Ancora pressing su Termini Imerese. Il Cav.: “Fiat non interessata a incentivi”
04 Febbraio 2010
"Stavamo esaminando la possibilità di rinnovare gli incentivi, ma il principale produttore italiano, la Fiat, pare non sia interessato”. Così il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sul possibile rinnovo degli incentivi per le auto. Il premier, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi a conclusione del Consiglio dei ministri, ha anche spiegato che ”è un capitolo aperto” perché ”stiamo discutendo anche con altri protagonisti del comparto. Siamo aperti e pronti là dove serve ai settori in difficoltà".
Sulla questione incentivi e sulla chiusura dello stabilimento siciliano di termini Imerese, dopo le sollecitazioni dei ministri dello Sviluppo Economico e del welfare, Scajola e Sacconi è intervenuto anche il presidente del Senato Renato Schifani, secondo cui salvare Termini Imerese è un impegno morale. "Bisogna avere il coraggio di dire basta ad elargizioni statali se non vengono salvaguardati i posti di lavoro e i presidi industriali. Occorre fermare la logica degli incentivi se non è seguita ad una attenta e forte politica delle imprese che esalti e tuteli l’occupazione". E ancora: "Il patrimonio industriale e produttivo della Fiat di Termini Imerese deve essere salvato. Non dobbiamo e non possiamo disattendere questo impegno morale", ha aggiunto Schifani che prima di citare le parole del Papa sull’occupazione -"Chi ha molto ricevuto è moralmente tenuto a dare con impegno generoso, soprattutto nei momenti di crisi" – ha definito la chiusura di Termini Imerese "un fatto scellerato". "Termini Imerese è un polo industriale strategico del Mezzogiorno – ha detto – Il Mezzogiorno non può consentirsi questa grave battuta di arresto. Mi auguro fortemente che qualcuno ci ripensi".
In una intervista alla Stampa l’Amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne si era detto "agnostico" sulle misure a sostegno del mercato dell’auto. "Il governo faccia la sua scelta – si legge nell’intervista – e noi la accetteremo senza drammi. Ma abbiamo bisogno di uscire dall’incertezza, poi saremo in grado di gestire il mercato e la situazione qualunque essa sia". E su Termini Imerese, l’Ad è tornato a dire: "La decisione di smettere di produrre è stata presa, ma siamo pronti a fare la nostra parte, a farci carico, assieme al governo, dei costi sociali di questa scelta". Quindi, Marchionne ha assicurato di cercare il dialogo chiedendo di "mettere da parte la dietrologia: nella decisione di fermare le fabbriche per due settimane non c’è nessuna provocazione e nessun ricatto". E, ancora su Termini: "Non possiamo più permetterci di tenere aperto un impianto che da troppi anni funziona in perdita. Produrre un auto lì costa fino a mille euro in più e più ne facciamo e più perdiamo. Non è in grado di stare in piedi. Per assurdo, per noi sarebbe più conveniente continuare a pagare tutti i dipendenti fino alla pensione tenendoli a casa". Insomma, dice Marchionne, "abbiamo studiato ogni possibile soluzione di produzione alternativa, dai motori ai componenti, ma si continuerebbe a perdere".
"Abbiamo rimesso in piedi la Fiat – ha rivendicato il manager – ma se ora non interveniamo per risolvere i problemi strutturali derivanti dalla crisi rischiamo di rovinare tutto e giocarci il futuro". Per questo Marchionne ha invitato a considerare che "oggi abbiamo 12 mila persone in più che lavorano nel gruppo rispetto al 2004. Si parla di Termini Imerese ma ci si dimentica di Bertone e dei suoi 1.100 dipendenti". D’altronde, fa notare l’amministratore delegato Fiat, "il mercato dell’auto in Europa scenderà quest’anno tra il 12 e il 16%, che significa tra un milione e mezzo, due di macchine". Ma, assicura, Fiat "punta sul rafforzamento della produzione in Italia" e non ci sono pericoli di distrazione o decentramento decisionale ora che c’è Chrysler: "Mirafiori continuerà ad essere il centro dell’auto".
Alle critiche sugli aiuti pubblici ricevuti dal Lingotto, Marchionne ha risposto così: "Fiat dal 2004 al 2009 ha investito nel mondo 25 miliardi di euro, 16 dei quali in Italia con agevolazioni statali pari al 3,8%".
Sugli incentivi più in generale l’Amministratore delegato del Lingotto ha osservato: "Capisco che prima o poi debbano essere eliminati per tornare a un mercato normale. Protrarli troppo a lungo sarebbe un danno che pagheremmo con minori vendite nei prossimi anni. Fisiologico che – ha continuato – si vada verso una normalizzazione del mercato, che ci permetterà di fare piani di lungo periodo non legati agli incentivi".