Il dualismo Juventus-Napoli non racconta solo una rivalità sportiva, ma descrive due dei modi più diversi di intendere il calcio, forse la vita. Da un lato l’aristocrazia, gestita da una potente famiglia italiana quasi da sempre, dall’altro una società che ha cambiato tanti proprietari e che è sempre appartenuta al popolo napoletano più di altre. La Juve ha tifosi in tutta Italia, soprattutto fuori da Torino dove i granata sono in maggioranza, il Napoli è un pezzo non trascurabile dell’identità napoletana. Da una parte una storia in cui “vincere è l’unica cosa che conta”, dall’altra un numero di vittorie decisamente inferiore seppur con un alto valore simbolico. Mondi diversi, quasi intangibili.
Eppure, qualche punto di contatto esiste e va cercato nella vita quotidiana dei tifosi. Nelle fedi calcistiche che si intrecciano nelle famiglie e le incasinano. Quella di Gaetano Quagliariello, evidentemente, rientra proprio in questa categoria. La
casa editrice Rubbettino, infatti, ha appena pubblicato la sua ultima fatica letteraria che vede proprio il suo fulcro nella fede calcistica del Presidente della Fondazione Magna Carta. “Scusa papà ma tifo Napoli”, il titolo è già un programma. Ed è quasi superfluo specificare che il papà in questione, a cui il volume è romanticamente dedicato, fosse juventino.
L’amore di Quagliariello per gli azzurri sboccia in tenerissima età, a cinque anni. Era la primavera del 1965, la carriera da terzino sinistro priva di doti balistiche non era ancora iniziata e, a bordo di una Fiat 110 bianca, un bambino provava per la prima volta l’emozione del tifo nel momento in cui aveva realizzato che la vittoria del Napoli si sarebbe tradotta in una promozione in Serie A. Pochi mesi dopo, i nonni materni gli regalarono un pallone della squadra. La consacrazione della fede calcistica era nelle cose, nonostante la reticenza del padre che, nonostante le reiterate richieste, non lo accompagnava al San Paolo a vedere il Napoli di Ferlaino.
La vita accademica e istituzionale di Quagliariello non ha tardato ad arrivare, ma il tifo ha continuato a innervare i giorni di quello che è stato professore universitario, senatore, ministro e molte altre cose. Le pagine del libro scorrono veloci, danno la sensazione del turbinio emotivo con cui ogni tifoso vive. Fatta eccezione per i mesi estivi, collettivamente vissuti come un digiuno obbligato e ricorrente ma insopportabile, gli amanti del calcio tendono ad avere una memoria episodica del proprio tifo, legando avvenimenti personali e prestazioni eccezionali o eccezionalmente fallimentari.
E allora forse è proprio questa la forza delle parole scritte da Quagliariello che decisamente non è una persona qualunque, ma vive il calcio con una passionalità che prescinde dalle caratteristiche demografiche individuali. Potremmo dire, tirando un altro celebre napoletano, Totò, che il calcio è una “livella”. E per i tifosi partenopei, se possibile, lo è ancora di più. Basta farsi un giro a Napoli in queste settimane per vedere una città festante, addobbata nei modi più eccentrici e vistosi e pullulante di persone di qualsiasi età e censo con indosso almeno un indumento con il simbolo della squadra, per festeggiare uno
scudetto che mancava da 33 anni.
Ancor più dell’incontro con Maradona, probabilmente uno tra gli aneddoti più emozionanti per l’autore, ciò che permette alle pagine di scorrere così veloci è la facilità con cui ogni tifoso, non necessariamente napoletano, si può immedesimare in ciò che legge. Perché quelle farfalle nello stomaco che tolgono il respiro, fanno urlare di gioia o inginocchiare in lacrime davanti a una radio per un gol degli avversari le hanno tutti i tifosi. Ma proprio tutti. Anche un professore universitario, senatore, ministro e molte altre cose… E, mi immagino, che sia proprio questo che ha permesso a un padre juventino di convivere con la fede napoletana del figlio, a lui come a tantissimi altri.