Anche Pisanu (forse non volendolo) s’è messo a difendere il “porcellum”

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Anche Pisanu (forse non volendolo) s’è messo a difendere il “porcellum”

15 Ottobre 2010

Le parole alte e chiare del Presidente Beppe Pisanu sulle liste elettorali per le regionali e per le amministrative piene di candidati “indegni” hanno, dal nostro punto di vista, almeno un pregio. E non si tratta di un pregio legato alla (malintesa) cultura della legalità. Le parole di Pisanu rischiano anzi di legittimare il buonismo democraticistico e a buon mercato, imperante nella cultura politicamente corretta, nel quale retorica facile e parolaia sulla questione morale rappresenta solo lo schermo per coltivare, al riparo da rischi, lucide quanto interessate strategie di tattica politica. Il problema del rapporto fra politica e malaffare, fra istituzioni democratiche e criminalità è problema complesso che non può essere affrontato approntando liste di proscrizione da dare in pasto al popolo affamato dei giustizialisti in servizio permanente ed effettivo, novello Minotauro sempre affamato di nuova carne umana.

No, il punto è un altro. Forse senza volerlo, Pisanu ha redatto il più lucido ed il più duro atto di accusa contro il meccanismo delle preferenze nelle competizioni elettorali. Non è forse vero che nelle elezioni alle quali egli si riferisce, la formazione delle assemblee rappresentative è governata dal sistema delle preferenze? Non è forse vero che nel passato recente abbiamo assistito anche al caso di candidati “indegni” che sono riusciti a farsi eleggere nonostante la pubblica e clamorosa sconfessione del candidato Presidente che è arrivato a dirsi pronto alle dimissioni nel caso in cui il candidato non gradito fosse stato eletto e fosse risultato determinante per la maggioranza in Consiglio?

La verità è che una (non la sola, ma forse la più importante) delle controindicazioni del sistema delle preferenze consiste proprio nel drammatico indebolimento della capacità dei partiti politici nell’essenziale funzione di selezione della classe dirigente. Se la formazione delle liste elettorali è condizionata dalla forza in termini di pacchetti di voti che ciascun aspirante candidato può esibire è chiaro che è molto difficile che i partiti riescano ad esercitare una effettiva funzione di filtro sulla “qualità morale” dei candidati. E’ difficile in termini pratici, perché è difficile resistere alla tentazione di inserire in lista personaggi discussi ma portatori di un pacchetto consistente di voti clientelari (o peggio). Ed è difficile in termini teorici perché è evidente che la valutazione della “qualità morale” di un candidato non può certo limitarsi all’esame del certificato penale o di quello dei carichi pendenti. Anche una lista compilata nel pieno rispetto delle regole del codice di autoregolamentazione adottato dai partiti può essere piena di marioli!

E questo è un rischio immanente nei sistemi elettorali con le preferenze che però diventa esplosivo nell’attuale fase politica. Il crollo dei partiti di integrazione di massa che avevamo conosciuto nella prima repubblica ha infatti sostanzialmente azzerato la capacità dei nuovi partiti di governare in via di fatto il gioco delle preferenze. E’ noto che nella prima repubblica i partiti erano in grado di guidare l’afflusso delle preferenze sulle schede elettorali in favore dei candidati che le segreterie di partito (o le diverse correnti del partito) ritenevano preferibili. Uno dei sintomi e della cause della crisi della Prima Repubblica fu proprio l’indebolirsi di tale capacità. Nelle ultime legislatura tale capacità la possedeva solo il vecchio Partito Comunista mentre gli altri partiti di area governativa erano già esposti alle scorribande dei gruppi di potere, delle lobbies (quando non delle organizzazioni criminali) di fabbricarsi in casa il proprio parlamentare.

Oggi l’introduzione delle preferenze sarebbe devastante: introdurrebbe un virus mortale nell’organismo dei partiti e consegnerebbe la dialettica democratica di intere aree del Paese al malaffare ed alla criminalità organizzata (se non l’unica, certamente la più efficace “istituzione” nell’attività di organizzazione e veicola mento del consenso sul territorio).

Sono questi i motivi per i quali ci sembra incomprensibile quel rinnovato entusiasmo per le preferenze che sembra essersi impadronito di una parte della classe politica al grido: “restituiamo agli elettori il diritto di scegliersi il proprio rappresentante”. Ma così fosse, se reintroducendo le preferenze potessimo raggiungere quest’obiettivo vorrebbe dire chi ha eletto come proprio rappresentante uno dei candidati indegni  denunciati dal Presidente Pisanu ha scelto il proprio rappresentante. E sarebbe pertanto giusto e perfettamente democratico che tali candidati indegni siedano nei rispettivi consigli comunali e regionali.

La verità è un’altra. La verità è che la polemica sulla preferenze è tutta strumentale. Del resto l’attuale sistema di formazione delle liste va benissimo alla dirigenza di tutti i partiti i quali (UDC e IDV in testa) hanno riempito in Parlamento di uomini debolissimi elettoralmente ma la grande virtù di essere fedeli al leader. La verità è che la polemica sulle preferenze nasconde solo il disegno di destabilizzare l’attuale quadro politico e di disarcionare Silvio Berlusconi. Si scrive reintroduciamo le preferenze ma si legge eliminiamo il premio di maggioranza e qualunque altro sistema di stabilizzazione maggioritaria del sistema. Del resto, (a parte la sparuta minoranza veltroniana) nessuno dei cantori della vera democrazia si sogna di lanciare l’idea di introdurre anche da noi meccanismi elettorali veramente maggioritari come il modello inglese o quello francese. Sono tutti intenti con gli alambicchi con un solo obiettivo evitare che i partiti siano costretti a dichiarare prima delle elezioni le alleanze politiche ed il proprio candidato premier.

L’obiettivo vero è il ritorno all’età dell’oro. Quella nella quale le elezioni servivano solo a misurare i rapporti di forza relativi fra i diversi partiti perché la partita vera, quella della formazione e del programma di governo, era tutta successiva, tutta giocata nei negoziati fra le segreterie di partito. Ma in tal modo per tutelare una (malintesa) capacità dell’elettore di scegliersi il proprio rappresentante si priva l’elettore della capacità (decisiva in una democrazia ben ordinata) di scegliere il proprio governo. In tal modo si nega l’essenza stessa della democrazia che non significa assemblea dei rappresentanti del popolo ma significa anche e soprattutto governo del popolo!