Anche sui temi etici il Pd delega tutto ai magistrati
22 Luglio 2008
Sul povero corpo di Eluana Englaro si sta consumando una tragedia intrisa di pathos omerico –drammatica, degna di piena pietas la figura del padre- ma non solo. Sul terreno difficile e angosciante del limite tra la vita e la morte quando la vita non è vita e la morte non è morte la magistratura italiana, nel suo organo più alto, la Corte di Cassazione, ha deciso infatti di imporre una concezione totalizzante del suo potere di definire la norma, la legge.
Ritroviamo qui, sul terreno più intimo dei diritti dell’uomo, del diritto di scegliere tra la propria vita e la propria morte, un arbitrio che negli ultimi trenta anni abbiamo rilevato in mille altri aspetti del vivere civile: la pretesa della magistratura, attraverso la giurisdizione, di dettare legge. Approfittando della difficoltà oggettiva di stabilire la norma in una società sempre più complessa , sono giustamente scemati i principi di autorità che rendevano facile l’enunciazione della norma, la magistratura ha fatto della giurisdizione, del suo fisiologico compito di interpretare la legge, un campo smisurato d’azione e di intervento.
Di interpretazione in interpretazione pretende dunque di enucleare vere e proprie norme, addirittura nuovi reati (tipico il “concorso esterno in associazione mafiosa” non contemplato da nessun Codice) al di fuori dell’intervento del legislatore. Ma con Eluana, -per meglio dire: “su” Eluana- la Cassazione ha passato il segno. Non vi è una legge, non una norma che permetta di affrontare il caso di un paziente in coma irreversibile, che però vive autonomamente, senza bisogno di nessuna terapia, e sicuramente il cibo e l’acqua erogati attraverso un sondino terapia non sono. Ma la Cassazione con la sua sentenza ha preteso di potere enucleare questa legge, questa norma, stabilendo che in carenza di chiare indicazioni scritte dal soggetto quando era cosciente, è sufficiente che il magistrato le estrapoli dal suo “stile di vita”, dalle sue “convinzioni generali” manifestatesi prima del coma.
Sacrosanta dunque la scelta del Senato, su iniziativa di Gaetano Quagliariello, Carlo Vizzini e altri, di contrastare questo vero e proprio abuso di potere della magistratura aprendo in Parlamento, là dove si esercita la sovranità popolare, una procedura di “Conflitto di attribuzioni”, che contesta in nuce, alla radice, il diritto costituzionale della magistratura –anche nel suo organo più elevato- di emettere sentenza sul tema, in carenza di uno specifico legislativo. Chiarissime sono in questo senso le parole della relazione del presidente della prima commissione del senato Carlo Vizzini, approvata il 22 luglio.
Sconcertanti sono invece le parole del capogruppo del Pd e del documento stesso del gruppo del Pd, che contestano la stessa opportunità di aprire questo contenzioso. Anna Finocchiaro, così come il Pd, si dimostrano ancora una volta incredibilmente proni all’esorbitante attribuzione di poteri normativi che la magistratura avoca a sé stessa, anche sul terreno più vincolato all’etica e alla sacralità della vita. Il testo del documento del Pd è a dir poco mediocre: un insieme di cavilli, uno stile da latinorum, una totale abdicazione della politica a dirigere lo Stato, quindi le regole, le norme, dello stato e una concessione di assegno in bianco totale alla magistratura perché vi provveda.
Vi è una continuità drammatica, culturale e politica in questa ribadita volontà di delega, in questa autospoliazione della dignità stessa della politica a favore della giurisdizione. Il Pd, si mostra infatti oggi perfetto erede di quella classe dirigente catto-comunista che negli anni settanta delegò alla magistratura il compito di affrontare l’emergenza del terrorismo, che negli anni ottanta ribadì questa delega alla magistratura per contrastare la guerra di Mafia, che negli anni novanta lasciò che –contro ogni regola e garanzia- la magistratura stessa scorazzasse nel campo della politica distruggendo tutti i partiti –salvo il Pci, guarda caso- e addirittura pronunciando ukase –classico quello dei giudici di Milano descamisados- contro legge volute da governi e parlamenti regolarmente eletti.
Anna Finocchiaro lo dice apertamente: lasciamo alla giurisdizione tutto il potere che si prende, la politica non disturbi i giudici. Una posizione rinunciataria, culturalmente mediocre, che ha in sé la spiegazione delle rotolanti sorti complessive della sinistra stessa.
Posizione tanto più grave e irresponsabile, in quanto si scopre che senatori del Pd quali Villari e Baio, hanno appreso dalle agenzie di stampa di questa posizione, che mai il gruppo del Pd è stato convocato per discuterla, che la loro opposizione, che la loro valutazione positiva dell’iniziativa di Vizzini, non ha neanche avuto luogo e spazio per manifestarsi.