Alice “se la tira” ma non conquista

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Alice “se la tira” ma non conquista

03 Maggio 2009

Vanto taluni cari amici, benevoli lettori di questa rubrica, appassionati frequentatori di ristoranti tendenzialmente modaioli e riconducibili, in maniera più o meno ortodossa, al filone della nouvelle cuisine. Gli amici, non a torto, reputano la rubrica strutturalmente antagonista di molti dei principi su cui si fonda la nouvelle cuisine medesima. Da qualche tempo hanno intrapreso nei miei confronti una cortese ma martellante campagna di sensibilizzazione verso il loro credo gastronomico. L’intento è di convertire l’infedele.

Alla base delle argomentazioni degli zelanti missionari dell’ormai antica fede bocusiana vi sono talune considerazioni sicuramente apprezzabili, la prima dei quali fa riferimento al generalizzato utilizzo, da parte di questa corrente di ristorazione, di materie prime tendenzialmente di assoluta qualità, attentamente selezionate, esattamente come auspicato da sempre su queste pagine. Vi è poi l’aspetto estetico: i seguaci di Bocuse badano moltissimo alla presentazione dei piatti e l’attenzione al bello e all’elegante non può certamente essere assunta quale difetto. Da ultimo, è invocato il sacrosanto principio secondo cui è errato ogni apriorismo e addirittura, per esortarmi a compiere visite a locali “del loro giro”, tirano in ballo – un po’a sproposito, a dire il vero – il motto della storica  Accademia del Cimento: “provando  e riprovando”. Al fine, quindi, di indurmi a un cambiamento di rotta, sono stato condotto, in rapida successione, in due nuovi locali, l’uno di Milano, l’altro di Roma, rispettivamente Alice (di cui oggi si parla) e All’oro (di cui chiacchiereremo nella prossima puntata). Dirò subito che l’intento di conversione non è stato conseguito. La prova parallela ha però conseguito esiti diversificati,  dimostrando – come onestamente ammesso anche dai miei cortesi  accompagnatori – la banale verità che una cosa sono le astratte filosofie, altra la loro concreta realizzazione, anche tra ristoratori della stessa “corrente”.

Alice è collocato in una zona semicentrale della città meneghina, priva di particolari attrattive. Il locale è tutto giocato al femminile: realizzato ed arredato da un architetto donna, vede come chef un’altra donna (allieva di Gualtiero Marchesi) e parimenti femmina è il sommelier. Non manca nella carta dei vini  un’elencazione ad hoc per le produttrici. Il reparto camerieri è composto tutto di ragazze.
Il ristorante, per dirla sinceramente, come appalesato anche da quanto proclamato sul sito web, “se la tira”, con una buona dose di sussiego.

L’ambiente, ripartito su due piani, è d’impostazione estremamente moderna, gradevole e dal disegno “pulito”, che trova conferma in una perfetta apparecchiatura dei tavoli, con tovaglie, posate, bicchieri e vasellame di ricercata ed apprezzabile eleganza. Colpiscono, per razionalità e funzionalità, taluni armadi di supporto, a parete, completi di piani di appoggio. Il servizio nelle diverse sale, sebbene le portate si succedano con lentezza, è assai curato e le cameriere si connotano per unire grazia, gentilezza  e una non comune alta professionalità.  Vi è, tuttavia, un punto dolente ed  è proprio la ristorazione. Giocando con i  piatti da me ordinati e pescando da quelli degli amici ho potuto realizzare una degustazione piuttosto ad ampio spettro, durante la quale, ad esempio,  ho avuto grande difficoltà a riconoscere le diverse tipologie di pesce che sono state servite (regolarmente in piccola quantità ma collocate su grandi supporti). Un vecchio (e, a mio avviso, molto saggio) proverbio ligure sostiene che chi metta sul pesce il limon sia … “de Cuni o belinon”. Figuriamoci se in luogo di poche gocce del succo dell’umile agrume si impiegano salse elaborate e intingoli di ogni genere o si cercano accostamenti audaci ad ogni costo, ad esempio giustapponendo all’umile razza  carciofi e foie gras! 

L’offerta di piatti è piuttosto ampia. Tra i crudi (largamente intingolati) si possono ricordare il trittico di tartare (tonno con pomodorini,basilico e cipollina di Tropea, spada con gazpacio di sedano, branzino con panzanella) i carpacci (spada con salsa di peperoni, tonno con pistacchi, seppia con il suo nero, salmone con panna acida all’erba cipollina) e il millefoglie di pasta fresca, con scampi, capesante, calamari, seppie e branzino accompagnato da una salsa all’arancio; tra gli antipasti il baccalà confit con il suo mantecato su passatina di broccoli, il vasetto della nonna con zuppetta di polipo, fagioli e cozze, il polipo tiepido in insalata, con pomodorini e patè di olive su purea di limone. Tra i primi piatti si possono ricordare il risotto ai calamaretti, provola, pistacchi di Bronte e basilico, il doppio raviolo con ricotta e brasato in salsa di grana padano e riduzione di aceto balsamico di Modena, gli spaghetti mantecati con frutti di mare un po’ crudi, un po’ cotti e tra i secondi la zuppa di pesci del Tirreno (decisamente valida), il tonno in due cotture, il maialino di latte cotto nell’olio con verdurine e purea di mele annurche. Degna dei titoli dei film della Wertmuller, al tempo del sodalizio artistico con Giancarlo Giannini, la descrizione dei numerosi dolci proposti (valga un solo esempio, il partenopeo piatto denominato “furore”: degustazione di babà al rhum con crema pasticcera e fragoline, pastiera napoletana, melanzane al cioccolato, sorbetto ai limoni di Amalfi).

Abbastanza ricca l’offerta della cantina, con ricarichi talora non indifferenti. Il locale, in via generale, si colloca in una fascia di costo mediamente alta, con un rapporto qualità/prezzo che non sembra potersi definire accattivante.

Alice – Milano, Via Adige,6 –  telefono: 02/5462930  – Chiuso la domenica