Al Circo (Massimo) c’era l’Italia immobile, senza futuro e senza idee

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Al Circo (Massimo) c’era l’Italia immobile, senza futuro e senza idee

27 Ottobre 2008

Non mi interessa sapere quanti erano i manifestanti al Circo Massimo anche se la matematica non dovrebbe essere un’opinione, e la smaterializzazione dei corpi dovrebbe esistere solo nei telefilm di Star Trek. Voglio invece parlare di chi c’era sabato scorso a Roma, in occasione della PD day.

C’erano innazitutto coloro che si autoproclamano riformisti. I riformisti pietrificati, che appoggiano i baroni delle università e le loro clientele, le maestre rosse che costringono bambini a scendere in piazza e i professoruncoli nostalgici delle loro idiozie sessantottine, alla ricerca di una nuova giovanezza militante. I riformisti che vogliono che nulla cambi, che si continui a sperperare risorse e a premiare ricercatori che non ricercano e ad ignorare chi merita e ha talento. C’era l’Italia dei mediocri, di chi si laurea in media a 28/29 anni, magari in Scienza della Comunicazione, e vorrebbe avere subito il posto sicuro, perché è un diritto e … via con l’apologia del precario.

C’erano anche le bandiere della CGIL: un’organizzazione fatta prevalentemente di pensionati, che ormai da tempo ha smesso di fare gli interessi dei lavoratori, per continuare a fare quelli di una casta potente, che si crede onnipotente. Un sindacato che è diventato un ingombrante macigno sul futuro dell’Italia, con posizioni fuori dal tempo, ormai unico baluardo a difesa dei fannulloni della Pubblica Amministrazione e che ancora pensa che i salari debbano essere assistenzialismo, mentre la produttività è una variabile ovviamente indipendente. Ma perché i lavoratori devono continuare a essere rappresentati da chi li ha portati ad avere gli stipendi più bassi d’Europa o da chi non è ormai in grado di difendere la loro sicurezza sui posti di lavoro. Eppure le bandiere della CGIL sventolavano e il contributo del sindacato al numero di manifestanti è stato probabilmente determinante: pranzo al sacco, pulman e gita a Roma, come al solito tutto pagato.

C’era anche l’Italia dei disvalori: il suo tribuno con il megafono arringava le folle, nel suo delirio ormai inarrestabile. Parla di regime e sta ogni giorno in TV a blaterare di morale e giustizia, quella giustizia ingiusta e militante che ti permette di fare carriera politica, senza preoccuparsi di chi è crepato ingiustamente in cella.

C’era l’Italia di Prodi, osannato anche da Veltroni durante il suo discorso, l’Italia delle tasse e dei no, dei Pecoraro Scanio (i verdi erano anch’essi al Circo Massimo) e dei Diliberto. L’Italia che si calò i pantaloni quando negoziò l’entrata nell’euro con un concambio umiliante e si li ricalò ancora quando negoziò gli sciagurati obiettivi italiani del Protocollo di Kyoto.

C’era l’Italia immobile, senza futuro, senza proposte, senza idee.

La nostra Italia è un’altra. Lasciatecela fare.