
Anche un bacchettone (liberale) ha buoni argomenti per difendere il Cav.

01 Febbraio 2011
Lo confesso: sono un bacchettone. L’etica sociale dei popoli anglosassoni, che non consentirebbero a politici dalla disordinata vita privata (per adoperare un eufemismo) di candidarsi alle più alte cariche dello Stato, mi trova del tutto in sintonia. In passato, è divenuta spesso oggetto di ironia negli ambienti progressisti e liberal della società italiana. Un politico sorpreso con le mani non nel sacco ma in altri luoghi del corpo umano, che si vedesse, per questo, bruciata la carriera, era qualcosa di inconcepibile per i (sedicenti) lettori di Machiavelli e di Voltaire. Non si prendeva neppure in minima considerazione il fatto che a indignare l’opinione pubblica, più ancora che il ‘fatto’ in sé, fosse la bugia che l’autore aveva dovuto raccontare alla moglie: chi inganna la persona alla quale, dinanzi all’altare, ha promesso di essere fedele, nella buona e nella cattiva sorte, può ben ingannare il popolo che intende guidare nel cammino periglioso della politica.
Non si tratta, però, solo di ‘menzogna’: un’esistenza dissoluta, messa al servizio dei propri piaceri e delle proprie pulsioni erotiche, non sarebbe piaciuta non solo alle nazioni segnate dalla Riforma e dal suo rigorismo etico ma neppure al precettore del ‘Principe’. Il quale metteva in guardia i reggitori degli Stati dall’offendere costumi, credenze, codici morali dei sudditi: “ debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte |..| qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto religione. E non è cosa più necessaria a parere di avere che questa ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello stato che li difenda: e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine.” Ma quel che è ancora più rilevante quanti citano a vanvera Machiavelli dimenticano di dire che i ‘vizi’ ai quali egli si riferiva non erano ‘vizi privati’ ma regole di condotte imposte dalla ragion di stato. “Non può per tanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbano a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorire la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e monstrare quante pace, quante promesse sono state fatte irrite e vane per la infedelità de’ principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare”.
Il Segretario fiorentino avrebbe condannato i governanti corrotti e dissoluti non in nome della etica ma in nome della politica: i buoni costumi sono ‘risorse del potere’, avrebbe detto se avesse conosciuto il linguaggio della scienza politica contemporanea, e perdere la stima dei concittadini a causa di condotte private indecenti, divenute di dominio pubblico, significa non possedere la stoffa del Principe. L’attuale gossip sul nostro premier lo avrebbe sicuramente indignato ma per l’assoluta incapacità mostrata dai suoi protagonisti di avvolgere la loro vita erotica e i loro incontri orgiastici tra le sette mura di una inviolabile privacy. Un leader che, con tutti i servizi d’ordine e i controlli polizieschi di cui dispone, non riesce neppure a impedire che le telecamere frughino fra le sue lenzuola, a suo avviso, si sarebbe condannato all’uscita di scena.
E qui veniamo al punto cruciale, relativo al rapporto tra etica e politica nell’età moderna. E’ una distinzione che non si può tirare in ballo con disinvolta leggerezza. Essa ha segnato, sì, la raggiunta maturità dell’”uomo occidentale” ma il suo senso più profondo non sta nella soppressione di un termine del binomio a vantaggio dell’altro. L’emancipazione della politica dall’etica significa che le scelte di chi tiene in mano il timone della nave-Stato non debbono essere determinate da altri criteri che non siano quelli del portare nave ed equipaggio sani e salvi in porto. Altre considerazioni – e soprattutto la massima “fiat justitia, pereat mundus”–non potrebbero in alcun modo condizionare la condotta del capitano, autorizzato, in caso di tempesta, a buttare in mare la ‘zavorra’ anche se tra i pesi ,che mettono in pericolo la nave, ci fossero venerate statue marmoree della Vergine e dei Santi.
Ma ciò non comporta affatto il sacrificio del polo etico sull’altare della politica. Come ebbe a dire Benedetto Croce, nel 1929, nel superbo discorso tenuto al Senato contro la firma del Concordato: vi sono casi in cui non ci si può trincerare dietro la ‘ragion politica’, sostenendo, ad esempio,” che quel che si è eseguito mercé il concordato sia un tratto di fine arte politica, da giudicare, non secondo ingenue idealità etiche, ma come politica, giusta l’altro trito detto che Parigi val bene una messa. Né io nego la mia ammirazione all’arte politica, né ignoro che quel trito detto si suole attribuir leggendariamente a un grand’uomo, a un eroe della storia di Francia, del quale si credette così di interpretare il riposto pensiero, quantunque forse gli si fece torto, perché sta di fatto che egli non pronunziò mai quelle parole. Come che sia, accanto o di fronte agli uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri pei quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza. Guai alla società, alla storia umana, se uomini che così diversamente sentono, le fossero mancati o le mancassero!”.
Non sostengo che, nella fattispecie, un’etica condivisa da tutti, avrebbe dovuto legittimare la scelta di Croce. Etica e politica, con l’avvento della modernità, si scrivono con la minuscola : ce ne sono tante e tocca ai singoli cittadini fare la ‘miscela’ e stabilire in quale occasione debba prevalere l’una e in quale l’altra..Quello che va sottolineato è che ci si trova in presenza di dilemmi che non possono venire risolti in nome di una visione che, come la decisione sulla ragione e il torto, su cui ironizzava Alessandro Manzoni, sia in grado di dividerli con un taglio netto. In altre parole, a volte dinanzi a una linea di azione spregiudicata, che ci si chiede di avallare col nostro consenso o col nostro voto, riteniamo che superi certi ‘limiti di decenza’ sicché la coscienza morale c’impone di “non sporcarci le mani”, altre volte il calcolo delle conseguenze del nostro eventuale “non possumus” potrebbe farci essere di diverso avviso. Che Talleyrand fosse un gran puttaniere, un vizioso e un profittatore, era ben noto all’opinione pubblica liberale francese del primo Ottocento ma, dopo Waterloo, si sapeva bene che era l’unico politico in grado di far entrare, al Congresso di Vienna, una nazione sconfitta nel club delle grandi potenze alle quali si affidava il destino del vecchio continente.
“L’ultimo sondaggio di Renato Mannheimer – ha scritto Luca Ricolfi nel suo magistrale articolo su ‘La Stampa’ del 26 gennaio u.s., Le armi a doppio taglio del PD – lo certifica nel modo più clamoroso: il prestigio del premier è in caso, il numero di elettori che vorrebbero Berlusconi sempre in sella è diminuito, ma il consenso al suo partito, il Pdl, è addirittura cresciuto. Mentre io consenso al PD non solo non è aumentato, ma sembra in ulteriore flessione. Come se gli elettori, a differenza dei media, fossero molto restii a mescolare morale e politica”
“This is the question”: perché sono restii? Perché ormai la società civile è caduta così in bassa che vedendo le frequentatrici di Arcore, la loro avvenenza fisica, la loro spregiudicatezza, scatta in molti un meccanismo di identificazione–”Beato il Cavaliere che si può permettere tali bombe erotiche!”? Perché “non c’è più religione” e la gente non si vergogna più di niente sicché, in certe situazioni, con tanti soldi a disposizione, si comporterebbe come il premier? Ho sempre diffidato delle cupe analisi dei ‘profeti della crisi’ e dei predicatori scatenati contro la mass society e i suoi istinti gregari, anche perché non ho mai capito in base a quale criterio infallibile gli autori di tali geremiadi siano così sicuri di non appartenere anch’essi alla “massa”, sia pure con un po’ più di cultura e di strumenti retorici in tasca.
In realtà, la ragione per cui molti sono “restii a mescolare morale e politica” non sta nella perdita del ‘comune senso del pudore’ ma in una gerarchia di ‘valori’ (o di interessi, che, per un empirista, sono la stessa cosa) che non ignora lo schifo per chi rinnova, in stile brianzolo, le cene immortalate dal Satyricon di Petronio ma ritiene altre ‘questions’ più importanti e decisive per la sua vita e il suo avvenire. Potrebbe, ad esempio, pensare che il ritorno alla Prima Repubblica – iscritto nel dna del terzo polo Casini/Fini/Rutelli – o un governo presieduto dal trio Bersani-Di Pietro-Vendola (semmai col benevolo appoggio della CGIL e della FIOM) faccia sprofondare il paese nel baratro del sottosviluppo e delle mediterraneizzazione, per non parlare delle pulsioni fasciste dell’IDV.
Non sto dicendo che tali timori siano fondati ma semplicemente che, tra gli Italiani (di cui i radioascoltatori di ‘Prima Pagine’, su Radio3 non sono un campione significativo), in merito agli scandali del Cavaliere, si registrano reazioni e valutazioni opposte che, in democrazia, vanno debitamente messe in conto e rispettate.
Non può ignorarsi,tuttavia, che stiamo assistendo, da parte di certi intellettuali e organi di informazione, al tentativo (supponiamolo in buona fede) di imporre la loro modalità del rapporto etica/politica all’intero paese, con la sicurezza interiore che anima i sacerdoti e i missionari.”Non c’è nulla di peggio dello spettacolo che sta dando al mondo Berlusconi!” E chi l’ha detto che sia o debba essere, per tutti, “il peggio”? In realtà, fa fede unicamente la parola di quanti hanno spostato l’antifascismo, anche in virtù di vecchi riflessi condizionati azionisti, sul piano della morale e delle ‘virtù’. E se, per altri, ancora più catastrofico dello spettacolo della ‘dolce vita’ di Arcore, fosse un governo con Nichi Vendola all’Economia e Antonio Di Pietro alla Giustizia? Questi altri, come proponeva un radioascoltatore della citata ‘Prima Pagina’, dovrebbero essere privati del diritto di voto?
Confesso che i ‘costumi’ del Cavaliere mi sembrano così ripugnanti che, condividendo i timori di molti amici del centro-destra sui possibili scenari offerti da una vittoria delle sinistre, voterei volentieri per un altro leader, che fosse minimamente consapevole che lo stile privato di un uomo di Stato diventa, per certi aspetti, una ‘questione pubblica’, come hanno ricordato giustamente i vescovi italiani -il Generale de Gaulle, a differenza del suo successore François Mitterand, era motivo di orgoglio per i francesi, anche per la sua privacy ineccepibile. Sic stantibus rebus, però, in mancanza di alternative riformiste affidabili, va messo alla gogna chi va a votare equipaggiato con una solida maschera antigas e ripetendo, col protagonista di ‘Napoli milionaria’,”adda passà a nuttata”?
Sennonché, ci si chiede, il moralismo della political culture della sinistra radicale e antagonista è davvero una moneta pregiata? Quelli che in anni lontani portarono in Parlamento una pornodiva, Ilona Staller, e, in anni più vicini, un trans, Vladimir Luxuria, e continuano a far eleggere nelle due Camere giovanotti di (troppo) bell’aspetto hanno davvero le carte in regola per dare lezioni di civismo e di moralità? L’acquisizione di un linguaggio trasgressivo, contestatario, antioccidentalista determina un cambiamento qualitativo delle serate bunga-bunga? Un ‘modello sessuale’ che, in nome di un libertarismo mal digerito, rifiuti qualsiasi norma interiore che non si riduca alla doverosità di seguire i propri istinti, anche quando coinvolgono bambini e adolescenti (v. certe polemiche contro la criminalizzazione della pedofilia!), rappresenta – deve rappresentare–per tutti una ‘conquista di civiltà’? Una filosofia che, se potesse, metterebbe al bando il termine ‘perversione’, veicolo di repressione borghese e clericale, su cosa fonda poi la sua ‘superiorità morale’ sullo standard of life di Arcore?
A Genova, tra le Erinni scatenate contro le orge berlusconiane, c’è un’anziana collega che, nei ‘formidabili anni’ della contestazione, aveva fatto scoppiare in lacrime una esaminanda perché, alla domanda se fosse ancora vergine, la studentessa aveva confessato di esserlo – a vent’anni compiuti !!!– attirandosi l’ira funesta della docente libertaria.
Il fatto è che quello della morale sessuale è un campo aperto, complesso e problematico. Si può concedere il proprio corpo, con grande disinvoltura, in una riunione in cui sesso e droga siano consumati in una crescente eccitazione collettiva contro il ‘sistema, gli etnocidi culturali, l’imperialismo del mercato etc.; si possono compiere le stesse ‘azioni esterne’ in vista di gioielli, di appartamenti gratuiti e confortevoli, di provini televisivi: abbiamo qui due codici diversi – e, quanto a me li rifiuto, entrambi – ma perché uno dovrebbe essere moralmente e culturalmente superiore all’altro?
Ancora adesso, in Italia, è invalsa la distinzione tra ‘arte erotica’ e ‘pornografia’, ma, applicando non le misure della ragion ideologica ma quelle della ragion empirica dove passa poi il discrimine? ‘I Racconti di Canterbury’ di Pier Paolo Pasolini, con le sue esibizioni di pene sullo schermo, sono arte e ‘Giovannona coscia lunga’ è pura pornografia? Certo, se si guarda alla tecnica e alla maestria registica, i due film stanno su piani diversi, ma un conto è il terreno estetico un contro ben diverso è il terreno etico, che, per sua natura, è “senza verità” e in cui si scatena il conflitto delle opinioni.
Insomma si ha l’impressione che in Italia ci siano diversi tipi di harem e che per i Soloni del diritto e della morale, che, sulle pagine di ‘Repubblica’, di ‘Mircomega’, de ‘Il Fatto quotidiano’, smerciano indignazione all’ingrosso, si diano misure infallibili che legittimano la demonizzazione degli uni e la messa a tacere degli altri. Sarà per questo che le procure investono miliardi solo nelle intercettazioni che riguardano i “cattivi costumi” e l’eros privo di qualsiasi giustificazione ideologica…?.
Lo ribadisco, trovo più che naturale che per molti italiani sia decisamente umiliante lo spettacolo che stanno offrendo il Cavaliere, i suoi ‘giornalisti’ televisivi e la sua corte dell’Olgiatina; trovo, però, segno di insuperabile allergia ai valori del liberalismo che quegli stessi italiani (e i loro ‘intellettuali organici’) si rifiutino di riconoscere che per altri connazionali (e sono ancora la maggioranza, stando a Mannheimer), nell’o.d.g. dell’agenda politica, la privacy di Berlusconi non occupi il primo posto. E per ragioni né trascurabili, né disprezzabili.
L’unico punto su cui, in una società aperta e rispettosa delle regole e delle procedure, siamo tenuti a concordare è che qualora vengano accertati precisi reati (es. la concussione o l’uso di autovetture e personale di Stato per fini…..’non istituzionali’) i responsabili vengano perseguiti a termine. In questo malaugurato caso, infatti, entra in gioco il reato non il peccato o la colpa morale.