Attentato contro il contingente italiano ad Herat. Nessun morto, oltre 5 i feriti

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Attentato contro il contingente italiano ad Herat. Nessun morto, oltre 5 i feriti

30 Maggio 2011

In Afghanistan la guerra continua. Lo sanno gli americani che ieri hanno sospeso le loro attività per qualche istante in ricordo delle oltre 1400 perdite subite in dieci anni di combattimenti. Mentre Karzai alza la voce e lancia inutili ultimatum alla Nato, i nostri uomini continuano a cadere.

Il Provincial Reconstruction Team (Prt) a guida italiana di Herat è stato attaccato. Le notizie si inseguono sparse: la conta dei feriti tocca quota 30, ma non c’è ancora molto di ufficiale. Per lo più poliziotti e civili, oltre 5 gli italiani coinvolti. Arrivano le prime dichiarazioni afghane. Il portavoce del ministero dell’Interno di Kabul, Zemari Bashary, conferma l’offensiva degli insorti. Fa sapere che gli scontri sono ancora in corso e che reparti speciali afghani sono immediatamente intervenuti a sostegno dei militari Nato. Testimoni hanno riferito che ci sarebbero 4 vittime, ma non è chiaro di quale nazionalità sarebbero i caduti. Un giornalista dell’agenzia Reuters riferisce di aver visto i corpi di diversi militari con uniformi straniere e del fumo provenire dalle vicinanze della base. “Tra i nostri nessun morto”, rassicurano dal ministero della Difesa italiano.

I Talebani lo avevano annunciato: in primavera torneremo a colpire duro. Un loro portavoce, Qari Yousouf Ahmadi, rivendica l’attacco. In sette sarebbero riusciti a penetrare nel compound occidentale. Tre, forse quattro kamikaze e un’autobomba come apripista. Voci non confermate fanno sapere che Herat City è stata completamente isolata e la gente si è barricata in casa. Il commando talebano avrebbe preso alcuni ostaggi tra i civili. Non è il modo migliore per conquistare consensi, ma non sembra questo il principale intento. La loro è un’azione punitiva, una dimostrazione di forza contro invasori e civili, colpevoli di collaborare sempre più attivamente nelle operazioni di ricostruzione e sviluppo.

L’attacco armato è avvenuto come detto, ad Herat City contro vari edifici, compreso il palazzo del governatore e un fabbricato utilizzato in collegamento con la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). Conferme giungono dal sottosegretario alla difesa Guido Corsetto, che non ha però voluto fornire altri particolari. La provincia occidentale afghana di Herat – una delle zone più tranquille del Paese, dove tra civili e forze internazionali si è istaurata un’ottima intesa, anche grazie all’operato del nostro contingente – è base del Comando regionale occidentale (RC-W) dell’Isaf, sotto responsabilità italiana.

Questo attacco segue l’attentato di ieri che ha coinvolto uomini del reparto congiunto afghano-internazionale nella provincia del Wardak. Il blindato su cui viaggiavano è saltato su uno Ied (Improvised explosive device). Non si conoscono ancora esattamente numero e nazionalità dei caduti. Era in atto un operazione anti-taliban nel villaggio di Musakhel. “Almeno quattro soldati stranieri sono morti”, afferma il portavoce del governo locale, Shahidullah Shahid.

Dopo un decennio di guerra sembra legittimo chiedersi perché Usa e Nato restino ancora là. Il presidente Barack Obama, sotto la pressione del vice Biden, prevede un disimpegno delle truppe americane a partire dal mese di luglio, mentre la Nato si è impegnata a cedere il controllo della sicurezza nel Paese agli afgani entro il 2014. Ma i Talebani hanno iniziato l’offensiva di primavera e tornano con spaventosa regolarità attentati kamikaze ed esplosioni ai bordi delle strade, come dimostrano i fatti cronaca delle ultime 24 ore. In più, la popolazione afghana teme ritorsioni per essersi schierata dalla parte sbagliata e Karzai non sembra in grado di forniere sufficienti garanzie. Per ora bisogna combattere.