sua sfera di influenza e di alleanze anche il presidente del Libano, il generale cristiano Michel Suleiman, che era il comandante delle Forze Armate del paese dei Cedri e che ha tuttora il controllo politico-militare dell’esercito.
Esercito libanese a cui la risoluzione 1701 assegnava il compito di disarmare completamente Hezbollah nel sud del Libano, compito mai concretizzato e ribaltato nel suo opposto. L’esercito libanese ha infatti favorito in tutti i modi il riarmo di Hezbollah a ridosso del confine di Israele da parte della Siria. Non solo: il governo libanese (con la piena complicità –va detto- degli “antisiriani” Saad Hariri figlio dell’ex premier assassinato, oggi premier, e Walid Jumblatt) ha anche formalmente decretato che le milizie armate di Hezbollah nel sud del Libano sono parte integrante delle forze armate dello Stato nelle guerra contro Israele.
La dichiarazione di guerra di Ahamdinejad e tutto il contesto libanese indicano con sempre maggiore chiarezza che è urgente che il governo italiano si faccia promotore –naturalmente assieme agli alleati europei- di una revisione totale e radicale della stessa missione Unifil. I nostri 2.500 soldati stazionano su una casamatta brulicante di modernissime armi d’attacco che Hezbollah non vede l’ora di scatenare contro Israele, obbedendo per di più agli ordini e alle strategie dell’Iran di Ahmadinejad.
Quando –tra non molto- la situazione al confine tra Libano e Israele diventerà incandescente, il contingente Unifil non potrà peraltro fare nulla e rischierà di trovarsi schiacciato tra due fuochi. Una situazione palesemente insensata che non può essere lasciata all’inerzia.
La dichiarazione di guerra finale contro Israele lanciata da Ahmadinejad, infatti, non è quella del leader di un “paese terzo”, ma del vero quartier generale, della vera “plancia di comando” politico-militare a cui Hezbollah risponde. Hezbollah non è infatti solo un movimento nazionalista libanese, è anche e soprattutto parte integrante della “Internazionale sciita” fondata dall’ayatollah Khomeini la cui leadership è oggi formalmente esercitata dall’ayatollah Khamenei, la Guida della Rivoluzione (il leader di Hezbollah, lo sheikh Nasrallah si definisce infatti formalmente quale “rappresentante in Libano della Guida della Rivoluzione, Ali Khamanei). Hezbollah, dunque risponde non solo alle proprie strategie nazionali, ma anche e soprattutto a quelle oltranziste, eversive e ispirate dalla strategia di “esportazione della rivoluzione iraniana” della leadership di Teheran.
Lo stesso Nasrallah, verso la fine degli anni ottanta chiarì perfettamente questo contesto e questa strategia “internazionalista” che supera e trascende gli stessi confini e caratteristiche dei movimenti nazionalisti: “Quale è la natura del regime che Hezbollah vuole per il Libano. Sia chiaro: noi non abbiamo un piano per l’instaurazione di un regime in Libano. Noi vogliamo sconfiggere il colonialismo e l’occupazione israeliana, e solo questa strategia sarà da noi implementata. Non abbiamo alternativa all’impianto in Libano di uno Stato Islamico sotto la guida dell’Islam. Ma il Libano non deve diventare una repubblica islamica a sé stante ma deve entrare a far parte di una più grande repubblica islamica, governata dall’Imam del Tempo, il Mahdi, il Giureconsulto, l’Imam Khomeini. Io non resterei un solo istante nelle strutture di Hezbollah, se non fossi assolutamente certo che queste strutture sono connesse e collegate gerarchicamente, con la Guida della Rivoluzione, l’ayatollah Khomeni le cui decisione vanno obbedite. Questo è assiomatico. I principi diplomatici e politici non contano. Non basta dire, “sì, Hezbollah è la nostra gente in Libano”. La nostra relazione organica e basica con la leadership della Rivoluzione Islamica in Iran e la Guida di Khomeini è un assioma, per sempre. Perché la sua guida non è limitata da confini geografici, e si estende ovunque vivano i musulmani.”
Come si vede, una lucida –quanto sottovalutata in Occidente- riproposizione in chiave sciita della teoria della “Esportazione della Rivoluzione” e della condanna della teoria del “Socialismo in un paese solo” di pretta marca trotzkista.
E, purtroppo, non è fatta di sole declamazioni.
Ma funziona, ha presa, tanto che l’Iran ieri di Khomeini e oggi di Khamenei e Ahmadinejad controlla ormai due regioni che si affacciano sul Mediterraneo: il sud del Libano e Gaza.
Se ne prenda atto.