Attorno ai respingimenti si sta creando un polverone inutile e pericoloso

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Attorno ai respingimenti si sta creando un polverone inutile e pericoloso

11 Maggio 2009

La sinistra italiana ha una montagna da scalare davanti a sé, prima di potere uscire dalla sua travolgente crisi: smettere di giocare con le parole e fare proprio il principio di realtà. Così è anche per ampi settori della Chiesa.

Solo la sinistra italiana, per fare un esempio, è capace di attaccare il respingimento degli immigrati nel Canale di Sicilia verso la Libia, attribuendolo a Maroni, quando quell’operazione è stata introdotta da Giuliano Amato, ministro degli Interni del governo prodi nel 2007.  Questo straparlare, questo affidarsi solo alla propaganda, ai buoni sentimenti è l’origine prima della crisi di consensi della sinistra –soprattutto nel Nord Italia- e –specularmente- dei successi della lega che sul terreno del contrasto dell’immigrazione illegale si muove con concretezza (anche eccessiva). In realtà, i temi sul tappeto sono due, uno tattico, l’altro strategico. Il primo è semplice e sarebbe comprensibile persino a Franceschini, se solo si fermasse un attimo a pensare: l’unico modo per troncare il traffico di carne umana ad opera di moderni schiavisti nel Canale di Sicilia è quello di rendere impraticabile quel tragitto. Esattamente questo è stato l’obbiettivo del governo Prodi, esattamente questo è quello che è stato fatto sia dai governi di centrosinistra che da quelli di centrodestra nei confronti degli scafisti albanesi. Franceschini non si ricorda più la tragedia del canale d’Otranto del marzo 1997, ma quel disastro umanitario avvenne proprio e solo perché il primo governo Prodi diede ordine alla nostra flotta di “respingere” le imbarcazioni che venivano dall’Albania (senza alcun rispetto per il diritto d’asilo). Chi critica la politica dei respingimenti, dunque, non fa nient’altro che favorire il permanere di questo traffico immondo. Punto.

Più interessante ancora è il secondo aspetto del problema, quel rifiuto della multietnicità di cui ha parlato Berlusconi e che ha creato nuove onde di critiche. Anche qui la sinistra, e settori della Chiesa, giocano con le parole. E’ ovvio che nessuno, Berlusconi per primo, ma neanche i leader della Lega – è contrario al fenomeno di inserimento in un forte contesto di identità nazionale italiana di quanti immigrati regolari siano utili al nostro sistema paese. Basta pensare –per stare attaccati al principio di realtà- che le città che più si segnalano per capacità di integrare gli immigrati –anche a parere della Caritas migrantes- sono proprio la leghista Treviso e Verona. Ma la “multietnicità” avversata da Berlusconi –e Bossi- è in realtà ben altro, nel linguaggio di buona parte della sinistra e di settori della Chiesa. E’ la riproposizione di un modello americano di società, di un contesto di melting pot che di per sé, sarebbe migliore di un modello identitario italiano, in cui l’identità nazionale viene data non dall’integrazione nel modello italiano  di altre etnie, ma in un paritario confrontarsi e ibridarsi di tutte le identità possibili e immaginabili. Questo, in effetti è successo negli Usa, in Canadà, in Australia e altrove. Ma in quei paesi sono stati prima sterminati gli autoctoni e poi si è costruita una popolazione composta tutta e solo da immigrati, con una supremazia degli angloglotti, ben temperata però dai germanici (i cui discendenti sono addirittura oggi più numerosi dei discendenti degli inglesi), italiani, polacchi, ecc.

Vi è poi una sorta di multietnicità inglese, francese e olandese, ma innanzitutto è fallimentare e ampiamente in crisi – certo non un modello a cui guardare – e soprattutto è prodotta da un feroce passato imperialista che ha prodotto un insediamento multinazionale che nulla ha a che vedere con quello che si sta verificando in Italia. La nostra situazione è invece omologabile a quella della Spagna, della Svizzera e della Germania, paesi in cui gli immigrati sono stati chiamati per pure e semplici ragioni di mercato del lavoro. Paesi in cui peraltro la rotazione –chissà perché la sinistra si dimentica di questo fondamentale fenomeno che riguarda non meno del 20% degli immigrati  in Italia, secondo la stessa Caritas – è fondamentale smentita dei destini di integrazione che riguarderebbe tutti.

Insomma, negare la multietnicità –se si parla sul serio- vuol dire semplicemente lavorare per un progetto di integrazione degli immigrati in un contesto identitario italiano, esattamente come fa la Lega là dove governa. Favorire la multienticità alla Livia Turco, o alla monsignor Marchetto, invece, vuol dire seguire un utopia di società che deve costruire una sua identità bilanciando le sue varie etnie. Come tutte le utopie è una prospettiva disastrosa, dannosa che per di più crea –come ha già purtroppo creato anche in Italia- reazioni xenofobe. E per di più il drammatico arretramento elettorale della sinistra al Nord.