Alitalia va a picco e il neo-presidente pensa ai sindacati

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Alitalia va a picco e il neo-presidente pensa ai sindacati

02 Agosto 2007

Il CdA di Alitalia avrebbe dovuto partorire quel “piano industriale” che sarebbe dovuto essere la base per una nuova asta, gara o selezione competitiva di sorta per porre in vendita la partecipazione di controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) nell’azionariato della compagna. C’è stato il cambiamento di vertice. Su tutto il resto, però, una fumata nera e un rinvio a fine mese.

Nel frattempo, mentre il titolo crolla in Borsa, il nuovo Presidente Maurizio Prato ha annunciato incontri con la numerose e variopinte sigle sindacali che per decenni hanno fatto il bello e il cattivo tempo in azienda.

Il passo del Presidente può essere interpretato in due modi: da un lato, l’esigenza di spiegare ai lavoratori con ricchezza di dati e grande franchezza che o si cambia strada o si va tutti a casa e si svende la flotta a qualche Paese in via di sviluppo o di nuova adesione all’Unione Europea; da un altro, il ritorno alle vecchie prassi consociative che hanno tanto contribuito ad affossare l’azienda.

Più preoccupante è la strategia del rinvio decisa dal CdA: di fronte ad una situazione drammatica – il pasticciato beauty contest – sarebbe stato necessario approvare un piano industriale, forse perfettibile, ma comunque tale da rappresentare una base per la privatizzazione o cessione della compagnia.

La lentocrazia pilatesca (che non decide) e gattopardesca (che non cambia nulla nella sostanza) non giova, ma dà l’impressione che lo stesso CdA , invece di decollare in modo operativo, sia nel pallone. Tanto per utilizzare metafore aeronautiche.

Non mancano capitali alla ricerca di investimenti. L’ultimo fascicolo del settimanale “The Economist” dedica un’inchiesta speciale ai “sovereign fund”, fondi di investimento molto liquidi controllati da Stati Sovrani e da essi utilizzati per operazioni all’estero – per investimenti tanto in portafoglio quanto diretti. Da lustri esistono quelli dei Paesi produttori ed esportatori di petrolio. Da qualche anno si sono affiancati loro quelli di Paesi emergenti dell’Estremo Oriente e dell’America Latina – desiderosi di fare buoni investimenti che potrebbero pure rafforzare le loro flotte nazionali ampliando i loro raggi di azione oppure dando loro. Quindi, il nodo non è dal lato della potenziale domanda, ma di cosa si offre: nessuno vuole investire in un perdente se non ha possibilità di ristrutturarlo e di renderlo vincente. Esistono vari percorsi per ristrutturare: nessuno di esso è gattopardesco e pilatesco; richiede cambiamento e decisioni pertinenti.

La fumata nera è un pessimo segnale ai mercati. Potrebbe anche indurre a pensare male: che si sia definito a chi dare la spoglie di Alitalia e si stia facendo solamente una pantomima. A spese degli italiani.