Anche Chavez si unisce al fronte dei NO all’intervento armato in Libia
01 Aprile 2011
La comunità internazionale assiste alla guerra in Libia ed attende i risvolti per i futuri equilibri geopolitici dell’area che ne scaturiranno. L’eventuale caduta del regime di Gheddafi preoccupa le stanze del potere di molti Paesi, anche quelli geograficamente lontani dallo scacchiere del Mediterraneo e mediorientale. Il presidente Chávez, timoroso che il vento rivoluzionario nordafricano soffi fino ai propri confini, incendiando gli animi dei venezuelani vessati da decenni di regime autoritario, sta ridiscutendo le proprie scelte, rafforzando la propria figura e predisponendo nuove politiche demagogiche, magari con una riforma delle Forze Armate
.Arroccato nella propria ideologia dal 1998, il chavismo sta vivendo una crisi profonda, che potrebbe portare al suo disfacimento. Gli avvenimenti nordafricani, soprattutto quelli libici, oscurano la bella immagine creata negli anni dal presidente venezuelano, che teme il naturale confronto con il claudicante Gheddafi, l’ amico della Revolución fino a poco tempo fa. Il legame tra il presidente venezuelano e Muammar Gheddafi, infatti, si è da sempre imperniato sulla comunanza ideologica e su un marcato spirito antioccidentale. Il South America-Africa Summit (ASA), tenutosi a Isla de Margherita in Venezuela nel 2009, ne aveva evidenziato proprio questi due aspetti, al punto da inaugurare un progetto politico molto ambizioso: la South Atlantic Treaty Organization (SATO), alterego della NATO. Un’idea né nuova né originale. Sin dalla fine della guerra fredda, infatti, si rincorrevano le voci dell’opportunità di creare un’alleanza sul modello della NATO,per sottrarre i paesi del Sud all’influenza dell’ impero sovietico, dotandoli di un sistema di difesa. Questo sarebbe stato il collante di un’alleanza strategica analoga a quella delle democrazie occidentali. Fermatasi a mero carteggio riservato, l’idea di costituire un’organizzazione militare per il Sud dell’Atlantico non ha mai trovato concretezza, forse anche per le diaspore regionali latinoamericane.
Preoccupata di implodere come le autarchie nordafricane, la dittatura chavista tenta di dirottare l’attenzione con fumosi ragionamenti di fantapolitica. Secondo il leader maximo venezuelano, l’attacco armato contro il Raís sarebbe l’ultimo atto di un più ampio complotto imperialista occidentale. La coalizione dei volenterosi, capitanata da Stati Uniti e Francia, vorrebbe costituire un proprio avamposto in Nord Africa. La Libia, per posizione geografica e risorse energetiche, costituirebbe il luogo ideale. Di qui, il proposito di rovesciare il regime del Colonnello, frammentando politicamente il paese. Ciò garantirebbe lo sfruttamento incondizionato da parte degli imperialisti yankee delle ricchezze naturali libiche, in primis l’oro nero. Dividi et impera, dicevano i latini. Sempre secondo Chávez, la cacciata di Gheddafi, anche a suon di bombardamenti che andrebbero oltre il dettato della risoluzione ONU 1973, metterebbe a tacere una delle voci ispirate all’antimperialismo, antiamericanismo e soprattutto al socialismo del XXI secolo. Sebbene non sia solo il presidente venezuelano a sostenere una forzatura nell’applicazione della risoluzione 1973, la chiave chavista del complotto internazionale sembra più un paravento dietro il quale nascondere il fallimento di un modello, quello appunto del “socialismo in chiave contemporanea”.
La strategia messa in campo in questi giorni dal presidente venezuelano per superare l’empasse politico in cui stagna, fa perno sulla dimensione militare e il nuovo modo di concepire la missione stessa delle Forze Armate. Se per lunghissimo tempo il leit motiv dell’oro nero è stato il cavallo di battaglia del compañero Hugo, oggi l’attenzione del leader maximo è slittata sulla riforma strutturale dell’Esercito. Sempre più prossimo all’appuntamento elettorale del 2012 e timoroso di vivere lo stesso destino dell’amico Gheddafi, Chávez ha deciso di correre ai ripari, assicurandosi con ogni mezzo – ivi incluso la fedeltà del corpo militare – la propria permanenza al potere.
Di qui, la proposta di una riforma delle Forze Armate, apparsa in queste settimane sulla Gazzetta Ufficiale. Secondo il dettato della Riforma, lo spirito che animerebbe questa scelta governativa sarebbe “cercare la maggior efficacia politica e qualità rivoluzionaria nella costruzione del socialismo”. Tradotto, si configurerebbe nel migliorare l’operatività della componente militare dello Stato. Massimizzare la forza e l’efficacia politica del cittadino, per una modifica strutturale della società. Un’ “imposizione democratica” del modello socialista, che va dal cittadino al milite, sorpassando qualunque credo politico personale, in nome di un benessere generale di cui, però, solo Chávez è interprete. Il caudillo auspica “la creazione di battaglioni di milizia in ogni quartiere del paese, con l’obiettivo di evitare che tornino a ripetersi situazioni negative causate dall’oligarchia”. “Noi siamo obbligati a trionfare in tutte le missioni bolivariane”, prosegue il testo in un delirio anticostituzionale e antidemocratico.
Tramutare, dunque, la milizia nello strumento per correggere eventuali decisioni (elettorali) e comportamenti dei cittadini. Un modello che violenta apertamente la Costituzione venezuelana, che nega la possibilità per i militari di avere affiliazioni politiche. Dal testo della Riforma, invece, si vuole proprio legare l’esercito con il Governo, per “rifondare la nazione venezuelana” in un rinato spirito socialista. Nella distinzione tra truppa ed ufficiali di carriera – tipica di ogni organizzazione militare – si specifica che “il personale militare in tutti i suoi gradi e gerarchia dovrà essere subordinato all’ufficiale che detenga il comando più alto”. Considerato questi sono di nomina governativa, è evidente l’interferenza politica nella gestione del corpo armato. L’obiettivo è quello di rimpiazzare le Forze Armate Nazionali con milizie politicizzate, militarizzando di fatto il Paese e controllarlo in tutti i suoi aspetti.
A dispetto degli sforzi per allontanare il paragone con il regime di Gheddafi, il Venezuela si sta lentamente spostando sulla scia seguita fino a pochi mesi fa dalla Libia: un paese in cui le violazioni del diritto e delle libertà sono all’ordine del giorno, in cui vi è un’identificazione viscerale tra Forze Armate e governo centrale. L’assenza di Forze Armate moderne, professionali ed apolitiche, infatti, ha determinato la grande differenza tra il caso libico e quello egiziano e tunisino. Il più grande punto di forza del regime di Gheddafi e dei suoi figli si fondava nell’organizzazione di una milizia nazionale politicizzata, costituita prevalentemente mercenari stranieri fedeli non allo Stato ma al Governo del Raís. Una dimensione antropologica, di identificazione tra il leader e le Forze Armate tipico di ogni dittatura. Non vi è dubbio che la realtà del Venezuela differisca, soprattutto in termini sociali e di sviluppo economico, da quella libica; allo stesso tempo, però sono evidenti le similitudini politiche e demagogiche dei due leaders.Un marcato accento antidemocratico, il desiderio di rendere eterno il proprio regime, il controllo dei mezzi di informazione e il dominio sulle ricchezze del paese. Ultimo tassello di questa cronaca di dittature è la creazione di Forze Armate politicizzate e a prevalenza di mercenari (cubani per Hugo, di estrazione africana per Muammar).