Alla fine ho capito che non c’è scelta fra tradire e non tradire
01 Settembre 2011
A ben pensare, combaciavano anche le date: quella della sparizione e quella del ritrovamento. Anche quel chirurgo aveva problemi con il gioco ed era finito come Salvatore Dazi: carbonizzati per non essere riconoscibili.
Appena potei lo dissi a Rita, aggiungendo:
– Potresti far riesumare il cadavere che è stato seppellito come Tano Mendo?
Lei, ovviamente, mi fece presente quanto fosse complicato. Mi disse che avrebbe chiesto a un giudice suo amico.
Fu esemplare la grandissima disponibilità che dimostrò il giudice nei confronti della nostra causa.
In onore dell’antica amicizia con Rita (e memore dell’aiuto che Rita dette durante una certa occasione) fece in modo di rendere cosa fatta entro una settimana tutti i controlli di cui avevo parlato con Rita.
Viceversa, il mandato di perquisizione per la casa di Mario Delusse arrivò in poco meno di un giorno.
Rita ci andò coi suoi uomini e, evento degli eventi, anche io potei andare con lei.
La cosa andò più o meno così: eravamo andati a casa del segretario verso le cinque e, quando lui aprì, la mia amica gli sottopose il mandato di perquisizione, non potendo tirarsi indietro il segretario ci lasciò entrare.
Quando uno degli uomini chiese che cosa dovessero cercare precisamente, lei lasciò che fossi io a dire che cercavamo “un quadro con una vistosa scritta fatta col rossetto”.
Non so perché, ma me la immaginavo così. Il ritrovamento del corpo del reato destò in Delusse la voglia di scappare, facendolo immediatamente (e malamente) fermare da uno degli uomini di Rita, il quale lo rincorse sulle scale.
Sul quadro, proprio come avevo immaginato, era scritta la lettera d’addio dell’assessore, il quale — per paura di finire come Max e per il rimorso di averne indirettamente causato la morte — decideva di uscire per sempre di scena. L’assessore aveva scritto quella lettera d’addio, due righe in realtà, nell’unico posto in cui pensava che non si potesse cancellare: sull’unico quadro della sua stanza. Teatralità allo stato puro.
Ma, come ci disse Delusse stesso quando fu interrogato, quell’unico quadro glielo aveva regalato lui, e non voleva che fosse perso per sempre in qualche ufficio di polizia, e magari rovinato.
Rita si congratulò con me.
E quando fu riesumato il cadavere e si scoprì che era effettivamente il chirurgo, dovette ricongratularsi.
Delusse fu scagionato dall’accusa di occultamento di prove perché il suo avvocato era il migliore di Bari. Ma forse centrava anche il fatto che il segretario fosse il rampollo di una delle più potenti e influenti famiglie della società barese: la sua sola comparsa in tribunale fu eccezionale.
La signora Calcagni confessò di essere stata complice di Mendo per i motivi che avevo detto a Rita e che mi aveva suggerito don Dollaro.
Guglielmo d’Orton finì agli arresti domiciliari perché gravemente cardiopatico con l’accusa di collusione mafiosa e attualmente riposa nel cimitero di Palo del Colle.
Mendo fu identificato e questa volta nessuno poté farlo assolvere come era già successo in precedenza.
Il poveretto che era morto al suo posto lo aveva anche operato: nella sua villa di campagna (che aveva detto alla moglie di aver perso al gioco) era stata approntata una vera e propria sala operatoria. Basandomi sulle cose che venivo a sapere dallo Specializzando in merito alla vita del Policlinico, arguii che le attrezzature di quella sala operatoria clandestina dovevano essere state rubate proprio al Policinico, da cui erano sparite parecchie cosucce dal Policlinico negli ultimi tempi: tutte cose che erano finite in quella villa per l’operazione finale di Mendo.
Furono celebrati i funerali di Dazi e del chirurgo nello stesso giorno. L’omelia che fece il parroco fu commovente e fu in quella circostanza che le rispettive vedove si incontrarono e decisero di istituire una fondazione per i malati di gioco d’azzardo, in modo che tali tristi faccende non si ripetessero, almeno nella loro città. Un’illusione come un’altra.
Datosi poi che buona parte dei mafiosi baresi erano stati uccisi da Mendo, e lo stesso Mendo era finito dietro le sbarre, Riccardo mi promise che a Natale mi avrebbe regalato qualunque cosa avessi chiesto. Siccome non volevo nemmeno immaginare come si sarebbe procurato il regalo per me, gli dissi che non c’era nessun bisogno di farmene.
Rita mi disse che ogni volta che volevo immischiarmi nelle sue indagini potevo farlo, purché non dessi troppo nell’occhio.
Purtroppo non fui citato da nessun quotidiano nazionale, ma solo su un trafiletto sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Poi seppi che questa era una misura precauzionale messa in atto da Rita per evitarmi rogne di qualunque tipo.
I miei coinquilini furono orgogliosissimi di me e mi fecero complimenti a non finire. Così ebbi un altro quarto d’ora di gloria.
Trovai anche un editore che pubblicò il racconto che nacque dalla vicenda.
Ma di tutta questa storia, più d’ogni altra cosa, mi rimase fortissima l’impressione che, alla fin fine, non c’è davvero una scelta fra tradire e non tradire: nel momento in cui non si tradisce qualcuno si finisce col tradire qualcun altro. Di conseguenza i tradimenti possono solo distinguersi per la loro eleganza, per la loro discrezione. Alla fine dei conti, il tradimento è una questione di gusto.