Anche i dirigenti (e i magistrati) piangano
09 Giugno 2010
Ci spiace. Ma dissentiamo dal ministro Alfano che ha bollato come “politico” lo sciopero annunziato dall’Associazione nazionale magistrati a difesa dello stipendio dei propri rappresentati. A noi par vero esattamente il contrario. Per la prima volta dopo tanti anni di sconfinamento nella politica e di usurpazione del ruolo di contropotere politico, l’ANM finalmente torna ad interpretare correttamente il suo autentico ruolo di associazione sindacale rappresentativa degli interessi di una categoria di lavoratori.
E del resto ci convincono anche le motivazioni dello sciopero, sempreché l’ANM non ceda alla tentazione di arrampicarsi sugli specchi della presunta incostituzionalità del taglio agli stipendi dei magistrati che minerebbe l’indipendenza della magistratura! No, non è affatto incostituzionale.
Il taglio delle retribuzioni dei magistrati, come di tutti gli alti dirigenti pubblici colpiti dalla manovra, è semplicemente sciocco, inutile e demagogico. E’ sciocco perché avalla un approccio egualitarista della politica delle retribuzioni. Un approccio che mette in secondo piano le differenze di contenuto professionale e di delicatezza sociale delle diverse mansioni dei lavoratori pubblici. Ad andare di questo passo il rischio è arrivare a considerare quasi un ingiustificato “privilegio” il fatto che un magistrato o un direttore generale abbiano una retribuzione di tre, quattro o cinque volte superiore a quella di un cancelliere o di un impiegato del ministero. Non siamo al marxiano “ da ciascuno secondo le sue possibilità ed a ciascuno secondo i suoi bisogni”, ma poco ci manca.
Del resto, non è tagliando gli stipendi dei top manager che possiamo sperare di aumentare davvero l’efficienza della macchina burocratica e della giustizia. L’esperienza del privato (dove gli stipendi dei top manager sono ben maggiori) ci insegna che solo dirigenti ben motivati e ben pagati possono rendere efficiente l’impresa. Che poi nel settore pubblico ci sono dirigenti e magistrati fannulloni è indubbio. Ma è su queste situazioni che bisogna intervenire (e il decreto Brunetta contiene buone novità in proposito). Un taglio generalizzato oltre che ingiusto e controproducente perché demotiva soprattutto i dirigenti capaci.
Ma la manovra è anche del tutto inutile. Gli effetti di minore spesa conseguenti il taglio sono quantificabile in pochi milioni di euro, praticamente una goccia nel mare dei 24 miliardi di manovra. Se l’obiettivo era quello di incidere effettivamente sulla voce spesa per il personale pubblico sarebbe bastato un piccolo taglio (dell’1-2 %) delle retribuzioni di tutti i dipendenti pubblici (come ha ,fatto del resto la Merkel che li ha tagliati del 2,5%). L’1% di taglio produce una minore spesa pubblica di 1,7 miliardi di euro e determina a carico dei destinatari un modesto sacrificio (circa 15 euro al mese per i redditi più bassi). E del resto se è vero, come conferma anche l’ultimo rapporto ARAN, che le retribuzioni dei pubblici dipendenti sono cresciute degli ultimi anni il 10% in più rispetto a quelle dei privati, un taglio dell’1% sarebbe più che giustificato socialmente e moralmente.
E vi è infine il tratto demagogico dell’operazione che sembra dare finalmente corpo all’ “anche i ricchi piangano” di rifondarola memoria. E’ l’invidia sociale eletta a valore politico. Riluttanti a mettere sottocontrollo la spesa pubblica, incapaci di rendere armoniose le relazioni industriali nel pubblico impiego rispetto a quanto accade nel privato, preferiamo compiere operazioni simboliche, attaccare bersagli fantoccio, esporre al pubblico ludibrio il ricco di turno. Ma deve essere chiaro che passata la festa, placata la sete di “giustizia sociale” del popolo, i problemi ritornano in tutta la loro complessità.