Al centrodestra serve un progetto nuovo dopo le ‘rivoluzioni’ mancate
09 Marzo 2012
Dopo quasi quattro mesi dalla fine del governo Berlusconi, nel Pdl non è ancora maturata la consapevolezza dei motivi di fondo della caduta del governo, della fine dell’alleanza della Lega e dell’apertura di un fase politica del tutto imprevista e difficile da interpretare.
Silvio Berlusconi, nel tentativo di dare una narrazione in positivo della sua decisione di dare le dimissioni, attribuisce alla strutturale ingovernabilità italiana l’impossibilità di completare il suo mandato. Altri ritengono il governo di centrodestra vittima di un disegno internazionale volto ad indebolire l’Italia e il suo ruolo internazionale, in particolare nel rapporto con la Russia e la Libia. Qualcuno ritiene che la perdita di consenso sia stata frutto della ostinata politica fiscale del ministro Tremonti che avrebbe fatto precipitare i consensi nel blocco sociale di centrodestra, in particolare con la pesante aggressione da parte del fisco sulla piccola impresa e il lavoro autonomo. Altri, infine, attribuiscono al conservatorismo sociale e istituzionale della Lega Nord la crisi di governo: “se avesse approvato la riforma delle pensioni e abolito le province, il governo Berlusconi sarebbe ancora in piedi” dicono.
Tutto probabilmente vero. Ma nessuna di queste interpretazioni è sufficiente a spiegare cosa è avvenuto a cavallo della fine del 2011 e dell’inizio del 2012.
La crisi del centrodestra italiano è probabilmente più profonda e strutturale. E non basterebbe un periodo di opposizione per rendere nuovamente competitiva l’alleanza che è stata centrale nel ventennio a cavallo del 2000.
Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, infatti, rappresentano le più significative novità del panorama politico italiano dall’inizio degli anni 90 dello scorso secolo.
Due leader carismatici che, partendo da un analogo contesto economico e sociale, l’Italia del nord alla fine degli anni ‘80, hanno dato vita a due ipotesi rivoluzionarie sotto le quali si è radunato un blocco sociale e politico che in Italia era stato numericamente maggioritario ma politicamente incapace di essere egemone.
Le due rivoluzioni, quella liberale e antistatalista evocata da Silvio Berlusconi nel momento della sua discesa in campo, e quella federalista indicata da Umberto Bossi sul pratone di Pontida, erano complementari una all’altra e rappresentavano il modello alternativo alla società italiana, dove aveva prevalso uno schema di sviluppo e di relazioni sociali statalistico-corporativo, con un fortissimo connotato “sociale” il cui prodotto è stato il terzo debito pubblico del mondo in una nazione che ha la settima o l’ottava economia del pianeta.
In questi vent’anni – però – le due rivoluzioni sono state appena enunciate. E l’Italia governata dal centrodestra non appare molto diversa da come era l’Italia del regime partitocratico pre-berlusconiano.
Questa legislatura era l’ultima opportunità per questo centrodestra di realizzare il suo programma. Cosa che non è accaduta per ragioni oggettive e soggettive. Quello che è certo, è che la crisi dei debiti sovrani ha colpito più severamente l’Italia proprio in ragione della dimensione del suo debito, figlio di un regime economico dove oltre il 50% del Pil è intermediato dalla mano pubblica e dove lo Stato è il socio di maggioranza nemmeno tanto occulto di ogni imprenditore, oltre che essere il primo taglieggiatore di ogni famiglia.
Il governo Berlusconi del 2008, cioè, è rimasto vittima degli effetti delle mancate riforme, della perseveranza in una politica orientata al deficit spending, nella rinuncia al tentativo stesso di abbattere la spesa pubblica e di riformare lo Stato sociale divenuto Stato assistenziale dalla fine degli anni 60 dello scorso secolo.
Le difficoltà e i conflitti interni che oggi attraversano il Pdl e la Lega Nord, oltre alla rottura della loro alleanza, riflettono il fallimento delle ragioni sociali dei due movimenti. Non sarà una nuova organizzazione o la sostituzione di pezzi di classe dirigente che potranno ridare al centrodestra italiano un po’ di slancio vitale.
Le mancate rivoluzioni hanno minato alla radice la credibilità dei due movimenti. E la crisi del modello sociale e di sviluppo europei fanno sentire ancora più legati al passato i linguaggi dei protagonisti del centrodestra.
Siamo in un momento simile al 1992-1993, quando il sistema politico crollò perché legato a un contesto politico e sociale superato dagli eventi. Oggi come allora i protagonisti dell’alternativa alla sinistra sembrano avere la testa rivolta all’indietro. Oggi come allora sarà invece vincente chi saprà dare alla società italiana una prospettiva di cambiamento radicale, a suo modo rivoluzionaria. Che occorra ancora la rivoluzione della libertà è fuori di dubbio. Che siano in grado di realizzarla le creature politiche di Bossi e Berlusconi, invece, è del tutto dubbio. Anzi. È probabile che anch’esse crolleranno di fronte all’evidenza del fallimento delle loro “rivoluzioni”.