Allarme, son neofascisti! (firmato Delrio)

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Allarme, son neofascisti! (firmato Delrio)

09 Febbraio 2018

Allarmi son neofascisti! “Siamo alle soglie di una stagione neofascista” dice Graziano Delrio alla Repubblica del 7 febbraio. C’era una volta la splendida intesa tra Repubblica e il Pd, il quotidiano era la lancia e lo scudo del combattente piddino e ogni appuntamento vedeva il duo Rep-Dem impegnarsi in un movimento ben coordinato. Copie perse anche per il coraggioso fresco stile da Le Monde Diplomatique, liti famigliari, il nuovo asse giovani Deb-giovani Fiat che innervosisce il patriarca, liti tra anziani, e poi ci aggiungi Matteo Renzi visibilmente fuori di testa, e così quello che era un bel e ordinato rapporto, è diventato un caotico inferno. Che cosa significa per esempio sparare a tutta pagina l’intervento di Delrio da cui traiamo questa citazione? E’ un attacco a Renzi perché fa poco l’antifascista? E’ un attacco a Minniti perché fa troppo il fascista? E’ difficile capire il senso di articoli che paiono seguire una trama ma quasi senza logica. La ricchezza dei punti di vista è fondamentale per un grande quotidiano, la confusione no. Prendiamo la Repubblica dell’8 febbraio. Con un editorialino di Stefano Cappellini scrive: “Un grave errore. Non c’è altro modo di commentare la richiesta del sindaco di Macerata di sospendere ogni manifestazione in città dopo il grave episodio di terrorismo fascista che ha colpito la città”.  E poi si pubblica, senza alcuna connessione con l’ “editorialino” un’intervistona a Marco Minniti fatta da Goffredo De Marchis, che dice: “Ringrazio l’Anpi per aver rinviato la manifestazione di sabato accogliendo l’appello del sindaco. Spero che facciano lo stesso le forze politiche. Se non succede, ci penserà il Viminale a vietarle”. O leggiamo la Repubblica del 9. Tommaso Ciriaco scrive che c’è “un pezzo di sinistra che scenderà comunque in piazza” si coglie l’empatia per i veri antifascisti. Poi però c’è anche un’intervista sdraiata a Matteo Renzi dell’ex polemico Stefano Cappellini in cui il genio di Rignano afferma: “Dire che il Pd sottovaluta non è ingeneroso: è soprattutto falso”. Alla fine l’unico filo di coerenza editoriale consiste nel dire che Matteo Salvini è il vero neofascista. Paolo Berizzi sempre il 9 febbraio intervistando alcuni sgallettati uscti dal movimento fondato da Umberto Bossi, vuole dimostrare che: “C’è un’altra Lega che vive e lotta per non diventare nera”. Nella campagna antisalviniana di Largo Fochetti si sente un sapore antico, vien subito alla mente il ricordo di quella negli anni ’70 di Lotta Continua contro il fanfascismo.  La razionalità delle antiche denunce lottocontinuiste e di quelle attuali repubblicane è più o meno la stessa.

La straordinaria competenze di Carlo Calenda. “Sta spingendo la Lega ai limiti di quello che una volta si chiamava l’arco costituzionale” così   dice Carlo Calenda in un’intervista che gli fa Federico Fubini sul Corriere della Sera del 5 febbraio. Calenda accusa Matteo Salvini di essere un incompetente e impreparato, e poi se ne esce con questa perla dell’espulsione dei leghisti da un arco costituzionale che aveva un senso finché c’erano i partiti che avevano scritto la Costituzione nel 1947. Probabilmente il nostro non si è accorto che sono spariti la Dc, il Pci, il Psi, il Pri, il Pli, lo Psdi e così via. Così a occhio mi pare di intendere che la strada per diventare competenti e preparati politicamente non passi proprio tra Monti e Montezemolo.

Berlusconi è il vero servo dell’Unione europea. Firmato Renzi & Di Maio. “’L’immigrazione dipende da due fattori: coi trattati di Dublino ogni Paese gestisce l’immigrazione da solo, ma quegli accordi che ora Berlusconi contesta li ha firmati lui nel 2003. E se in Italia arrivano i migranti è perché qualcuno ha fatto la guerra in Libia e il presidente del Consiglio era Berlusconi’, dice Matteo Renzi. Per il principale sfidante del centrodestra, il Cinquestelle Luigi Di Maio, è lo stesso ex premier il ‘responsabile della bomba sociale dell’immigrazione in Italia’“. Così il sito di La Presse del 5 febbraio. La coppia più bella del mondo Renzi & Di Maio pone alcuni quesiti che appaiono dirimenti nelle scelte degli elettori: chi al governo dell’Italia è stato più subalterno all’asse franco-tedesco? Chi meglio potrà realizzare un riequilibrio nei rapporti con questo asse e dunque gestire con maggiore attenzione gli interessi nazionali, compresa la questione dell’immigrazione? Chi potrebbe resistere nel futuro con più energia a un blocco di forze internazionali che volesse farci ripetere l’insensata guerra in Libia? Un dibattito sul passato è difficile in periodo elettorale: io c’ero, tu non c’eri e se c’eri dormivi, e così via. Invece le domande sul futuro mi pare possano trovare risposte e alternative abbastanza chiare.

Lezione tedesca. Studiarla con attenzione. “After securing 12.6 per cent of the vote in September, the AfD is now on 15 per cent, according to an Insa poll earlier this week. The SPD was at 17 per cent, down from 20.5 per cent in September. Support for the CDU/CSU fell to 30.5 per cent, down from 32 per cent in the election”. Claire Jones e Patrick McGee scrivono sul Financial Times che dopo gli accordi tra Angela Merkel e Martin Schulz, i sondaggi compiuti dalla maggiore società di ricerche demoscopiche tedesca l’Insa, indicano che l’Afd (la destra) passerebbe dal 12,6 al 15 %, l’Spd al 17,5 dal precedente 20,5 e la Cdu al 30,5 dal precedente 32. Qualcuno osserverà che i partiti della nuova maggioranza hanno quattro anni di tempo per recuperare. L’impressione invece è che si sia di fronte a una tendenza irreversibile soprattutto di fronte a una coalizione che da subito si annuncia litigiosa (sembra uno degli ultimi governi di centrosinistra fine anni Sessanta). Chi in Italia vuole seguire questo esempio è chiaro che non ha imparato la lezione del governo Monti che in un anno e passa ci ha regalato la protesta senza proposta grillina, del governo Lettino che ha fatto un esecutivo di unità nazionale espellendo dal Senato il leader del partner di “destra” e del governo Renzi tanto arrogante quanto privo di un adeguato mandato elettorale. Il terzo grave errore politico diventa una statistica.