Al Sud più che un partito servono strade, ponti, ferrovie e un ministero

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Al Sud più che un partito servono strade, ponti, ferrovie e un ministero

28 Luglio 2009

Il premier Berlusconi sta preparando un piano di rilancio del Mezzogiorno, basato su un politica di infrastrutture, così come si sostiene da tempo su queste colonne. Tale piano occorre per dare una risposta al quesito se l’Italia sia una espressione geografica come disse l’allora conte dell’Austria felix, Klemens von Metternich e per dimostrare tangibilmente che non c’è bisogno di un partito del Sud. Invece ci si può chiedere se occorra un Ministro per il Mezzogiorno. E qui la risposta è affermativa ed è strettamente connessa alla frase di Metternich, sull’Italia, contenuta in una lettera a un personaggio che gli chiedeva informazioni politiche sul nostro paese. Frase che non voleva essere affatto spregiativa. Il conte austriaco vedeva che l’ Italia era divisa in molti stati e quindi non costituiva un’unità nazionale. Fu poi un giornale di Napoli, che, conosciuta la frase, la pubblicò con l’aggiunta della parola “soltanto” prima di “espressione geografica “ per darle quel senso di spregio che il futuro principe e grande uomo di stato von Metternich non voleva attribuirle.

A quasi due secoli di distanza l’affermazione di Metternich risulta purtroppo errata, non nel senso politico, ma in quello economico. Dico “non nel senso politico” in quanto l’Italia dal punto di vista del sentimento nazionale è una nazione molto più coesa di quel che soglia affermarsi. Per rendersene conto si può osservare con quale partecipazione gli italiani seguano le gare sportive in cui sono coinvolti atleti e squadre del nostro paese. Gli italiani sono soliti seguire queste gare per fare il tifo per gli “azzurri”, anche quando si tratti di sport che, come tali, non li interessano affatto. D’altra parte gli italiani amano la propria lingua e fanno fatica a immedesimarsi in quelle degli altri. E i dialetti regionali sono quasi scomparsi. Le abitudini alimentari, i modi di vestire, di vivere, di comportarsi nelle varie regioni italiane hanno ormai fra loro pochissime differenze.

Ma se dal punto di vista socio-culturale l’Italia del Ventunesimo secolo è una entità unita, non lo è affatto dal punto di vista geografico, a causa della carenza di infrastrutture di trasporto e di reti fra le varie regioni, non solo fra quelle del Nord e quelle del Sud, ma anche fra quelle stesse del Sud. E poiché l’Italia non è una unitaria espressione geografica ovvero geo-economica, dal punto di vista delle esigenze del Ventunesimo secolo, non si può nemmeno dire che essa sia un mercato unico. Si consideri, per prima cosa, il corridoio europeo Berlino-Palermo. Esso, secondo i progetti comunitari, comporterebbe nuove infrastrutture di trasporto in Italia stradali e ferroviarie per 59 miliardi, di cui 27 stradali e 32 ferroviarie. Di esse sono state cantierate e sono in corso di esecuzione opere stradali per 10 miliardi e ferroviarie per 19. Sono state completate sino ad ora (e soprattutto dal 2001 quando è stata varata la Legge-obbiettivo) opere stradali per 10 miliardi e opere ferroviarie per 13 Dunque ci mancano, rispetto al programma europeo, opere stradali e ferroviarie per 36 miliardi, il 61 per cento del totale, onde unificare verticalmente dal punto di vista geo-economico il Nord con il Sud e le varie regioni del Sud fra di loro. Se consideriamo le opere cantierate, soprattutto grazie ai governi Berlusconi, il quadro è un po’ meno brutto. Si tratta –per una curiosa coincidenza numerica -di 36 miliardi su 59, pari al 61 per cento. Quindi la carenza è il 39 per cento.

Ma fra le opere mancanti, fanno spicco due grandi iniziative: l’alta velocità ferroviaria da Salerno a Reggio Calabria ed il ponte sullo stretto. E la trasformazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria in un’autostrada degna del Ventunesimo secolo va troppo a rilento. I tempi di percorrenza da Torino a Palermo o da Milano a Palermo o da Padova a Palermo sono assurdi. Aggiungo, ora, che l’Italia non è un’espressione geografica in senso geo-economico non solo fra Nord e Sud, ma anche fra le varie regioni del Sud. Come si può affermare che l’Italia del Sud sia geo-economicamente unita, dal momento che per passare dalla Calabria alla Sicilia occorrono i traghetti? Messina e Reggio Calabria che sono separate, in linea d’aria solo da 3,2 km di mare potrebbero diventare un’unica area metropolitana. E la Sicilia cesserebbe di essere un’isola.

Basterebbe questo per avere un unico mercato dell’Italia meridionale? Purtroppo no, non solo perché la linea verticale auto stradale e ferroviaria da Salerno a Reggio Calabria è ancora carente, ma anche perché mancano le opere stradali e ferroviarie per collegare fra di loro Reggio Calabria e la regione ionica calabrese e pugliese. E mancano le opere ferroviarie e stradali di collegamento fra Campania e Puglia. Il Mezzogiorno, dunque, non è ancora un mercato unico, a causa di queste carenze. Esse si sommano con quelle che riguardano i collegamenti verso il Nord e verso l’Est, con grave danno alla funzione che, data la sua posizione geografica, il Mezzogiorno dovrebbe poter assumere, in rapporto con la sponda Sud el Mediterraneo e verso l’Europa orientale, il Caucaso, il Medio Oriente. Il fatto stesso che nel Mezzogiorno coesistano quattro mafie, una campana, una pugliese, una calabrese ed una siciliana dimostra che esso non è un unico mercato. E nello stesso tempo, può aiutare a capire chi si opponga alle grandi opere, in particolare (ma non solo) al ponte sullo stretto. Il controllo del territorio è fondamentale per la criminalità organizzata ed essa gradisce che il suo territorio sia separato dagli altri.

Dunque, anche per questo, per fare del Mezzogiorno una unità geoeconomica e per saldare fra di loro l’Italia del Nord e del Centro con quella del Sud occorre una strategia, basata in larga misura (ma non solo) sulla politica delle infrastrutture. E serve un Ministero per il Mezzogiorno, che coordini in una politica unitaria le varie Regioni meridionali superando lo spezzatino territoriale, e che si faccia protagonista della unificazione infrastrutturale fra Nord e Sud. Non si tratta, dunque, di fare rivendicazioni, ma di promuovere e coordinare investimenti in opere, nel quadro di una strategia stabilita a livello europeo.

Aggiungo che allo scopo di mobilitare l’iniziativa privata, mediante il project financing occorre un quadro di certezze di medio e lungo termine circa gli stanziamenti pubblici. Da questo punto di vista appare un errore quello dello stanziamento condizionato alla situazione della finanza pubblica di 1,3 miliardi, per il ponte sullo stretto, contenuto nel decreto anti-crisi che ora passa dalla Camera al Senato. A parte il fatto che si tratta di fondi Fas che spettano comunque al Meridione, non ha senso rendere incerto questo stanziamento, affidando a una valutazione discrezionale del Ministero dell’economia la sua effettiva devoluzione all’impresa che dovrà fare l’opera. Infatti i privati devono contare su un impegno finanziario sicuro del governo per poter ricorrere al finanziamento bancario e per fare un valido preventivo di costi-ricavi-redditività. Pertanto è necessario che in Senato venga tolta la clausola per cui la cifra di 1,3 miliardi potrebbe non essere erogata in tutto o in parte, in dipendenza delle condizioni della nostra finanza pubblica. E del resto che credibilità può avere uno stato che non è neppure in grado di garantire che avrà disposizione 1,3 miliardi che sono un po’ meno dello 0,1 del Pil?