Alla Rai va tolta la maschera del servizio pubblico

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Alla Rai va tolta la maschera del servizio pubblico

Alla Rai va tolta la maschera del servizio pubblico

11 Dicembre 2007

Un recente seminario alla Fondazione Magna Carta ha
offerto una interessante opportunità di riflessione sull’altro lato dei
progetti di riordino dell’emittenza accarezzati dal ministro Gentiloni. Non
cioè la regola del quarantacinque per cento, del resto approfonditamente
scandagliata in un pamphlet di Franco Debenedetti. 

Ma la nuova disciplina della Rai, che si vorrebbe
strappare alle grinfie dei partiti mettendola in capo a una fondazione.

Di privatizzare la televisione pubblica, oggi non parla
più nessuno – e questo nonostante l’attuale presidente del consiglio, in
campagna elettorale, avesse proposto la vendita di due reti, per focalizzare il
“servizio pubblico” su un unico canale con meno lustrini e più informazione
(pare assodato che il “servizio pubblico” riguardi precipuamente programmi che
il pubblico non vuole guardare).

In generale, da più parti si ricorda come quello europeo
sia (anche in ambito televisivo!) un modello “misto”: cioè come persino
democrazie assai meno interventiste della nostra (a partire dalla Gran
Bretagna) vantino una presenza statale, e forte ed autorevole, nell’ambito
dell’emittenza. L’unica eccezione è il piccolo Lussemburgo: non sarebbe l’unico
caso in cui spetta ai micro-stati il monopolio del buon senso (si pensi al segreto
bancario), ma nel dibattito politico si ama ragionare per imitazione, e
pertanto “fare come” la grande Francia dà lustro e prestigio, seguire uno
staterello no.

La Fondazione che sortirebbe dalla Gentiloni è
interessante non tanto in sè e come risposta ad un problema immediato, ma in
quanto esemplifica molto bene un certo modo di pensare ed agire. Il dato della
proprietà pubblica della Rai, è il dato della lottizzazione. Con tempi diversi
da quelli della politica, si è passati anche lì dal monocolore democristiano al
compromesso storico: fatto sta che il controllo pubblico è stato
necessariamente l’occupazione dei partiti. 

Oggi va di moda contrapporre quel modello, clientelare, a
quello del