Alla Lessing un Nobel post-ideologico
12 Ottobre 2007
“Sono nata per scrivere,
geneticamente. Voglio raccontar storie. Tutti, quando sogniamo, ci diciamo
storie. E non c’è alcun messaggio: è il lettore che cerca un messaggio, e
quindi lo trova”. Così si esprimeva Doris Lessing in un’intervista del 2004,
autrice a cui – come è noto – è stato assegnato il premio Nobel 2007 per la
letteratura, con la seguente motivazione: “Narratrice epica dell’esperienza
femminile, che con scetticismo, passione e potere ha messo sotto esame una
civiltà divisa”.
La Lessino è figlia di un reduce
britannico della Prima guerra mondiale, trasferitosi dapprima in Iran – dove
Doris è nata nel 1919 – e poi in Rhodesia del Sud (l’odierno Zimbabwe), in cui ha
vissuto fino al 1949, sposandosi due volte e vivendo con intensità l’Africa
nera, che è la maggiore ispiratrice della sua narrativa. Da allora vive a
Londra con i figli.
Scrittrice estremamente
prolifica, è difficile fare l’elenco completo delle sue opere che si contano a
decine (quasi tutti i suoi libri in Italia sono stati pubblicati da Feltrinelli).
I critici normalmente suddividono la sua produzione in tre periodi: quello
comunista (1944-1956), che vede la sua narrativa concentrarsi prevalentemente
su temi sociali (di questa stagione si deve citare il romanzo d’esordio, L’erba canta, del 1950); la fase
psicologica (1956-1969), più intimistica, in cui giganteggia la serie Figli della violenza, che l’ha impegnata
dal 1952 al 1969, ed infine il periodo del sufismo, al centro del quale si
trova il ciclo fantastico Canopus in
Argos (1979-1983). In realtà questa periodicizzazione non è soddisfacente,
già per il solo fatto che dal 1983 ha scritto e pubblicato una ventina di
romanzi!
La sua opera più famosa resta
probabilmente il Taccuino d’oro,
uscito nel 1962 e dedicato alle inquietudini di quegl’anni, da molti critici
considerata un’opera femminista, ma diversamente intesa dall’autrice: “Sono
sempre più sconcertata dall’ormai automatico disprezzo nei confronti degli
uomini, diventato parte della nostra cultura senza che nessuno si lamenti”, le
è capitato di affermare recentemente e in un’altra occasione: “Non voglio
essere una scrittrice per sole donne: le femministe si sono autocastrate
limitandosi ai discorsi fra loro. Dichiarando guerra agli uomini hanno perso
un’importante occasione per cambiare il mondo”.
Senza reticenze si è occupata dei
temi più scottanti del dibattito pubblico, dal terrorismo alla politica estera
americana, dal pacifismo alla disastrosa condizione in cui versa lo Zimbabwe,
senza tralasciare delicate questioni che si è soliti collocare nella dimensione
del “privato”, come il rapporto fra i sessi oppure la condizione degli anziani
nel nostro tempo. “Dunque il sogno più dolce è quello degli anni Sessanta?” le
chiedeva una giornalista di Repubblica
in un’intervista del 2002, e lei: “Oh, no. E’ quello della mia prima
giovinezza. E’ il sogno comunista… E’ una storia vera. Qualcuno me l’ha
raccontata tempo fa. Mi colpì, e ora mi sono trovata ad usarla. Ogni tanto mi
succede”.
Recentemente sollecitata sui temi
più caldi del dibattito internazionale, ha dichiarato: “Credo all’impegno di
breve periodo di piccoli gruppi su temi specifici. I movimenti per la pace, la
guerra, contro gli armamenti, semplicemente non funzionano. E’ una leggenda che
io sia una specie di Giovanna d’Arco. In un breve articolo scritto nel 2003 per
il Corriere della Sera, uscito con il
titolo Non credano i potenti di oggi di
essere eterni, scriveva: “Sono giunta alla conclusione che le grandi
organizzazioni monolitiche, apparentemente indistruttibili, sono di fatto le
più fragili, e quando sembrano essere al culmine della loro forza, sono in
realtà nel loro momento più vulnerabile. Quando rifletto sul passato, oggi non
vedo i grandi imperi e i dittatori, ma solo i piccoli individui, e le cose
straordinarie che sanno realizzare”.
Nonostante la sua militanza
ideale, non ha mai amato la capacità di attrazione delle ideologie; una volta ebbe
a dire: “Detesto che gli uomini si debbano classificare in laburisti,
conservatori, socialdemocratici o di estrema sinistra. Le ideologie, come le
fedi, hanno fatto e continuano a fare un’immensa quantità di male. Poi per
fortuna scompaiono”.
Nella rosa dei candidati al Nobel
da tempo, nel nostro paese è stata premiata nel 1989 con il Premio Grinzane
Cavour, promosso dalla Provincia di Torino, e in Spagna con il Principe delle
Asturie nel 2001. Ama tuttavia prendersi gioco dei critici, ed ha scritto due
libri sotto pseudonimo, Jane Somers, per dimostrare quanto siano inaffidabili
(manco a dirlo, gli stessi che la esaltavano, in questa occasione l’hanno stroncata).
Fra i temi “intimistici” di cui si è occupata c’è quello della forza magica della
risata, di cui ha detto: “è qualcosa di molto potente e solo le persone civili,
le persone libere ed emancipate, sanno ridere di se stesse”. E’ proprio vero
che i grandi insegnamenti a volte si vestono di una semplicità acuta e sorprendente,
che tanto somiglia a Doris Lessing.