Aung San Suu Kyi torna in carcere ma non è una novità

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Aung San Suu Kyi torna in carcere ma non è una novità

14 Maggio 2009

Hanno arrestato Aung San Suu Kyi. Lo riferisce il suo avvocato, Hla Myo Myint. Vogliono infliggerle un’altra pena (rischia cinque anni di carcere) che pesi ancora di più sulla sua già precaria salute e screditarne l’immagine in vista delle elezioni del 2010.

Il regime birmano non fa sconti e la leader dell’opposizione è ancora l’unico argine, sebbene arrestata da 13 anni (su 19), ad un governo disumano che viene tenuto in piedi dagli interessi economici di quelle nazioni che, in cambio di affari con il potere locale, fanno da “parafulmine”  alla dittatura.

Il premio nobel per la Pace ed esponente di punta di quanto rimasto del partito d’opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), è accusata di avere violato gli obblighi degli arresti domiciliari, dopo che un cittadino americano si è introdotto nella sua casa, superando a nuoto il lago che costeggia l’edificio.

Si tratta di John Yettaw, arrestato il 6 maggio dalla polizia mentre usciva dall’abitazione di Aung San Suu Kyi. “L’uomo l’ha messa nei guai” – spiega l’avvocato che difende Suu Kye. In Birmania, infatti, è reato per uno straniero trascorrere la notte nella casa di un cittadino del luogo senza l’approvazione da parte delle autorità. “Un avventuriero, spiega il legale della leader politica, che ha agito di propria iniziativa”.

Il capo dell’opposizione in queste ore si trova nel penitenziario di Insein a Rangoon dove è stata trasportata stamattina e lunedì si aprirà il processo  contro di lei. Nel carcere della capitale sono rinchiusi oltre 2000 dissidenti al regime.

Non c’è bisogno, quindi, di affermare più di tanto che l’intera comunità internazionale si deve mobilitare e impegnare contro quest’ennesima nefandezza, a cominciare, Cina in testa, da quei Paesi che troppo interessatamente silenti continuano a spalleggiare i generali guidati da Than Shwe, al governo del Myanmar da 21 anni.

Viva preoccupazione, per la vicenda in corso, manifesta il deputato del Pdl Fiamma Nirenstein, che ricorda: “Il 27 maggio scadranno gli arresti domiciliari per Aung San Suu Kyi e c’è il rischio che vengano rinnovati, come è già avvenuto negli ultimi due anni”.

“Alla mobilitazione per il diritto all’accesso alle cure mediche della San Suu Kyi – prosegue il vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati – dobbiamo quindi unire un appello per la liberazione di questa donna e di tutti i prigionieri di coscienza della giunta birmana, un regime crudele e che viola tutti i principi basilari dei diritti umani”.

Secondo la senatrice Albertina Solani del Pd che, insieme all’onorevole Margherita Boniver del Pdl e l’Intergruppo parlamentare “Amici della Birmania”, ha organizzato oggi una conferenza con i giornalisti nella sala stampa del Senato intitolata ai “Caduti di Nassiriya” con la presenza di Beaudee Zawmin, Membro anziano del governo Birmano in esilio e vicedirettore dell’“Euro Burma Office” di Bruxelles, è arrivato il momento che “si mobilitino i governi del mondo, l’Italia e l’Unione europea perché si volti pagina in Birmania, liberando immediatamente Aung San Suu Kyi, gli altri prigionieri politici, dando vita ad un vero processo di transizione democratica”.

Quasi sulla stessa linea l’appello della portavoce dell’opposizione al governo australiano e responsabile degli affari esteri per il suo partito, la liberal Julie Bishop, la quale afferma con forza come il mondo debba muoversi con gli strumenti più alti della diplomazia e attuare ogni possibile azione per assicurare la libertà a Suu Kyi e il ripristino della democrazia in Myanmar.

L’Onu negli ultimi mesi si è parecchio impegnata ad aprire un corridoio di dialogo con il generalissimo ma, quest’ultimo atto, dimostra ancora una volta come il governo dell’ex Birmania se ne infischia di tutto e di tutti, nonostante la farsa di lunedì, giorno nel quale, a Aung San Suu Kyi era stata autorizzata l’assistenza medica per potere curare lo stato di ipertensione e disidratazione, che da diversi mesi fa preoccupare i suoi compagni di partito.

Secondo quanto riporta il giornale dei dissidenti birmani, “The Irrawaddy”, nelle ultime ore la polizia si sta premurando di intensificare i cordoni di sicurezza attorno alla prigione di Insein in modo da evitare probabili assembramenti di cittadini che, potrebbero, sfociare in una rumorosa e pericolosa protesta. Di contro, fa effetto – ma nemmeno più di tanto – l’indifferenza del resto dell’informazione locale, a cominciare dal controllato “The New light of Myanmar” che tra le news principali preferisce scegliere un tranquillo workshop sulla promozione del turismo nella nazione, al quale prende parte “addirittura” il ministro agli hotel…

Aung San Suu Kyi ha 63, è da tempo malata, e ha la sola “colpa” di avere stravinto le uniche elezioni democraticamente indette nell’ex Birmania, un voto popolare mai ratificato, perché i generali decisero di agire con la forza, accaparrandosi il potere governativo. Nella sua vita il premio Nobel ha sempre detto: “La lotta per la democrazia e i diritti dell’uomo in Birmania è una lotta per la vita e la dignità; è una lotta che comprende le nostre aspirazioni politiche, sociali ed economiche”.