Annapolis: la Rice cerca il successo ma a rischiare è Israele

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Annapolis: la Rice cerca il successo ma a rischiare è Israele

Annapolis: la Rice cerca il successo ma a rischiare è Israele

27 Novembre 2007

Regna
lo scetticismo intorno alla conferenza di Annapolis che vede Israele sedersi allo stesso tavolo con
sedici paesi arabi. Il Presidente Bush è forse l’unico a dirsi ottimista,
mentre la stampa israeliana, araba ed internazionale predicono già il
fallimento.

I palestinesi, come si è ormai
capito dai vari tentativi degli ultimi cinquant’anni, non sono in grado d’imboccare
la via del dialogo con Israele in maniera indipendente. Il riconoscimento dello
Stato ebraico da parte dei paesi arabi sembra indispensabile a qualsiasi futuro
accordo, quindi, in uno scenario ideale, il coinvolgimento di tutte le parti in
causa è imprescindibile. Tuttavia, numerosi fattori minano dal principio la
possibilità che la conferenza abbia un esito positivo.

Il primo è il Presidente dell’Autorità
%0APalestinese, Mahmoud Abbas, con il Primo Ministro Salam Fayad. Non solo il loro
potere è confinato alla Cisgiordania, mentre la Striscia di Gaza è interamente
nelle mani di Hamas, ma il partito politico cui appartengono, al-Fatah, fondato
da Arafat, non è altro che un gruppo terroristico in veste ufficiale che in
pratica non ha mai fatto nessun vero sforzo verso la pace.

D’altro canto, il Presidente israeliano
Olmert, che ha stretto alleanze a destra e sinistra per rimanere al potere, ha
le mani legate. Ogni concessione, infatti, darebbe un motivo alla destra per
dissociarsi dal suo governo e fargli perdere la maggioranza in parlamento.
Questa forse è l’unica fortuna per Israele, pressata da Condoleezza Rice
nell’accettare la partecipazione ad una conferenza dove ha tutto da perdere.

Tutte le concessioni richieste
dagli arabi metterebbe Israele in pericolo: l’est di Gerusalemme (Muro del Pianto
incluso), le alture del Golan, il ritorno dei rifugiati palestinesi da ogni
parte del mondo, il ripristino dei confini del 1967, il ritiro dagli insediamenti
in Cisgiordania. Cosa ottiene Israele in cambio? Una promessa di sicurezza che
come al solito non verrà mantenuta. Basta pensare a Gaza, caduta nelle mani degli
estremisti di Hamas dopo il ritiro israeliano (Hamas, almeno, ammette
apertamente di volere la distruzione dello Stato ebraico , una volontà ribadita
continuamente dai loro attacchi missilistici). Queste richieste sono
impossibili da assecondare per Israele, che alla fine sarà biasimata come al
solito per aver causato il fallimento della conferenza (i media filo arabi
hanno già cominciato).

Il vero fallimento, però, è
quello della politica estera di Condoleezza Rice, ormai lanciata nel suo chiodo
fisso di creare uno Stato palestinese a tutti i costi. Come può pretendere
l’amministrazione Bush di risolvere nel suo ultimo anno di governo la situazione
mediorientale? Si tratta di megalomania o di una disperata volontà d’isolare
l’Iran avvicinandosi ai paesi arabi? Indipendentemente dallo scopo, sarà
Israele, il suo unico vero alleato in Medio Oriente, a sacrificarsi.

Non importa alla Rice che i paesi
coinvolti, in particolare la Siria e l’Arabia Saudita, siano paesi che
finanziano e producono terrorismo contro Israele e gli Stati Uniti? Perché
invitarli, addirittura supplicarli di venire negli Stati Uniti quando in realtà
gli viene fatto un favore, come nel caso della Siria,  sventolando la possibilità della restituzione
delle alture del Golan. L’ironia è che la Siria accetti con la puzza sotto il
naso questo incontro per testare “la sincerità di Washington nel promuovere la
pace”. Lo stesso paese che fornisce supporto all’Iran, con il quale ha firmato
un’alleanza militare nel 2006, e con il quale promuove gli attacchi antiamericani
in Iraq, che finanzia gli Hezbollah nella continua destabilizzazione del Libano
e nei suoi attacchi terroristici, e che stava progettando una base nucleare di
stampo nordcoreano recentemente distrutta dalla forza aerea israeliana.

Per convincere l’Arabia Saudita
a partecipare, la Rice ha incluso addirittura 
tra i testi di riferimento il piano saudita di pace del 2002, che
enumera una lista di rinunce assurde da parte di Israele come il ritiro ai
confini dell’armistizio del 1949, l’accettazione di milioni di arabi come
cittadini e la rinuncia del controllo sui suoi siti religiosi.

Non importano alla Rice le conseguenze
del fallimento di Annapolis, in particolare la crescita delle aspettative dei
paesi arabi e dei palestinesi? Questi giustificheranno altra violenza contro
Israele e gli Stati Uniti e sosterranno il rafforzamento di Hamas, che si è
radicalmente opposto alla conferenza e potrà dimostrare nuovamente che nulla si
ottiene senza l’uso della forza.

Per convincere il Congresso a
sostenere la guerra in Iraq, Bush parla con passione di terrorismo islamico al
quale ha dichiarato guerra dopo l’11settembre. In una mossa totalmente
incoerente, invita i maggiori sponsor del terrorismo islamico a casa sua, a
parlare di pace, offrendo illusioni che mettono in posizione di pericolo sia
Israele che gli stessi Stati Uniti. Con gli importanti progressi compiuti in
Iraq, Bush dovrebbe concentrarsi sul conseguimento di una definitiva vittoria
sul campo e sulla nascita di un paese arabo davvero democratico in Medio Oriente
(che è poi l’obiettivo originale dei suoi anni alla Casa Bianca), invece di
associarsi ai continui insuccessi della politica estera di Condoleezza Rice.