Anche la Svizzera ha avuto il suo Simenon

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Anche la Svizzera ha avuto il suo Simenon

25 Ottobre 2008

Studer-Maigret, Friedrich Glauser-Georges Simenon, due associazioni non proprio così strampalate. Mettere vicino l’inventore del sergente elvetico con quello del commissario parigino è infatti operazione che, a ben vedere, viene quasi automatica. Lo stesso Glauser ne parla esplicitamente nella “Lettera aperta sul romanzo poliziesco” pubblicata in appendice al volume “Il sergente Studer indaga”, appena uscito per i tipi di Sellerio, dove sono raccolte tre fra le sue migliori avventure gialle. Per l’occasione il narratore dopo aver sostenuto che bisogna umanizzare i personaggi del testi per non farli assomigliare, come spesso capita, a delle macchinette automatiche, cita esplicitamente quel collega, pressappoco coetaneo, che a questo rischio ha posto, da tempo, rimedio. “L’autore”, scrive Glauser, “si chiama Simenon e ha creato un tipo che, sebbene con qualche predecessore, nessuno aveva mai dotato di una simile passionalità: il commissario Maigret. Un agente di pubblica sicurezza nella media, ragionevole, un po’ trasognato. Non il caso poliziesco in sé,con la scoperta dell’assassino  e la soluzione costituiscono il tema principale, ma le persone e soprattutto l’atmosfera in cui si muovono”. Aspetto insolito di quelle storie, prosegue il narratore in veste di critico-teorico delle strutture della fiction di genere, “è questo: in fondo si resta indifferenti alla soluzione, sebbene la trama sia costruita secondo una ricetta sperimenta. Ma tra le righe nere spira quell’aria di sogno, splende quella luce che richiama in vita anche le cose più piccole e modeste – una vita a volte spettrale. L’assassino? E’ un uomo come gli altri, come succede nella vita di ogni giorno. E che venga scoperto non affatto importante, alla fine non si tira un sospiro di sollievo, non c’è un colpo di scena, in realtà la storia non ha una fine, cessa – è un brano della vita, ma la vita continua, illogica, avvincente, triste e grottesca al contempo”.

Una dichiarazione d’amore e di poetica, ma anche la confessione più o meno diretta di una difficoltà, di una rapporto complicato,  o semplicemente dolente con l’esistenza. Gluaser, “outsider estremo” (la bella definizione spetta alla curatrice di alcune sue opere, Adriana Vignazia) è figura importante e difficile del Novecento svizzero. Nasce sul finire dell’Ottocento, da un cerbero genitore viennese e da una madre svizzera, scompare poco più che quarantenne in Liguria, a Nervi, alle soglie dello scoppio del secondo conflitto mondiale. E’ il tipico errante, con una sfilza di mestieri al suo attivo da autentico guinness. Uno di quegli autori, insomma, dalla biografia trasbordante e inesauribile. A cominciare da un fitto e precocissimo dentro e fuori l’universo psichiatrico eppoi dalla scelta di utilizzare la scrittura alla stregua di un rifugio e di una chance terapeutica. Il romanzo di genere diventa così la soluzione quasi inevitabile, anche perché è quello che scantona gli esercizi letterari troppo alti e che invece, dice lo scrittore, riesce a essere “oggi l’unico mezzo per diffondere idee ragionevoli”.

I pregi dei polizieschi di Gluaser sono molteplici. C’è finezza e caratterizzazione di personaggi, come altrettanto curata è l’ambientazione. Si tratta di storie che scavano in profondità, dove l’azione è ridotta al minino e dove un velo di malinconia avvolge uomini e cose. Nel “Grafico della febbre”, uno dei testi del trittico selleriano, Studer è aggredito, ma una volta scoperti i colpevoli, due poveri disgraziati e autentici niente, decide di non rivalersi, accontentandosi di aver individuato il mandante.

Friedrich Glauser, “Il sergente Studer indaga. Tre romanzi polizieschi”, Sellerio, pagine 480, euro 16.00.