Aleister Crowley, il cuore nero della Gran Bretagna al servizio di Churchill
24 Ottobre 2010
di Luca Negri
Gira fra alcuni appassionati di esoterismo e teorie del complotto una leggenda su Churchill: il suo famoso gesto delle dita per fare la V di “Victory”, mostrato più volte a popolo e media britannici durante il secondo conflitto mondiale, sarebbe stato adottato per consiglio del mago e massone Aleister Crowley. Era un gesto d’invocazione della divinità egizia della distruzione, Apophis, unica arma in grado di competere con la svastica indoeuropea scelta da Hitler. Su quanto la guerra non fosse limitata al piano della realtà visibile e materiale, almeno nelle menti di protagonisti principali come il Primo Ministro inglese ed il Führer, ha indagato meritoriamente il politologo Giorgio Galli nelle pagine del saggio ormai classico “Hitler e il nazismo magico”. Storia occulta a parte, già la sola diceria ci appare una solida conferma di un certo carattere britannico al contempo pragmatico ed utopistico, tradizionalista ma avventuroso.
Lo stesso Aleister Crowley, consigliere occulto (in ogni senso) di Churchill, liquidato da molti come becero satanista ma in realtà esperto di riti orientali ed occidentali ed autocandidatosi profeta di una nuova religione, scrisse di aver contribuito alla vittoria nella “Battaglia d’Inghilterra” per mezzo delle sue arti magiche.
È lecito dubitare sul suo reale ruolo nella storia politica e bellica del Regno Unito, ma certamente non della sua influenza sulla cultura giovanile a partire dagli anni Sessanta. Gran parte dei musicisti inglesi che raccolsero gli stimoli della fusione fra musica popolare bianca ed africana, il rock ‘n’ roll made in Usa, finirono per interessarsi a Crowley. Lo fece John Lennon (in questi giorni si ricorda che avrebbe settant’anni, se non lo avessero assassinato) ed il volto del mago fece capolino nell’affollata copertina di “Sgt. Pepper”, uno dei capolavori dei Beatles. Così fu per gli Stones di Mick Jagger che compose la colonna sonora del film “Lucifer rising” girato da Kenneth Anger, altro devoto crowleiano. Anche David Bowie omaggiò il mago in più di una canzone, mentre Jimmy Page dei Led Zeppelin finì per acquistarne la dimora scozzese.
L’immaginario ed il messaggio di Crowley dovevano però trovare il terreno più fertile nei generi estremi apparsi verso la fine degli anni Settanta: punk, metal e soprattutto “industrial e “apocalyptic folk”. Questi ultimi due sono di nascita prettamente inglese èd è quindi interessante cercarvi qualche conferma delle eccentricità britanniche. Tale è l’impresa in cui si è gettato Antonello Cresti con il suo ultimo lavoro Lucifer over London. Industrial, folk apocalittico e controculture radicali in Inghilterra (Aereostella edizioni). Cresti si occupa da anni di arte, politica e filosofie provenienti dal Regno Unito e condivide la direzione artistica di Britmania, festival della cultura oltre Manica che si tiene annualmente a Prato. Dopo aver passato in rassegna quelli che furono gli antenati culturali (come John Dee, occultista al sevizio di Elisabetta I, i preraffaelliti, il pittore Louis Wain ed ovviamente Crowley), Lucifer over London presenta al lettore questa colonna sonora alternativa della storia inglese dai giorni della sconfitta laburista con l’avvento della Thatcher fino al tramonto dell’epopea blairiana. Un accompagnamento musicale che ci dice molto sull’isola ancorata al mito dell’utopia di altro mondo possibile (dai tempi di Tommaso Moro) come alla tradizione della corona.
Il rumore organizzato dell’industrial ed i suoi temi volutamente scioccanti (violenza, sesso, esoterismo, controllo della mente) ha rappresentato il momento utopico perché votato alla distruzione della civiltà moderna. Dalla metà dei Settanta l’industria pesante cominciava infatti il suo inarrestabile declino e si ponevano le basi per l’odierno dominio della comunicazione; gli artisti “industriali”, in primis i Throbbing Gristle guidati dal crowleiano Genesis P-Orridge, lo capirono prima di molti sociologi.
A partire dai Novanta alcuni esponenti del genere virarono musicalmente verso il recupero della tradizione folklorica patria e nacque il “neofolk”, detto “apocalittico” per il suo insistere su tematiche millenaristiche con accenti mistici o politici. Capostipite fu il gruppo Current 93, già crowleiano nel nome, dato che il numero 93 secondo il mago rappresentava con calcolo cabalistico le energie dominanti durante la sua era profetica; il fondatore ed unico membro fisso del complesso, David Tibet, ha però da tempo abbandonato la devozione per il controverso patriota e professa un cristianesimo debitore di gnosticismo e buddismo.
Altro discorso interessante è quello di Douglas Pearce con i Death in June: le sue canzoni con ritmi marziali, chitarre folk ed echi del cantautorato colto di Leonard Cohen creano la perfetta atmosfera per la fine dell’impero britannico, un lamento per la gloria perduta di Albione. Il richiamo ai miti pagani, alle origini celtiche o meglio ancora germaniche tenta così di arrestare il processo di decadenza.
I Sol Invictus di Tony Wakeford si chiamano come la divinità solare venerata durante l’impero romano. Il loro lavoro è incentrato sul tramonto non della sola madrepatria ma dell’intero continente europeo; soprattutto le loro prime produzioni citano temi cari ai reazionari Julius Evola e Oswald Spengler (la reazione, in fondo, tende ad essere l’altra faccia dell’utopia rivoluzionaria, proiettata al passato invece che al futuro).
I riferimenti culturali ed i temi trattati non devono permettere il facile incasellamento degli artisti citati nell’estrema destra. Spesso hanno preso le pubbliche distanze dalle soluzioni politiche dei totalitarismi novecenteschi e dalla minoranze neofasciste o neonaziste che non mancano in nessun angolo d’Europa. Siamo più sul piano della provocazione estetica ed intellettuale, “in bilico”, scrive Cresti, “tra furia iconoclasta e desiderio di restaurazione di un Eden mitico”. Siamo insomma nel “cuore nero” di un’isola che un tempo dominava il mondo ed ora, stretta tra le delusioni obamiane e la spossatezza dell’Europa continentale, tenta di reinventare il conservatorismo per rappresentare ancora una volta il miglior Occidente.