Anche nella Chiesa c’è chi voleva mettere il bavaglio al Papa ma ha fallito
16 Marzo 2009
La tensione tra funzione spirituale e obbligatorietà della dimensione carismatica, per i Papi è una condizione che dura da più di mezzo secolo. Così come conflitti e competizioni “politiche” nella Chiesa, sin nei suoi piani più alti, sono antiche quanto l’istituzione. E allora: non è possibile spiegare solo attraverso cause di medio e lungo periodo per quale ragione, questa volta, tutto ciò è stato clamorosamente portato allo scoperto da Benedetto XVI con la lettera sul caso Williamson, nella quale il Pontefice ha denunziato come nella Chiesa, ancora oggi, c’è il mordersi e il divorarsi a vicenda come espressione malintesa di libertà.
C’è infatti qualcosa di più impellente e urgente che ha spinto il Santo Padre a rendere ufficiale, rivolgendosi ai suoi vescovi, ciò che in molti sapevano e altri sospettavano.
Ogni Papa si è trovato di fronte alla scelta: occupare la stanza della dottrina o quella del potere. Quest’ultima, da un certo momento in poi, per inevitabile condizionamento dei tempi, è divenuta quella del potere carismatico. E ogni Papa, considerando le esigenze della Chiesa e le sue personali inclinazioni, ha occupato un po’ l’una e un po’ l’altra.
Benedetto XVI ha fatto una scelta particolarmente radicale. Ha preso possesso con inarrivabile autorità della stanza degli studi, lasciando pressoché sguarnita quella della porta accanto.
Non è stato solo il modo di sublimare la sua vera natura e l’altezza di un pensiero che lo colloca tra i maggiori intellettuali viventi. Credo sia stata anche una scelta politica, intesa in senso nobile: moderare, per il possibile, la tendenza del Papa ad accrescere il proprio carisma, per porre un argine alla secolarizzazione della fede.
E’ il paradosso dei tempi: nella fase post-conciliare, le varie teologie della liberazione hanno corso il rischio di trasformare il cattolicesimo in una teoria sociologica a sfondo politico-progressista; nell’era della crisi delle ideologie la desacralizzazione sta passando piuttosto per tendenze di segno diverso, all’apparenza persino opposto. Ma il rischio, per chi crede veramente, resta in agguato. Di tutto ciò ci si dovrebbe esser resi conto osservando le veglie con chitarre e magliette dal taglio vagamente new age, mentre Giovanni Paolo II agonizzava.
E poi, la ragione alla quale il Cardinale Joseph Ratzinger deve la sua ascesa al soglio è stata proprio quella di riorientare sul terreno dottrinario la Chiesa di fronte alle sfide inedite del nuovo secolo. E lui l’ha fatto, sfidando il pensiero dominante per quanto concerne il dialogo con i non credenti e quello con le altre religioni. Fino al tentativo di riabilitare il diritto naturale e di reinterpretare il rapporto tra fede e ragione.
A questo tentativo del Papa i suoi avversari non si sono arresi. E neppure, con l’eccezione notevole del Cardinal Martini, hanno risposto sul terreno del confronto. Non l’hanno fatto neanche nelle occasioni in cui il Pontefice stesso si è umilmente svestito della forza della gerarchia per stimolare la critica. Hanno approfittato, piuttosto, della stanza vuota per trasformarla in una sorta di contropotere.
Forse così sono riusciti a isolare il Pontefice. Non di meno, hanno commesso un errore. Non hanno considerato che il Papa avrebbe reso pubblica la sua solitudine. Con il metro del potere si tratta dell’ammissione di una debolezza. Con quello che vige da 2000 anni per giudicare i fatti della Chiesa, questa circostanza è, invece, la prova di forza che riporta questo papato alla sua missione. Evitando che esso venga irrimediabilmente sfigurato.