Armi, soldi e petrolio: la Russia entra nel Grande Gioco sudamericano

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Armi, soldi e petrolio: la Russia entra nel Grande Gioco sudamericano

27 Settembre 2008

È sempre più complessa la partita che si sta giocando in America Latina tra Chávez, Lula e Putin nel momento in cui gli Stati Uniti sono distratti dalla campagna elettorale e dalla crisi del proprio sistema finanziario. Lunedì 15 settembre c’è stato a Santiago un vertice dell’Unasur, l’organizzazione delle nazioni sudamericane, che è riuscito a pilotare un apparente principio di tregua nella guerra civile strisciante in corso in Bolivia. È così partito un negoziato tra governo e prefetti ribelli in cui i sostenitori di questi ultimi sono stati obbligati a rimuovere i blocchi stradali e a restituire gli edifici pubblici occupati. Ma Evo Morales a sua volta ha promesso di restituire ai dipartimenti produttori un’aliquota dell’imposta sugli idrocarburi, di tener conto nella nuova Costituzione delle esigenze di autonomia delle regioni dell’Est, di attenuare il carattere “socialista” del documento e anche a rinviare lo stesso referendum sulla nuova Costituzione. Compromesso anche sulla strage che è avvenuta nel Dipartimento di Pando, dove il governatore Fernández è stato arrestato e messo sotto processo per “genocidio”; ma dove d’altra parte è stato garantito il principio di una commissione d’inchiesta internazionale. Così come pure c’è un intervento internazionale nel dialogo in corso, con la mediazione di Chiesa, Onu, Osa e Unasur. 

A quanto sembra, sono stati due i fattori che hanno sbloccato lo stallo. Uno, in campo interno, la decisione del comando dell’esercito boliviano, che da un lato è finalmente intervenuto a Pando “contro la minaccia separatista”, ma dall’altro ha pure mandato a Chávez un duro avvertimento a “smetterla di interferire in Bolivia”, e anche al governo di “smetterla di tollerare queste interferenze”. L’altro elemento, in campo internazionale, è stato invece il ruolo di Lula, che ha fatto virare il vertice dell’Unasur dal semplice appoggio a Morales che Chávez avrebbe gradito a un più complesso bilanciamento tra questo appoggio e la richiesta di negoziato. Sembra che durante l’incontro siano volate parole grosse, anche se le porte chiuse della riunione lasciano ogni indiscrezione al livello del non ufficiale. Probabilmente, è stato anche in risposta a questi problemi avuti in Cile se poi Chávez ha fatto espellere dal Venezuela il dirigente cileno di Human Rights Watch Miguel Vivanco, autore di un rapporto sulla situazione dei diritti umani molto critico verso il suo governo. 

A Santiago, Lula si sarebbe anche adoperato per evitare qualsiasi condanna formale agli Stati Uniti, in modo che la storia della guerra delle ambasciate tra Washington e La Paz e Caracas è restata fuori dal documento finale. In compenso, nei giorni successivi si è lanciato in varie dichiarazioni critiche verso gli Usa. Ad esempio, in un’intervista ha rifiutato in modo sprezzante di spiegare quali misure il suo governo avesse in cantiere per fare fronte alla crisi finanziaria, dicendo che il Brasile non è in crisi, ma la crisi è solo un problema dell’Amministrazione Bush. Ha pure osservato che “se davvero l’ambasciatore Goldberg si era incontrato con l’opposizione, allora Morales ha fatto bene ad espellerlo”. Da notare, però, il “se”… Infine, giovedì 18 il presidente brasiliano ha colto l’occasione dell’inaugurazione di una piattaforma petrolifera di Petrobras nel sud per reiterare la sua “preoccupazione” verso la ricostituita IV Flotta Usa nei Caraibi: “Ovviamente siamo preoccupati, perchè è molto vicino alla frontiera marittima brasiliana e crediamo che non abbiamo bisogno della IV Flotta”. Tempo appena 48 ore, però, e sabato il giornale O Estado de São Paulo ha pubblicato un articolo in cui ha rivelato che Lula sarebbe piuttosto seriamente preoccupato per le relazioni sempre più strette tra Chávez e la Russia. “Il Venezuela sta importando in America del Sud senza necessità una disputa diplomatica tra Stati Uniti e Russia”, avrebbe detto un ministro in condizioni di anonimato. E fonti diplomatiche avrebbero dato per sicura una richiesta di chiarimenti a muso duro di Lula a Chávez, al prossimo vertice dell’Unasur. 

In realtà, questo alternarsi di Lula tra prese di posizione anti-Chávez e pro-Chávez non è affatto nuov. Anzi, si può dire che costituisca una costante della sua presidenza. Una tesi è che Lula sia in realtà un amico del leader venezuelano che però fa finta ogni tanto di criticarlo, a uso di un’opinione pubblica interna che a maggioranza vede Chávez come fumo negli occhi. Un’altra tesi, al contrario, e che Lula con la sua scelta riformista abbia ormai definitivamente rotto i ponti col tipo di sinistra radicale che si incarna nel modello bolivariano, ma dia al colonnello pacche sulle spalle in nome del buon vicinato e degli affari transfrontalieri. Una terza tesi ancora è che ci siano contrasti all’interno stesso della trasversalissima coalizione a cui Lula si appoggia. La cosa più probabile è che si tratti di un colpo al cerchio e un colpo alla botte voluto: apposta per esaltare al massimo la centralità strategica brasiliana. 

Come che sia, l’“avvertimento” arriva a Chávez in un momento ben preciso: alla vigilia, cioè, di un viaggio “rapido” per Cuba, Cina, Russia, Francia e Portogallo, alla ricerca di accordi di cooperazione che favoriscano “lo sviluppo del Venezuela” e che rafforzino le proprie “relazioni strategiche”. Nell’ultima edizione del suo programma domenicale “Aló, Presidente”, Chávez ha in particolare informato che la prima tappa sarebbe consistita in un incontro notturno col convalescente Fidel Castro. Poi sarebbe seguita la tappa cinese, dove era in programma l’incremento del “fondo strategico per lo sviluppo” creato da Pechino nel 2007 con l’apporto di 4 miliardi di dollari da parte della Cina e di 2 da parte del Venezuela. Si parla di progetti energetici, di macchinari industriali e agricoli cinesi, dell’acquisto di aerei da addestramento K-8, della costruzione congiunta di una raffineria in Cina e di un’altra in Venezuela, e anche della costruzione di navi venezuelane in cantieri cinesi. Il sogno di Chávez resterebbe quello di sostituire la Cina agli Stati Uniti come principale acquirente del greggio venezuelano: ma fin quando ci saranno di mezzo il Canale di Panama e la Colombia di Uribe resterà soprattutto, appunto, un sogno. 

Terza tappa sarà poi la seconda visita in Russia in un anno, per discutere di “un credito russo al Venezuela”. Dopo aver già acquistato in Russia negli ultimi anni 24 cacciabombardieri, 50 elicotteri e 100.000 Kalashnikov, Chávez sarebbe ora interessato anche a sistemi antiaerei, carri armati e sottomarini, per un totale di 30 miliardi nei prossimi sei anni; due bombardieri strategici russi con capacità nucleare sono già volati in Venezuela; prossimamente si terranno nei Caraibi manovre navali congiunte; e Chávez ha offerto alla Russia anche una base. Ma non c’è solo il Venezuela. In Nicaragua, ad esempio, il sandinista Daniel Ortega ha cercato di far rivivere l’antica alleanza col riconoscere solo al mondo, a parte Mosca e Hamas, l’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia. E Mosca in cambio si è detta interessata alla costruzione di un possibile Canale del Nicaragua alternativo a Panama: che sarebbe poi l’eventuale via per la quale Chávez potrebbe eventualmente stabilire un contatto diretto con il mercato cinese. Con Cuba, dopo che si era parlato di un possibile ritorno dei bombardieri strategici russi, Mosca si è ora impegnata ad aiutare l’isola a sviluppare il proprio centro spaziale, fornendole anche quel sistema di navigazione via satellite Glonnas che è alternativo rispetto all’americano Gps e all’europeo Galileo. E sarebbe imminente anche il ritorno dei russi al Centro Radioelettrico di Lourdes, dove potrebbero “vigilare gli Stati Uniti in risposta allo scudo antimissile che Washington vuole dispiegare in Europa”, come spiegano all’Accademia delle Scienze di Mosca. Comunque, una linea di credito di 200 milioni di dollari è stata già avviata un paio d’anni fa. 

Ci sono poi gli idrocarburi. Dopo che Lukoil, Gazprom e Tnk-Bp sono già sbarcate in Venezuela tra i nuovi giacimenti di petrolio pesante nella cosidetta “Faja del Orinoco”, Gazprom è ora presente anche in Bolivia. E alla Russia il governo di Evo Morales si sta rivolgendo per avere aiuto nella lotta anti-narcos, dopo l’espulsione della Dea statunitense. Un po’ in tuta l’America Latina si sta diffondendo il business degli esperti di sicurezza russi usati come guardie del corpo: in particolare in Paesi nell’occhio del ciclone della violenza mafiosa come Messico, Colombia o Brasile. Ed è proprio il Brasile uno dei Paesi dove i russi stanno investendo di più: cooperazione tra imprese energetiche russe e Petrobras; un intercambio che dovrebbe passare dai 3 miliardi di dollari del 2005 ai 10 miliardi del 2010… D’altra parte, anche le imprese brasiliane Sadia e Metalfrio stanno investendo in Russia, con gli impianti recentemente stabiliti a Kalinigrad. E non manca nel governo brasiliano chi vorrebbe stabilire con Mosca un’alleanza strategica anche in campo militare: in particolare il ministro degli Affari Esteri Roberto Mangabeira Unger, benché appartenente a un partito moderato e formatosi ad Harvard. Nel pacchetto c’è anche l’appoggio che Mosca darebbe all’ingresso del Brasile al Consiglio di Sicurezza come membro permanente.

Il ministro della Difesa brasiliano, Nelson Jobim, è però un partigiano del fare un accordo strategico piuttosto con la Francia, e in effetti a dicembre verrà in Brasile a firmare un importante documento lo stesso Sarkozy. Di mezzo ci sono elicotteri e sottomarini, e probabilmente anche lo sviluppo di un sottomarino nucleare. Marco Aurélio García, consigliere agli Affari Internazionali di Lula, spiega che le due visoni non sono affatto incompatibili, e spiega che il Brasile “può avere accordi strategici con più di un Paese”. Dopo aver siglato praticamente negli stessi giorni l’accordo con Chávez per la Banca del Sud e quello con George W. Bush per il bioetanolo, per Lula non è certo un problema quello di mettere assieme Sarkozy e Putin. Proprio questa strategia del bilanciamento, però, richiede che nessun partner sia importante al punto da ritenersi e diventare indispensabile. Probabilmente, il malessere di Lula verso Chávez è che nel suo modo viscerale di schierarsi toglie spazio proprio a quei margini di trattativa da cui si possono spuntare le condizioni migliori.