
Anno Zero: cronache da Roma Capitale

23 Ottobre 2020
E alla fine il nome da qualche parte si dovrà pescare. Tra una Forza Italia che ha quanto meno una classe dirigente ma in crisi, ormai perenne, di elettori, una Lega forte di voti nazionali ma non radicata sul territorio romano come nel lombardo veneto, ed un Fratelli d’Italia in ascesa di consenso elettorale e radicato sul territorio ma, ad eccezione della Presidente Meloni, con il rischio “strutturale” della “pregiudiziale antifascista”, servirà per il Comune di Roma un outsider che sia almeno del livello del nome in questi giorni ventilato, ovvero quello di Guido Bertolaso.
Un nome, insomma, che possa essere identificato come l’uomo giusto per ricominciare a ricostruire il tessuto connettivo sociale, imprenditoriale, economico e morale di una Roma piegata dall’ideologia pezzentista e di ingenua incompetenza senza basi amministrativo-finanziarie della consiliatura della Sindaca pentastellata. La quale sta divenendo un peso insopportabile per Roma Capitale in quanto anche le candidature da esprimere dalle forze che compongono l’attuale governo “sinistro” rimangono condizionate dalle vicende personali e politiche dell’Avvocato Virginia Raggi. Sicché, in buona sostanza, il destino della Capitale d’Italia (con una popolazione pari al 10% dell’intero territorio nazionale) finirebbe per dipendere dalla “ricompensa” politica da assegnare alla Raggi per la disastrosa (per Roma e i suoi cittadini) consiliatura.
Serve dunque un uomo del “fare” capace di strutturare e guidare complesse macchine organizzative con velocità ed efficienza anche nelle più disagevoli condizioni economiche ed ambientali: il che per Roma Capitale non solo è utile: è addirittura “vitale”. Ma la città di Roma presenta delle peculiarità, in parte dovute alla sua storia e in parte dovute al territorio, che richiedono accanto a quelle sopra evidenziate altre non inferiori competenze professionali.
L’attuale sistema del trasporto pubblico e del ciclo dei rifiuti è il frutto avvelenato sia di quella “urbanizzazione dei disperati” degli anni ’50 e ’60 fatta di baracche negli acquedotti, di abusivismo edilizio tollerato (se non apertamente incoraggiato) quale risposta popolare all’odiata genia dei palazzinari (per poi scoprire che i danni peggiori li ha prodotti proprio l’abusivismo e le cooperative edilizie nei piani di zona economica e popolare), sia di quel leviatano allora nascente della mega discarica che insieme ad ogni tipo di rifiuto ingoiava e macinava intrecci politici, economici e finanziari. La chiusura della discarica, che peraltro trova i suoi prodromi nelle precedenti consiliature, andava strutturalmente accompagnata dalla creazione di termovalorizzatori di nuova generazione in numero tale da consentire il minor trasporto possibile dei rifiuti e di una discarica di servizio. Chiuderla senza l’attuazione di un ciclo industriale dei rifiuti (presente peraltro in tutte le capitali europee) per incapacità a gestire i rapporti con le forze economiche e imprenditoriali di settore ha condannato Roma a un degrado urbanistico e reputazionale che serviranno decenni per cancellare.
La stessa incapacità a gestire i rapporti con le forze economiche e imprenditoriali di settore ha condannato Roma all’insignificanza sotto il profilo del trasporto su metropolitana (sia di quella pesante che di quella leggera) gravando, fino a distruggerlo, sul parco mezzi esistente. Le tragicomiche vicende dei cosiddetti “flambus” – e cioè gli autobus andati a fuoco in servizio – e dei bus acquistati ma non omologabili rimarranno delle vette irraggiungibili di insipienza amministrativa.
Con, all’attualità, le partecipate AMA ed ATAC in situazione prefallimentare. L’escamotage per tenerle in vita è stato quello di posticipare, attraverso il ricorso al concordato fallimentare, il pagamento dei debiti ai prossimi anni: l’ingenua furbizia del pezzentismo pentastellato e della sua impreparazione sotto il profilo tecnico finanziario. Perché i debiti ci sono ed andranno onorati.
Nemmeno ACEA si è salvata dal disastro. Avrebbe potuto e dovuto essere la società apicale e trainante dell’evoluzione di Roma anche nel campo dei rifìuti: direttamente e attraverso le partecipate possiede incredibili brevetti per il riutilizzo delle ceneri dei termovalorizzatori e la loro trasformazione in materiali “inerti” da utilizzare quali spessorati per le pavimentazioni stradali pubbliche. Ma il furore ideologico contro il socio privato di ACEA (peraltro figura primaria del mondo finanziario nazionale e internazionale) ha fatto aggio sui piani industriali. E il Presidente di ACEA nominato dalla Sindaca è assurto agli onori delle cronache più per vicende di altro tipo che per la sagace propugnazione di coerenti piani industriali.
L’edilizia pubblica e privata risulta sostanzialmente ferma, preferendosi l’immobilismo ad ogni tipo di “visione urbanistica” strutturata e coerente: quell’immobilismo che ha portato al rifiuto delle Olimpiadi, alle indecisioni sull’iter urbanistico dello Stadio della A.S. Roma se non per intervenire, abbruttendolo, sull’originario progetto dello stadio firmato da uno degli architetti più importanti del pianeta per adeguarlo agli standard dei geometri degli uffici tecnici erariali.
Per fortuna che il Sindaco Rutelli ha apposto il vincolo culturale sugli edifici storici dell’Eur. Vi era il rischio che trovasse attuazione la vecchia idea delle cooperative edilizie sociali di abbattere il Colosseo Quadrato, il Museo Pigorini e gli altri edifici razionalisti (colpevoli di essere stati edificati nell’era fascista) per costruirvi le palazzine di edilizia economica e popolare. Sembra fantascienza ma è tutto vero. Fu la strenua opposizione dell’allora Sindaco democristiano che impedì l’approvazione della delibera. Ma senza il vincolo di Francesco Rutelli questa consiliatura, con un colpo di coda, avrebbe potuto trovare attraente l’idea.
Quanto sopra per dire come urbanistica, trasporti e rifiuti siano legati, in questa città dal territorio enorme rispetto alle altre capitali europee, da un rapporto uno e trino essendo l’area di Roma Capitale come del Lazio sostanzialmente terra di servizi, di terziario avanzato e di attività di compendio all’onere del posizionamento delle strutture politiche repubblicane (Camera, Senato e Quirinale) in aggiunta agli oneri dovuti alla presenza della Città del Vaticano che è autonoma per i propri interessi interni ma grava su Roma Capitale quanto a viabilità, pulizia delle strade e delle piazze frequentate dai fedeli.
Ma basterà un nome, sia pure strutturato ed elettoralmente attraente, a dare una speranza di vittoria e di ripresa a Roma Capitale? Per tutto questo un uomo solo, per quanto competente, evidentemente non può bastare. Occorre corredare il nome in una squadra di nomi di pari competenza e strutturazione per affrontare le macerie lasciate dalla Sindaca Raggi.
Squadra che dovrà essere strutturata da tutte le forze del centro-destra con una metodologia dalla quale risulti assente la “conventio ad excludendum” nei confronti di alcuni soggetti della coalizione nella logica di una miope ed irresponsabile “resa dei conti” tutta interna al ceto politico ma devastante, negli effetti, in tema di moneta elettorale.
L’incompetenza al potere deve finire. E per questo è necessario il contributo di idee e di uomini di tutte le forze e le componenti, nessuna esclusa, che si riconoscono nel perimetro del centro-destra.