Altro che Caporetto, rispetto ai suoi colleghi il Cav. si difende bene

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Altro che Caporetto, rispetto ai suoi colleghi il Cav. si difende bene

25 Maggio 2011

Cosa hanno in comune Angela Merkel, Nicolas Sarkozy, José Luis Zapatero, José Sócrates e Silvio Berlusconi? Sono tutti alla guida dei principali paesi europei, ma sono anche i leaders politici che hanno dovuto subire pesanti sconfitte elettorali nelle recenti elezioni amministrative o, come nel caso del portoghese Sócrates, si apprestano a subire una sconfitta alle imminenti elezioni politiche. Cosa sta succedendo a livello europeo? Perché tutti i governanti in carica subiscono sconfitte elettorali? E’ difficile dire se si tratti, in generale, di semplice alternanza democratica o di una vera e propria crisi politica dei singoli governi nazionali. In realtà, se da una parte esiste un evidente filo rosso che lega i grandi leaders europei, ovvero le sconfitte elettorali, dall’altra è indubbio che le cause di questi insuccessi hanno una specificità nazionale e sono dunque differenti da paese a paese.

Alla base dell’insoddisfazione manifestata dagli elettori, c’è, certamente, la mancanza di posti di lavoro e forme crescenti di povertà, il sentimento di incertezza psicologica di fronte all’instabilità delle borse ed, ancora, le difficoltà economiche di Stati come Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo che non fanno che aumentare lo scetticismo nei confronti dell’Unione Europea – soprattutto nei paesi del Nord e del Centro Europa. Tutto ciò si ripercuote inevitabilmente sui governanti di turno, anche se questi non hanno, molto spesso, alcuna responsabilità diretta.

In Germania le cause delle numerose sconfitte elettorali di Angela Merkel nell’ultimo anno e mezzo hanno una duplice matrice: la politica interna e la situazione politica internazionale. Le ragioni interne sono rappresentate dalla difficoltà di trovare un programma comune con gli alleati liberali e dalla crisi dei liberali stessi che sono ai loro minimi storici tanto che, stando ai risultati di oggi, non entrerebbero nemmeno in parlamento – meno di due anni fa, i liberali furono i grandi vincitori delle elezioni con il 15 per cento! Sul fronte esterno la crisi economica della Grecia ha avuto effetti politici drammatici per la coalizione di governo. La gran parte dei cittadini tedeschi non ha mai condiviso gli aiuti alla Grecia (come anche agli altri paesi in difficoltà) e le sconfitte dello scorso anno sono da addebitare principalmente a questo motivo.

Sempre sul fronte esterno, l’incidente di Fukushima ha avuto un impatto fortissimo sulla popolazione tedesca. Angela Merkel ha provato a fare marcia indietro rispetto ad una politica nuclearista che appena nell’autunno scorso era stata orgogliosamente presentata come uno dei punti di forza della coalizione di governo. Ma la retromarcia sul nucleare è servita a ben poco ed è sembrata anche poco credibile, tanto che sono stati i Verdi, storicamente contrari al nucleare, ad avere avuto un boom elettorale senza precedenti nella storia della Repubblica Federale Tedesca. L’aspetto più sorprendente è che tutti questi fatti hanno, clamorosamente, oscurato i successi e gli ottimi risultati nella politica economica del Governo Merkel. La Germania cresce, infatti, a ritmi superiori a tutti gli altri paesi europei ed anche di più degli Stati Uniti. La crescita economica della Repubblica Federale Tedesca è la più alta da vent’anni a questa parte; questo significa che è tornata ai livelli precedenti alla riunificazione.

Diverso il caso di Sarkozy in Francia. Qui la tanto proclamata rupture promessa da Sarkozy in campagna elettorale non è mai stata realizzata del tutto e Monsieur le President sembra aver sofferto a lungo il gossip per la tanto discussa storia d’amore con Carla Bruni. Il nuovo protagonismo francese nello scacchiere mediterraneo con l’intervento militare in Libia non è servito a molto. Secondo alcuni analisti francesi è stato addirittura controproducente. A circa un anno dalle elezioni presidenziali Sarkozy può, però, contare sul suicidio politico del centro-sinistra e del principale sfidante, ci riferiamo ovviamente a Dominique Strauss-Kahn. Un fatto che ha poco a che fare con la politica, ma dal quale Sarkozy potrebbe, alla lunga, trarne vantaggio, anche se proprio ieri un sondaggio di RTL, la principale radio francese, e ripreso anche da Le Figaro, mostrava come né Sarkozy né Marine Le Pen, al momento, beneficino dello scandalo Strauss-Kahn. 

Degli attuali leader politici europei, chi è sicuramente arrivato al capolinea della sua avventura politica, tanto che ha già annunciato di non ricandidarsi, è lo spagnolo Zapatero. In Spagna le elezioni di domenica scorsa, caratterizzate dalle manifestazioni dei cosiddetti indignados che hanno occupato la piazza di Madrid, sono state devastanti per il Partito Socialista. Molti giornali spagnoli hanno, addirittura, parlato di Tsunami conservatore. Sarebbe, però, un errore individuare nel movimento degli indignados la causa della sconfitta di Zapatero, perchè i giovani manifestanti avevano anche invitato a boicottare le elezioni. I motivi delle difficoltà del governo socialista sono molto più gravi e profondi: la gravissima crisi economica degli ultimi anni ed il diffondersi della corruzione.

Secondo un interessante commento della Zeit, settimanale tedesco liberal-progressista ma molto critico con Zapatero, il messaggio dei cittadini spagnoli è chiaro: José Luis Zapatero deve andare via. Il Partito Socialista non sembra più godere della fiducia degli spagnoli in quanto non è più in grado di garantire un’uscita dalla crisi. Il paese ha enormi debiti, aumentano le tasse e lo stato sociale viene, lentamente ed inesorabilmente, smantellato. L’attuale governo progressista è debole, non ha più una solida maggioranza parlamentare e finché resterà alla guida della Spagna non farà altro che prolungare inutilmente la propria agonia. Da parte di uno principali giornali tedeschi arriva dunque un giudizio impietoso!

Oltre a Zapatero anche il Premier del confinante Portogallo, José Sócrates, non sembra avere un futuro politico roseo. Qui non ci sono state elezioni amministrative, ma il cinque giugno ci saranno le elezioni politiche. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato sul giornale Publico, il Partito liberal-conservatore (PSD) di Pedro Passos Coelho, oggi all’opposizione, sarebbe in netto vantaggio nelle intenzioni di voto sul partito (PS) del premier José Sócrates. Il PSD otterrebbe il 39,6 per cento ed il PD si fermerebbe al 33,2 per cento. L’altro partito di centrodestra, il CDS, potenziale alleato del partito di Pedro Passos Coelho, raggiungerebbe il 12,1 per cento. Anche in Portogallo il Governo di centrosinistra uscente è destinato a lasciare spazio all’attuale opposizione moderata.

Veniamo, infine, all’Italia ed a Silvio Berlusconi che ha dovuto affrontare la prima parziale sconfitta elettorale (in attesa dei risultati, non scontati, dei ballottaggi a Napoli e Milano) dall’inizio dell’attuale legislatura. Le ragioni delle attuali difficoltà elettorali del centrodestra italiano non sono certo da ricercare nelle difficoltà economiche del paese o nelle decisioni sulla politica internazionale – fatti che hanno inciso in modo marginale. A pesare sono stati la litigiosità interna della maggioranza di governo e la fuoriuscita dei futuristi di Gianfranco Fini. In più, nel caso italiano, le città di Napoli e Milano, per il problema dei rifiuti da una parte e per una serie di ingenuità ed errori del centrodestra durante la campagna elettore dall’altra, rappresentano casi specifici e non generalizzabili che andranno analizzati come tali una volta acquisiti i dati definitivi.

In conclusione, è evidente come alla base delle sconfitte dei leaders nazionali ci siano ragioni diverse. In molti casi si tratta di normale e salutare alternanza politica, come ad esempio in Spagna e Portogallo. In ogni caso proprio alla luce di ciò che avviene nel resto d’Europa proprio noi italiani non dovremmo drammatizzare troppo eventuali sconfitte, che siano per il centrodestra (Milano) o per il centrosinistra (Napoli), ma dovremmo soprattutto evitare di alzare i toni di una campagna elettorale che, troppo spesso, è stata presentata, erroneamente, come una sorta di giorno del giudizio.