Antonio Rosmini, storia di un cattolico liberale

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Antonio Rosmini, storia di un cattolico liberale

24 Giugno 2007

La recente promulgazione da parte del Pontefice Benedetto XVI del decreto con il quale viene attribuito un miracolo all’intercessione di Antonio Rosmini rappresenta un passo decisivo sulla via della beatificazione di questo grande protagonista della cultura cattolica e della storia della Chiesa. E ciò assume un significato del tutto particolare se pensiamo alle non poche sofferenze patite dal Rosmini stesso e dai suoi figli spirituali (come è noto, egli fondò l’Istituto della Carità, una famiglia religiosa ancora oggi assai attiva nel riproporre il carisma del Padre) a motivo delle critiche e delle condanne in cui incorsero alcune dottrine rosminiane.

Antonio Rosmini Serbati nacque a Rovereto nel 1797 e morì a Stresa nel 1855. Uomo di profondissima spiritualità e di grande cultura, ammirato da personalità del calibro di Manzoni e Gioberti, prete dal 1821, incoraggiato da vari papi a far fruttare i suoi straordinari talenti intellettuali, Rosmini scrisse numerose opere che costituiscono un patrimonio fra i più ricchi della moderna filosofia di ispirazione cattolica. Egli fu pure un protagonista del nostro risorgimento: considerato un cattolico liberale, si sa che nel 1848 Pio IX lo avrebbe voluto cardinale segretario di Stato. La principale preoccupazione che mosse Rosmini fu di carattere apologetico. Egli riteneva infatti che la filosofia moderna avesse arrecato danni assai gravi alla verità cattolica, in quanto portatrice di un soggettivismo inconciliabile con la più genuina tradizione cristiana. Il pensatore roveretano individuò allora nell’idea dell’essere il fondamento di ogni conoscenza umana e considerò tale idea innata e presente nell’uomo per volere di Dio.

Con ciò egli ritenne di aver trovato quell’elemento universale, comune a tutti gli uomini, che mette al riparo dal rischio del soggettivismo e del relativismo, che allontanano dalla verità, la quale ha il suo culmine nel cristianesimo. Sulla base di questa filosofia cristiana, Rosmini costruì un edificio speculativo nel quale la persona umana assume un valore fondamentale e inalienabile. Di qui il netto rifiuto rosminiano di ogni teoria politica che pone l’individuo in secondo piano rispetto alla Stato e la difesa intransigente di due fondamentali diritti appartenenti a ciascun uomo: quello alla libertà e quello alla proprietà. Secondo Rosmini, la libertà giuridica ha la sua base nell’uomo come persona, perché la persona per natura non tollera alcun possessore ed è subordinata solo alla legge morale. Il diritto alla proprietà è giustificato a partire dalla convinzione che la persona, unendosi alle cose utili al proprio sviluppo, stabilisce con esse un vincolo fisico-morale così tenace, che la perdita di quelle cose causa in essa dolore.

Rosmini distinse poi il “bene comune” (quello dei singoli membri della società) dal “bene pubblico” (quello del corpo sociale come organismo), e pensò che i governanti dovessero perseguirli entrambi; ma non dubitò che, in caso di conflitto, la vera giustizia imponesse il sacrificio del “bene pubblico” rispetto a quello “comune” e persino a quello di un solo cittadino. Il pensatore roveretano fu pure grande teologo e asceta, autore di alcune altissime riflessioni sul tema dell’amore, nonché di penetranti e sofferte meditazioni sulla Chiesa che egli amò assai intensamente. Celebre è, a questo riguardo, lo scritto Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, in cui Rosmini denunciò con spirito profetico le mancanze più gravi che affliggevano la comunità ecclesiale del suo tempo.